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TESTO Fa' come Dio, diventa uomo

don Angelo Casati  

I domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (04/09/2016)

Vangelo: Mt 4,12-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 4,12-17

12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

15Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,

sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

16Il popolo che abitava nelle tenebre

vide una grande luce,

per quelli che abitavano in regione e ombra di morte

una luce è sorta.

17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

La notizia lo aveva raggiunto a Nazaret. Notizia devastante: Giovanni era stato arrestato. Ci è facile immaginare quanto sia stato scosso Gesù da un simile annuncio! Scosso per il dolore. Ma scosso, secondo l'evangelista Matteo, anche in un altro senso: fu quasi una spinta a un cambiamento radicale, a una conversione. Perdonate se uso il termine "conversione", un tema su cui indugeremo in questo commento al vangelo della domenica.

Noi al termine "conversione" abbiamo dato prevalentemente una connotazione negativa - convertirsi da una vita malvagia - con la conseguenza ovvia che il termine acquisisse ai nostri occhi l'immagine di chissà quali penitenze da mettere in atto: fare lutto e coprirsi di cenere. Una visione che parla al passato, una visione, oserei dire, triste, legata a mortificazioni, a pratiche cosiddette ascetiche.

Quando invece il termine "conversione" è più vicino all'idea del "cambiamento", parla al futuro, evoca una inversione di marcia. Verso una vita che sia più vita, verso una via che risponda alle attese più profonde che abitano il nostro cuore. Lasci, ma ti spalanchi. E' ciò che fa Gesù alla notizia dell'arresto di Giovanni Battista: "Lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafarnao".

Lascia il piccolo borgo, dove tutti si conoscono, dove la vita tutto sommato scorre tranquilla, vita tranquilla, ma anche un po' chiusa, i ritmi quelli di sempre, per lo più dettati dai campi, non si va oltre. Cafarnao invece è una città di lago, un crocevia di genti, si respira l'aria dei centri dove ci si incontra, a dominare sono gli scambi, il commercio tra chi risiede e chi vi arriva. Che cosa significava per Gesù andare a Cafarnao?

Perdonate se ritorno su alcune parole del card. Martini, che penso di avervi già proposto anni fa, ma per me sono illuminanti. Scrive il cardinale. "Andare a Cafarnao vuol dire per Gesù, uscire dall'abituale, dal previsto, affrontare il cambio, gli incontri, ciò che noi oggi chiamiamo affrontare la "modernità", la "complessità", il "pluralismo"... Gesù non affronta questo cambio quasi a malincuore".

In questo orizzonte il messaggio è di una attualità sconcertante: sembra evocare da vicino i nostri giorni, la nostra stagione, i giorni e la stagione che stiamo vivendo anche come chiesa, come cristiani, come credenti. Lasciare Nazaret, andare a Cafarnao: certo l'effetto può essere sul principio quello di una sorta di spaesamento, "spaesamento", come dice la parola, un "cambiare paese".

Mi chiedo: non è che noi oggi, resistiamo - dico mentalmente - al cambiamento, al cambio di mentalità? La parola "conversione" non significa forse "cambio di mentalità"? E persistiamo a sognare - illudendoci - la vita di Nazaret? Persistiamo a rimpiangere la vita di Nazaret? Ancorati a una mentalità che potremmo chiamare paesana, cedendo a una sorta di risentimento nei confronti delle situazioni nuove che siamo chiamati a vivere, una sorta di risentimento verso parole come "modernità", "complessità", "pluralismo", parole che ormai segnano inesorabilmente il nostro tempo?

Mi colpiva nelle parole del cardinale quel suo cenno finale: "Gesù" scrive "non affronta questo cambio quasi a malincuore". Forse qui sta il problema. Gesù legge il suo andare a Cafarnao come una chiamata, una chiamata a dare un compimento a lontane parole del profeta Isaia: "Terra di Zabulon e terra di Neftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti".

"Delle genti" - voi mi capite - una terra dove in qualche modo si incrociano e si confrontano tradizioni diverse. Anche per questo la Galilea non godeva di buona fama, aveva fama di terra lontana dalla purezza delle ortodossie. Ebbene Matteo citando Isaia, cita parole che vedono, proprio in questo cambio di orizzonte, una opportunità. Eccole: "Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta".

Qui, dicevo, sta il problema e, direi, anche la distanza tra noi e Gesù: mentre Gesù leggeva la terra di confine come un'opportunità per la luce, noi leggiamo spesso, troppo spesso le situazioni di confine "a malincuore", con un "male in cuore", senza speranza. Si apriva nei territori di confine, nella Galilea, una grande opportunità.

E il vangelo di Matteo dà a questa opportunità un'immagine e un nome. Un'immagine: la luce. Un nome: Gesù. Gesù, la luce del mondo, luce per tutti. Mi sono chiesto dove oggi noi vediamo una opportunità per la fede in una stagione di credenti, non credenti, diversamente credenti, nella nostra Galilea delle genti. Mi sono chiesto se ancora crediamo che la nostra opportunità è Gesù: annunciare Gesù e il suo vangelo. Che troppo spesso abbiamo velato sotto una coltre di abitudini religiose opache e stanche.

L'appello alla conversione, "convertitevi", è innanzitutto un appello ad aprirci a Gesù, a camminare sulle sue tracce. Scrive un biblista spagnolo, Josè Antonio Pagola: "Nella chiesa c'è una grande luce. E' Gesù, In lui ci si rivela Dio. Non dobbiamo occultarlo col nostro pragmatismo. Non dobbiamo sostituirlo con nulla. Non dobbiamo trasformarlo in dottrina teorica, in fredda teologia o in parola noiosa. Se la luce di Gesù si spegne, noi cristiani diventeremmo ciò che Gesù temeva tanto: dei ciechi che cercano di guidare altri ciechi".

Ebbene se la vera conversione è convertirci a Gesù, voi capite come il termine "conversione" perda ogni traccia di restringimento e di distanza. Non siamo chiamati a restringerci in umanità o a creare distanze. Gesù è pienamente uomo e si immerge nella nostra umanità. Convertirsi è un appello ad allontanarsi da ogni forma di disumanità, un appello ad immergerci nell'umanità più vera. Mi risuona nella mente l'invito di un altro biblista, don Giovanni Giorgis, che era solito ripetere: "Fa' come Dio, diventa uomo!".

Ecco il programma di una vera conversione: "Fa' come Dio, diventa uomo!".

 

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