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TESTO Chiamati a raccontare

don Angelo Casati  

I domenica dopo la Dedicazione (Anno C) (23/10/2016)

Vangelo: Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Le parole di Matteo, che ora abbiamo ascoltato, sono le ultime del suo vangelo. Lo chiudono. E, paradossalmente, lo aprono. Sono le ultime e le prime. Non chiudono la vicenda di Gesù. Come vorrebbe la morte. Come se le parole parlassero al passato. Ecco sorprendentemente il presente: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

Non avete mai pensato che ci sarebbe da scrivere tutta una storia di Gesù da quel giorno, il giorno del monte in Galilea, sino ai nostri giorni? Lui il vivente, il presente, sino ad oggi e oltre? Quanti libri - mi dicevo - andrebbero scritti, raccontando questi duemila e più anni di Gesù! Vorrei aggiungere che questa pagina del vangelo di Matteo non è l'ultima neppure per gli undici discepoli, che sul monte sentono parole che hanno dell'incredibile, quasi fossero spinta di sangue, verso i giorni futuri, spinta a sconfinare.

Il Maestro dice loro "Andate e fate discepoli tutti i popoli". L'avventura cristiana non la si chiude sul monte, ma la si apre. Quante pagine - dagli "Atti degli apostoli " in poi - potrebbero raccontare storie di uomini e di donne che hanno attratto altri a Gesù e alla sua sequela: "fate discepoli". E oggi? Oggi tocca a noi.

Se non vogliamo che il racconto di Gesù e il fascino della sua presenza si fermino: "Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Dunque la missione, i missionari. Ma anche a questo proposito è avvenuto qualche fraintendimento quando ha preso piede in mezzo a noi l'idea che la missione di aprire a Gesù fosse un compito riservato solo ai missionari o che i popoli bisognosi di evangelizzazione fossero semplicemente quelli che abitano terre lontane.

Ma c'è anche una esitazione - confessiamolo - che ci prende quando qualcuno ci ricorda, come rivolta a noi, questa consegna del Signore, questo suo mandato ad andare e a fare discepoli. Un'esitazione che viene da un senso di inadeguatezza o, se volete, da un senso di sproporzione. "Ma chi? Noi?".

Ebbene il racconto dell'incontro di Gesù risorto con gli undici, da questo punto di vista - anche da questo punto di vista - è sorprendente. Secondo il vangelo di Matteo non lo avevano ancora visto risorto ed erano lì perché alcune donne, su suggerimento di un angelo, avevano portato loro l'appuntamento da parte di Gesù. L'appuntamento era sul monte. Pensate erano undici, uno aveva tradito. E loro undici nella notte si erano dileguati. Undici, non solo, ma Matteo registra una cosa che ha dell'incredibile. Dice di loro che "dubitavano". Davanti a lui risorto!

Matteo scrive: "Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono". Fossimo stati noi al posto di Gesù o come certi uomini di chiesa che "o sei in ordine o mai più!", ci saremmo guardati bene di dare proprio a loro il mandato per le nazioni! E lui, invece no. E io a pensare - forse mi sbaglio - che a convincere quegli undici, a vincere il loro dubbi, forse era stata proprio quella fiducia, che aveva dell'incredibile, del loro Maestro. Lo avevano visto sempre così nella vita! Sbilanciato - perdonate il termine - sbilanciato a dare fiducia, a quelli sui quali nessun altro avrebbe scommesso.

E ora penso che io non sono meglio di quei discepoli. Che non meriterei che lui scommettesse su di me. Eppure a me e a voi lui dice "Andate. Fate discepoli". "Fate discepoli" che non è "indottrinate", ma fate intravvedere agli altri che avventura sia seguirlo, la bellezza di seguire lui, Gesù, che fortuna sarebbe, per questa terra che amiamo, seguire lui e le sue orme! Ma perché succeda - lasciatemi dire - occorre un sussulto di entusiasmo.

Ed è quello che registriamo nella chiesa di Antiochia di cui oggi parlavano gli Atti degli apostoli. Non una chiesa di piagnistei o di lamenti. E - lasciatemi dire - ne avrebbero avuto ben più di una ragione: li avevano dispersi con la persecuzione da Gerusalemme. E invece - vedete cosa succede quando si è animati dallo Spirito - che cosa fanno? Fanno della dispersione in Siria, un'occasione per raccontare di Gesù. E la lettura oggi ricordava nomi. Certo per la missione alle popolazioni lontane poi si scelgono Barnaba e Paolo. Ma non sono i soli nomi. E non sono tutti profeti e maestri. Comunque una cosa è splendida che sanno cogliere le nuove situazioni, non si lamentano, inventano.

Il discorso sarebbe lungo, lungo anche nel descrivere le nuove situazioni di oggi. Dove è facile fare lamento, anziché cogliere l'occasione. Il lamento: "Ma non sono sposati, ma sono divorziati, ma non hanno fatto battezzare il bambino, ma non sono praticanti..." E potremmo continuare a lungo.

Ebbene cogli l'occasione. Per raccontare di Gesù. Come? E sul come - come oggi evangelizzare - ci sarebbe da aprire un altro discorso. Anni fa in una sua lettera alla città di Milano il card. Martini recensiva diverse forme di evangelizzazione. Per proclamazione, per convocazione, per attrazione, per irradiazione, per contagio, per lievitazione.

Il Cardinale propendeva a dire che oggi, nelle mutate situazioni del nostro tempo, forse hanno minore incidenza le proclamazioni dall'alto o i raduni oceanici, e invece il cammino della fede può più efficacemente prendere inizio da una domanda che nasce dalla vita, dalla vita dell'altro, dalla vita degli altri: attratti da una vita buona che irradia dall'altro, dagli altri, quasi fossimo positivamente contagiati, quasi ci fosse lasciato in cuore un piccolo seme.

Se la consegna "andate, fate discepoli" si riducesse a chiedere proclamazioni o convocazioni, moliti di noi si sentirebbero inadeguati. Non siamo gente da palco. Ma il racconto no, il racconto della nostra vita non ha bisogno di palchi, ci sono convocazioni minori: possono essere lungo i marciapiedi delle nostre strade o dentro le pareti delle nostre case.

Dove ci si parla, dove ci si chiede se vale la pena di vivere o perché vivere, dove ci si chiede il perché di tante cose. E il nostro pensiero, il nostro racconto va d'istinto a Gesù. Piccoli, inadeguati, ma affidati a una promessa: "Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".

 

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