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TESTO Inferno o paradiso: è una scelta fatta qui

mons. Roberto Brunelli

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/09/2016)

Vangelo: Lc 16,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Un doppio monito presentano le letture di oggi, circa le conseguenze dei propri comportamenti. Continua il discorso sui beni materiali: domenica scorsa si parlava dei beni male acquisiti, tramite imbrogli e vessazioni; oggi, dei beni male usati, perché sprecati nel superfluo, ignorando chi è nel bisogno.

Il profeta Amos, nel brano di domenica scorsa, aveva parlato dei commercianti che fremevano nei giorni del forzato riposo, in attesa di riprendere i loro affari disonesti; nel passo odierno (6,1-7) delinea, con amara ironia, il quadro dei dissoluti che "distesi su letti d'avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla; canterellano al suono dell'arpa, bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati. Ma della rovina di Giuseppe [cioè il regno d'Israele] non si preoccupano".


 Il vangelo domenica scorsa presentava la parabola dell'amministratore disonesto; oggi con un'altra parabola (Luca 16,19-31) parla di pranzi e cene. "C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe".

Non sfugga una finissima ma sostanziale differenza: il povero ha un nome, il ricco no; davanti a Dio il povero ha dignità di persona: chiamandolo per nome, Dio gli presta quell'attenzione che spesso il mondo gli nega. A parte ciò, entrambe le letture si concludono presentando le conseguenze dell'incoscienza di quei ricchi: Amos profetizza l'imminente caduta del regno nelle mani dei feroci Assiri, i quali ne deporteranno gli abitanti, e per il loro comportamento i ricchi dissoluti "andranno in esilio in testa ai deportati", mentre la parabola del vangelo continua così: "Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo", cioè accanto al patriarca, nel luogo degli eletti cari a Dio. "Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui".


 Oltre a manifestare le conseguenze dell'insensibilità verso chi è nel bisogno, la parabola tocca anche altri temi. La vita eterna, per esempio, che sarà nella consolazione o nel tormento. Dall'inferno, il ricco grida ad Abramo di mandare Lazzaro ad alleviare le sue sofferenze con almeno una goccia d'acqua. Impossibile, è la risposta, mentre inutile è la richiesta successiva: che Lazzaro vada ad ammonire i fratelli del ricco, dediti a una vita come la sua, perché non finiscano anch'essi all'inferno. Abramo risponde: per non finire come te, ascoltino Mosè e i Profeti, vale a dire seguano gli insegnamenti della Sacra Scrittura, Parola di Dio. Il ricco insiste: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti".


 Bella risposta, si direbbe diretta anche a quanti per credere reclamano miracoli, salvo poi, quando i miracoli avvengono, trovare mille pretesti per non riconoscerli. Peraltro, il cristiano crede proprio perché Uno è risorto dai morti, e nutre la speranza di giungere un giorno accanto a lui. Nella gara della vita, conseguire la meta non dipende dal caso, come un terno al lotto; paradossalmente non dipende neppure dalla volontà di Dio, il quale a tutti indica la strada e alla fine si limita a registrare la volontà dei concorrenti. La strada, suggerisce la parabola, è quella tracciata dalla Parola di Dio, da accogliere e tradurre nel vissuto quotidiano, specie per quanto riguarda l'uso dei propri beni e l'attenzione a chi è in difficoltà. Dunque, si finisce all'inferno o in paradiso non per caso, né per una capricciosa decisione del Giudice. E' una scelta, fatta ora, fatta qui.


 

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