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TESTO Ma chi ci crediamo di essere?

don Alberto Brignoli  

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/08/2016)

Vangelo: Lc 14,1.7-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,1.7-14

Avvenne che 1un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Capita a tutti di organizzare un pranzo o una cena, soprattutto in questo periodo estivo: pensiamo anche solo alla classica "pizzata" tra amici. A parte la difficoltà di trovare il giorno che vada bene a tutti (o ai più), la difficoltà maggiore è proprio quella di stabilire chi siano "i più", cioè le persone che certamente non possono mancare, e di conseguenza quelle che possono pure mancare, ma soprattutto quelle che è bene che manchino Eh, già, perché non solo è la natura a fare la selezione eliminando uomini e cose a volte in frazioni di minuto, come drammaticamente stiamo assistendo in questi giorni nel cuore del nostro Bel Paese; ci mettiamo anche noi a fare "discernimento" e selezione su chi vogliamo o non vogliamo intorno a noi... E allora, subito a distinguere tra amico simpatico e conoscente antipatico, tra parente preferito e parente da evitare: e se proprio non riusciamo a fare a meno di invitare qualcuno o a fare in maniera che una determinata persona non venga a cena con il gruppo di amici, cerchiamo perlomeno di arrivare il prima possibile a tavola e di riservarci i posti che ci piacciono, lasciando ai margini della tavolata le persone scomode. La logica della "cricca", del gruppetto che mi gratifica e con cui mi sento a mio agio, pare sia una logica antica quanto il mondo e profondamente radicata nell'animo umano, se addirittura Gesù, un giorno, ha dovuto spendere parole al riguardo: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio".

Il Vangelo di oggi non è propriamente, come potrebbe sembrare, un insegnamento sull'umiltà, ma sulla carità in generale, che deve avere, alla base, un atteggiamento di profonda umiltà nei confronti della vita; cosa che spesso manca a ognuno di noi, a chi più e a chi meno. Al tempo di Gesù, con tutta probabilità, il banchetto era l'occasione per certe persone di mettere in mostra la propria superiorità e il proprio orgoglio, oltre che la propria ingordigia: e questo faceva ancor più specie quando avveniva per mano delle autorità religiose, che tutto avrebbero dovuto fare meno che creare discriminazioni. Invece, la ricerca dei primi posti nei banchetti (dove si veniva serviti per primi e quindi con i cibi migliori senza il rischio che terminassero), la ricercatezza nel vestirsi e adornarsi per bene (che da forma di rispetto nei confronti dell'ospite si trasformava in ostentazione della vanità del corpo, né più né meno di quanto avviene anche oggi) e soprattutto il tentativo di evitare il più possibile di sedersi a fianco di persone scomode a tavola, trasformava la principale occasione di condivisione e di comunione in opportunità di discriminazione e di emarginazione. Il mangiare insieme è quanto di più cordiale e conviviale ci possa essere: trasformarlo in un'attività discriminatoria è quanto meno poco educato, se non addirittura diabolico.

E pensare che questa mancanza di carità nei confronti del prossimo, altro non è se non il risultato di un atteggiamento di superbia e di superiorità nei confronti degli altri; e pensare che questa mancanza di carità, frutto della nostra scarsa umiltà, è un atteggiamento fortemente presente anche nelle nostre comunità cristiane, anche in noi che ci diciamo e ci cantiamo spesso "Chiesa di Dio, popolo in festa", "Chiesa di persone e non di mattoni", "Chiesa del Signore a cui tutti i popoli verranno" e avanti così, con il libretto dei canti tra le mani. Se pensassimo e credessimo veramente a ciò che cantiamo, forse le nostre comunità cristiane sarebbero davvero il luogo dell'accoglienza e della condivisione. Invece, spesso, diventano il luogo per esprimere la propria superiorità nei confronti degli altri: e poiché questi discorsi Gesù li faceva alle autorità religiose del suo tempo, tutti quanti, a partire proprio da noi che abbiamo una responsabilità all'interno della comunità ecclesiale, siamo chiamati a un serio esame di coscienza sul nostro modo di trattare gli altri.

E i modi per far sentire la nostra superiorità nei confronti degli altri sono innumerevoli: dallo sfoggio della nostra cultura e della nostra preparazione, all'utilizzo abusivo della nostra autorità; dalla pretesa di fare sempre tutto noi, al giudizio negativo su ciò che fanno gli altri; dall'incapacità di lavorare in gruppo, al volersi sempre impicciare anche di ciò che non ci riguarda; dal pregiudizio nei confronti di chi è diverso per estrazione sociale, lingua, etnia o religione, alla costruzione di rapporti cordiali solo con le persone che ci vanno a genio... chi più ne ha, più ne metta. Sono tutte cose che avvengono in ogni comunità cristiana, purtroppo, ma che non dovrebbero assolutamente aver ragione di esistere. E che cosa dobbiamo fare per essere comunità accoglienti basate sulla solidarietà e la condivisione? Forse non avremo l'occasione di organizzare banchetti cui poter invitare - come dice il Maestro - "poveri, storpi, zoppi e ciechi" (se quest'occasione l'abbiamo, ben venga); di certo, abbiamo molte opportunità per trattare gli altri tutti alla stessa stregua, senza sentirci privilegiati o migliori degli altri, senza creare comunità cristiane basate sulla logica del gruppetto, della cricca o del "lascia stare che faccio io", svolgendo il nostro servizio senza aspettarci gratificazioni o tornaconti da chicchessia.

Saremo beati, ci dice il Signore, se avremo servito e amato i nostri fratelli, soprattutto quelli che non hanno nulla da restituirci in cambio. E facciamo attenzione a ostentare la nostra superiorità, ma pure a ostentare la nostra presunta umiltà, perché l'umiltà è quella virtù che quando la si ha, si crede di non averla, e quando si crede di averla, la si è già persa.

 

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