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TESTO Commento su Luca 16,19-31

don Michele Cerutti

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XI domenica dopo Pentecoste (Anno C) (31/07/2016)

Vangelo: Lc 16,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,19-31

19C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 25Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 27E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. 29Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. 30E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. 31Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

La Parola di Dio offerta dalla liturgia ha il compito di scuoterci e scuoterci in maniera forte. Inquadriamo bene le letture per offrire una sintesi.
La prima lettura ci parla di Acab re potente. Fu un sovrano che su influenza e pressione di sua moglie Gezabele di stirpe cananea abbandonò la fede nel Dio di Israele e si convertì al culto del Dio Baal. Osteggiò quindi nel suo regno i fedeli del vero Dio di Israele e favorì in tutti i modi il culto cananeo. Per questo perseguitò crudelmente i profeti del Dio israeliano, in particolare Elia. Nel brano proclamato si manifesta la crudeltà nei confronti di Nabot proprietario di terre e vigne per ottenere i suoi diretti possedimenti, per usurpare i quali non esitò ad orchestrare una cospirazione per farlo uccidere. Acab morì in combattimento, colpito da una freccia, e i cani leccarono il sangue delle sue ferite come aveva preannunciato il profeta Elia.
Acab mostra l'ingordigia del possedimento dei beni.
Una ricerca del possesso dei beni così spaventosa che va a cancellare anche la vita umana. E' il dramma che si vive nelle grandi scelte macroeconomiche è il dramma che si vive nelle scelte dell'economia di tutti i giorni. Cercare di sopraffare l'altro per avere di più. E' il male che mangia tutti quanti e nessuno è escluso. "Avere, avere e avere" è il motto che ci fischia.
In questa logica vuol dire anche annullare chi ci sta vicino. Pensiamo ad esempio alle scene imbarazzanti che si vivono nei tribunali molto spesso intasati per le diatribe legate alle successioni. Di fronte ad una eredità si rompono relazioni tra parenti si coinvolgono avvocati e udienze in cui si manifesta tutta la bassezza umana davanti ai beni materiali. Sono stato testimone di quali manovre si riesce a escogitare per cercare di sopraffare beni messi in successione.
La lezione di Acab e Nabot si ripete spesso nella storia. Mai contenti di quello che si ha. E' la mancanza di contentezza e di gratitudine per quello che si ha già nella vita la causa scatenante di questo attaccarsi ai beni materiali fino a dividere le famiglie. Il rimedio è comprendere proprio quanto si ha già e provare gratitudine parola e motto dell'anima oggi molto in disuso. La logica che ci corrode è quella del tutto dovuto una logica che ci corrompe fino a renderci cupi come lo stesso Acab ci dimostra quando davanti alla risposta negativa di Nabot il suo atteggiamento fu quello di incupirsi e questo lo ha percepito la perfida Gezabele.
Una sfida grande questa oggi più che mai attuale nella società in cui se non si ha non si conta. L'avere che spinge masse a mangiare anche soldi nel gioco tanto da far scoppiare una piaga che è sempre esistita, ma che oggi ha dimensioni importanti quale la ludopatia. Masse di giovani, meno giovani e anziani che spendono stipendi interi nella ricerca di una fortuna molto aleatoria tanto da spingere alcuni al suicidio. Capite allora quante dinamiche escono fuori in questa riflessione che la prima lettura ci offre e che rimane attuali ancor oggi. Dobbiamo coinvolgerci sempre di più nel disancorarci da questa mentalità spaventosa che ci spinge al di là del nostro immaginabile e che ci rende poco attenti alle necessità del nostro vicino.
Queste letture ci mettono in evidenza i comportamenti nei confronti di quelli che sono i nostri vicini. Acab si dimostra geloso nei confronti di Nabot per possedere i suoi beni. Egli guardava quelle terre con una idea di sopraffazione.
Il ricco epulone di cui non si dice il nome rappresenta tutti noi quando ci attacchiamo alle cose neanche si accorgeva di Lazzaro che stava fuori dalla sua porta e viveva nell'indigenza. Magari si occupava di alcuni poveri lontani, ma si disinteressava di quello che trovava tutte le mattine fuori dalla porta.
Anche noi ci occupiamo di quelli che stanno in Africa con passione ci mobilitiamo, ma conosciamo il povero che sta vicino a noi. Ci coinvolgiamo in grandi scelte, ma poi il nostro parente che vive vicino o sul nostro pianerottolo non abbiamo minimamente idea di quello che necessita. Nella nostra comunità viviamo senza immergerci nelle difficoltà degli altri.
Queste settimane in cui siamo chiamati anche a rilassarci un poco di più potrebbe essere occasione per interpellarci su quali sono le occasioni per far del bene e che abbiamo fatto scivolare e quali occasioni in cui si può ripartire per cercare il terreno perduto nella dimensione della carità. Oggi più che mai davanti al male del mondo la risposta non può essere quello del contrasto duro e acceso che i social network ahimè sponsorizzano. La logica sta nel testimoniare la nostra fede nell'esercizio della carità.
La Scrittura la afferma: la fede senza le opere è morta. Una fede testimoniata senza le opere rimane solo a livello intellettuale ma non sconvolge coloro che sono lontani. Una fede senza opere è solo fatta di belle parole. Non saremo giudicati per le tante belle cose che facciamo ma per la prossimità che viviamo con chi vicino a noi è nella difficoltà. Le opere di Matteo 25 si riferiscono alle necessità del presente che viviamo non di quello che nella nostra mente intendiamo fare.
Allora capite come questa liturgia oggi ci sta scuotendo.
Smonta tante nostri egoismi e tante nostre fragilità nell'attenzione all'altro. Ci rende consapevoli del nostro grande peccato di omissione e di disattenzione nei confronti dei nostri vicini. Molte volte cerchiamo di tranquillizzare la coscienza dando qualche soldo ma senza interpellarci minimamente su quali sono le necessità di chi domanda con insistenza soldi.
Rivolgiamoci alla Vergine Maria Ella sempre presente nei momenti di difficoltà del Signore chiediamo l'assistenza dei grandi Santi della Carità. Questi hanno iniziato il loro cammino di santità nell'attenzione delle situazioni che li circondavano.
Il Cottolengo la sua intuizione ebbe origine il 2 settembre 1827 quando a Torino venne chiamato al capezzale di una donna francese al sesto mese di gravidanza, tale Giovanna Maria Gonnet, affetta da tubercolosi e morente. Ella era stata portata dal marito in più ospedali di Torino, ma in nessuno venne accettata per il ricovero perché le inevitabili perdite di sangue avrebbero potuto innescare un'epidemia tra le altre madri e i neonati .Di fronte alla tremenda agonia della giovane, lasciata morire in una misera stalla circondata dal dolore dei suoi figli piangenti, il Cottolengo sentì l'urgenza interiore di creare un ricovero dove potessero essere accolti e soddisfatti i bisogni assistenziali che non trovavano risposta altrove. Con l'aiuto di alcune donne, il 17 gennaio 1828 aprì nel centro di Torino il Deposito de' poveri infermi del Corpus Domini.
La loro è stata una attenzione a situazioni viste con i loro occhi toccate con mano e che hanno portato a spingersi con il cuore alle necessità dei fratelli. Se non ci si allena anche con le difficoltà e con le inevitabili cadute allora non si è pronti a questa attenzione nei confronti di chi si incontra.

 

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