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don Walter Magni  

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XII domenica dopo Pentecoste (Anno C) (07/08/2016)

Vangelo: Mt 23,37–24,2 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 23,37–24,2

37Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 38Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta! 39Vi dico infatti che non mi vedrete più, fino a quando non direte:

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

1Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. 2Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta».

In questi giorni, meditando sul brano evangelico di questa domenica, sono stato preso da una profonda commozione, pensando a Gesù. Chissà cosa gli passava per la mente, mentre guardava al Tempio e contemplava Gerusalemme.
Penso alla fatica che anche noi facciamo a volte, quando certe situazioni raggiungono livelli insopportabili e il cuore ti scoppia dentro, mentre vorresti gridare, vorresti trovare qualcuno che ti comprende e che ti ascolta.

Indignazione
Se ci rifacciamo all'intero capitolo 23° di Matteo, che termina col brano evangelico odierno, certe immagini ingessate di Gesù non hanno più senso. L'idea di un Gesù saggio e virtuoso che si contiene, in un atteggiamento che non si lascia scalfire dagli eventi, restando imperturbabile, non tiene più.
Cosa aveva nel cuore Gesù in quel momento? Cosa Si portava dentro subito dopo esserSi scontrato con i farisei nell'atrio del Tempio, dopo aver urlato tutti quei "guai a voi" così roventi? Gesù, quei capi religiosi li aveva voluti inchiodare alla verità della loro vita. Smascherando le mistificazioni con cui abilmente cercavano di coprirsi, sino a tacciarli di ipocrisia: "Guai a voi scribi e farisei ipocriti".
Un'espressione che ripeterà per ben cinque volte, rincarando la dose: "guai a voi guide cieche".
Com'è possibile che i suoi occhi non fossero accesi e il suo volto infiammato? Qualcuno un giorno aveva anche tentato di riportarLo a più miti consigli, facendoGli notare che con un comportamento simile quelli si sarebbero sentiti offesi e le conseguenze sarebbero state molto pesanti. Ma l'invito alla moderazione era andato a vuoto. Reagendo in quel modo Gesù aveva tentato, forse in modo estremo, di aprire loro gli occhi. Aprendo gli occhi anche alla gente che aveva assistito alle Sue invettive, perché non si lasciassero manipolare. Come dicesse: "Guardateli! Rendetevi conto bene con chi avete a che fare!". Un invito che dovremmo raccogliere pure noi. Cercando di comprendere bene le ragioni profonde e spesso nascoste per le quali certi fatti avvengono e vengono tenuti certi comportamenti.

Tenerezza
Eppure, se leggessimo attentamente il brano evangelico odierno, scopriremmo che quella forte indignazione era accompagnata da sentimenti di una tenerezza infinita. Anzi, quell'indignazione era generata proprio da questa stessa tenerezza. Da un affetto che sta nel cuore stesso di Dio. La tenerezza che sentiamo vibrare proprio in quel nome ripetuto. Il nome della città che tanto amava: "Gerusalemme, Gerusalemme". Accompagnato dall'immagine della chioccia coi pulcini.
Parole che Gli uscivano come soffocate in un grido, come avesse un groppo in gola: "Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali e voi non avete voluto. Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta. Vi dico infatti che non mi vedrete più".
Gesù esce dal Tempio con questo stato d'animo. Come se quel luogo di culto diventasse di colpo una casa deserta, vuota della presenza santa di Dio. Come se proprio quegli scribi e farisei L'avessero mandato in esilio, condannandolo a morte. Come se alla Sua indignazione e alla tenerezza, seguisse ora lo spaesamento. Tanto che, appena fuori dal Tempio, Gli si avvicinarono i discepoli che per distrarLo Gli facevano notare la bellezza e l'eleganza di quell'edificio maestoso. Forse addirittura volevano contenere l'emozione profonda del loro Maestro.
Lui però, di tutta risposta, col cuore ancora gonfio dice loro: guardate che "non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta". Come dicesse loro: "guardate che siete voi, fuori dalla realtà. Aprite gli occhi, mettete i piedi per terra".

Pianto
Stando al racconto di Luca, di li a poco, in quello stesso giorno Gesù entrerà in Gerusalemme, seduto sulla schiena di puledro d'asino. Poi, "quando fu vicino alla vista della sua città pianse su di essa" (Lc 19.41), annunciando così pubblicamente i giorni della sua distruzione.
Dunque, Gesù piange. Le Sue parole possono anche essere indignate o accorate, ma la ragione è una sola. A devastarLo interiormente è, infatti, il pensiero che quella città, che pure Lui tanto amava come ogni ebreo, di lì a poco sarebbe stata distrutta. Questo Lo dilaniava dentro, portandoLo al pianto. Preso da un anelito di custodia, di conservazione. Potremmo anche dire: di salvezza. Come la chioccia fa coi suoi pulcini.
Gerusalemme, città che si porta nel nome un annuncio di pace, ma che continua però a rappresentare ancora oggi nel mondo una sorta di baluardo di guerra. Carica di divergenze di ogni tipo. Paradosso di una città che è stata distrutta ben diciassette volte. Quasi una sorta di crocevia di contraddizioni irrisolte, di soprusi e di violenze improvvise. Riempita di preghiere di ogni genere, attraversata da incomprensibili status quo e di riti persino un po' barocchi e antiquati.
Proprio a Gerusalemme Gesù terminerà la Sua avventura terrena. Prendendo le mosse da qui, i Suoi discepoli cominceranno ad annunciare la definitiva e assoluta vittoria della vita sulla morte, del perdono sulla vendetta, del bene sul male. Come se quel Suo lamento ("Gerusalemme, Gerusalemme..."), si dilatasse lungo tutta la storia che sarebbe seguita. Cominciando da Gerusalemme, proprio con quel pianto, a riaffermare per sempre la vittoria della vita sulla morte, della speranza su ogni disperazione!

 

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