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TESTO Passò alla storia come il miglior Ultimo della classe

don Marco Pozza  

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (28/08/2016)

Vangelo: Lc 14,1.7-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,1.7-14

Avvenne che 1un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Dal punto più distante dalla luce: «Nell'oscurità l'immaginazione lavora più attivamente che in piena luce» (I. Kant). Dal punto più profondo dell'abisso: «Solo finché c'è il gusto dell'abisso c'è avventura umana» (G. Ceronetti). Dal punto più scadente dell'umano, da sempre l'abitacolo dell'Eterno: «Invita poveri, storpi, ciechi, zoppi. Sarai beato: non hanno da ricambiarti». La provocazione cucita addosso al Cristo dei Vangeli trattiene la forza di una cattedrale, l'umile fattezza d'una catapecchia. Sotto i riflettori cede volentieri il posto a chi è nato attore, a chi sogna un giorno d'esserlo: scribi, farisei, dementi, miscredenti. Io, forse tu, qualcun altro. Al buio della sua presenza - ch'è poi alla luce splendida del suo amore di misericordia -, firma invece l'anagrafe alle persone sincere, quelle che nella miseria si sono arricchite d'una povertà-da-imboscate. Povertà che li rende alquanto signori: non han proprio nulla con cui poter restituire.
A scuola il Rabbì era il miglior ultimo della classe: sempre in ultima fila. E' esattamente l'uomo del quale un giorno gli avversi saran costretti a dire che nessuno mai ha parlato come Lui: «"Gli ultimi saranno i primi". Promessa che basterebbe da sola a spiegare la fortuna del cristianesimo» (E. Cioran). E non si potrebbe dire altrimenti di uno che s'è affilato le unghie con chi le unghie le ha perdute grattando i fondali: per risalire la scarpata, per non morire senza una carezza, per non mollare l'appiglio della vita. Partito ultimo - in fila, al Giordano, gomito a gomito con una ciurma di peccatori -, finirà come l'ultimo degli infami, sul patibolo del Golgota-calvo: gomito a gomito con chi aveva irriso la storia, dileggiato la Grazia. E' la storia dell'Ultimo che diventa il Primo, eccezione unica alla morte che non perdona: ancor oggi, a conti fatti, la Risurrezione è rimasta il suo marchio-di-fabbrica. Dalle profondità alle altezze, le vertigini sono identiche: per chi vorrà mostrarsi suo seguace senza minimamente dirlo - ch'è la faccia dell'unica santità che non sia tarocca, taroccata - bazzicare nei bassifondi dell'umano sarà come per un atleta di salto in lungo prendere la rincorsa: s'andrà più lontano, ci si butterà più dentro, si scalerà di più in altezza. Perché «chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Punto, a capo.
I segni-del-potere cercano d'allora gli scribi: la mitria e il pastorale, la veste e la chiave, la faccia e l'anello. Il potere-dei-segni propose loro il Cristo d'Iddio: il sudiciume della polvere, l'odore delle pecore, lo starnuto infettivo dei moribondi. Da sotto a sopra, per mandare il mondo sotto-sopra, facendogli dono della vergogna d'essersi pensato raccomandato solo perché seduto prima dell'ultimo arrivato: «Non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: "Cedigli il posto". Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto». Non solo d'umiltà son imbevute le parole del Cielo, trattengono pure un concentramento d'umano, un battito d'allegrezza a vantaggio dei perdenti: uno più-degno. Non uno più importante, uno meglio vestito, anche solo una faccia-più-nota. E' l'esser-degno di Paolo, l'indegno riaccreditato per pura grazia, restaurato con purezza di grazia, la parola diventata graziosa: «Io sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio».
E' tutta l'estate che Cristo viaggia a profilo-basso, divertendosi ad invertire le prospettive di chi si pensa già salvato per merito: la gioia dentro la tristezza, il guadagno d'amore nascosto nell'apparente perdita degli amori, l'Eterno dentro un granello di sabbia. Cristo nelle fibre sfiancate dei miserabili: nel camminare dello storpio, nella vista arguta di un cieco, nell'andatura sciancata dello zoppo, nel lusso sfrenato di un povero. Non fosse Cristo, sarebbe un illusionista: «Una religione che promette un futuro di beatitudine agli ultimi della terra, non poteva che avere un grandissimo seguito, perché il mondo è fatto in gran parte di ultimi smaniosi di riscatto» (M. Soriano). Siccome è Cristo, però, la faccenda è delle più serie: in alto, solo partendo da lontano. Dal basso: il paese che non ha nulla con cui contraccambiare. Dove l'amore, quando s'accende, è gratuito. Angelico.

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