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TESTO La quaresima: il senso di un tempo forte

don Fulvio Bertellini

I Domenica di Quaresima (Anno A) (09/02/2005)

Vangelo: Mt 4,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Come ogni gesto liturgico, anche il riservare un tempo forte per accogliere l'invito alla conversione ha un significato innanzitutto simbolico. In particolare, qui si tratta di un simbolismo dettato dalla Scrittura stessa: i quarant'anni del popolo nel deserto, i quaranta giorni del pellegrinaggio di Elia al monte di Dio, i quaranta giorni di digiuno di Gesù prima di cominciare la sua missione bastano a circoscrivere il tempo simbolico della "prova", che segue e precede il dono di grazia. Un tempo in cui dedicarsi con forza all'essenziale: riscoprire Dio, lasciarsi toccare dal suo amore. Nelle varie culture bibliche ed ecclesiastiche l'esperienza della riscoperta è definita con categorie simboliche diverse: in ebraico il verbo sûb, "tornare indietro", tradotto da noi con "conversione", che significa fare una svolta, cambiare un percorso sbagliato, ritrovare i propri passi; in greco il termine usato è metanoia, "cambiamento della mente", o "trasformazione del cuore", che definisce l'ambito più interiore dell'evento, così come il latino paenitentia, da noi ricalcato come "penitenza", che purtroppo ha assunto ormai il significato quasi burocratico di "opera penitenziale", da eseguire meccanicamente. Il concetto latino è invece legato a quello, bellissimo di "pentimento", o "ravvedimento del cuore", e non è dovuto ad un semplice autoconvincimento del soggetto: è lo Spirito stesso che, con il suo amore, "ferisce il cuore", lo "fa pentire", e lo conduce al dispiacere per il proprio peccato. Ora so già che nella mente dei lettori sta già balzando un'obiezione: tutto questo non è il succo della vita cristiana? Non è da vivere tutto l'anno, in ogni tempo? E la prova non può capitarti in ogni momento della vita, anche al di fuori della Quaresima? E' un nobile pensiero, teoricamente giusto. Ma non viene dallo Spirito. Spinte da nobili pensieri teorici, innumerevoli persone trascurano proprio di cominciare in pratica. Rifiutando le piccole prove, cadono di fronte alle grandi. Chi invece accoglie nella fede il lieto messaggio del Vangelo, è ben contento di avere un tempo forte di conversione, di pentimento, di ravvedimento, da non vivere da solo, ma insieme a molto fratelli. Un piccolo tempo di prova, non scelto da lui, ma dalla Chiesa.

Certamente, le critiche aiutano a correggere il tiro. Quaresima non è solo gesti esteriori, come per timbrare il cartellino delle "penitenze" o dei "digiuni". Il Vangelo ce lo dice: è un fatto del cuore. E' il nostro cuore presuntuoso che deve lasciarsi guarire dalla grazia...

COMMENTO

La breve narrazione di Marco pone le tentazioni di Gesù in parallelo con la scena della Genesi. In Matteo e Luca l'orizzonte si amplia: il riferimento biblico è all'Esodo e alle varie tentazioni della storia del popolo di Israele. Così cresce anche il valore didattico: come vedremo, sono le stesse tentazioni che nella nostra vita siamo chiamati ad affrontare, quelle che Gesù vince, ci insegna a combattere, e ci dà la forza per farlo.

Notiamo che le prime due tentazioni partono dall'essere Figli di Dio. L'ultima, dalla pura sete di potere. L'inizio è velato dall'inganno. Poi il velo si toglie, e la tentazione appare in tutta la sua radicalità: mettere un altro al posto di Dio.

Il pane

La prima tentazione consiste nel servirsi di Dio per soddisfare i propri bisogni materiali. Si presenta in forma suadente e indolore: "Se sei Figlio di Dio...". La relazione con Dio ne verrebbe compromessa: Dio ridotto a colui che soddisfa il nostro bisogno materiale. In realtà, il bisogno diverrebbe il nostro Dio. Era la tentazione di Israele nel deserto (dubitare di Dio, in assenza del pane), ed era la tentazione di Israele nella Terra Promessa (dimenticare che la terra e i suoi frutti restano dono di Dio). Il digiuno è il segno fondamentale, per ricordarci, prima che sia troppo tardi, che la vita e ogni cibo che la alimenta restano dono di Dio, e che c'è un altro dono, ancora più fondamentale: Gesù lo rinfaccia al tentatore. "Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". Senza la Parola, la vita resta vuota, pura sussistenza biologica, lotta per la sopravvivenza contro la natura e i propri simili. Solo la Parola di Dio, esplicitamente o implicitamente accolta, permette alla vita di diventare relazione e comunione.

Gli angeli

La seconda tentazione in Matteo è il servirsi di Dio per soddisfare il proprio bisogno di successo. E' espressa con la citazione di un salmo, ed è per questo ancora più insidiosa, perché si basa sulla promessa stessa di Dio. La promessa buona di essere il "Dio-con-noi". Per noi è la pretesa di essere preservati da ogni sciagura. Per Israele, la pretesa di vedere Dio al proprio fianco, per combattere le proprie battaglie, per sconfiggere i propri nemici. A volte anche noi, allo stesso modo, vorremmo vedere i nostri progetti santificati dall'alto, resi invincibili da una forza superiore. Mentre ci è richiesto di metterci umilmente a disposizione di un altro progetto. Occorre ascoltare tutta intera la rivelazione, non selezionare ciò che più fa comodo. Gesù risponde con il comandamento "Non tentare il Signore Dio tuo". Non possiamo imporre a Dio le nostre prove di amore.

La gloria dei regni del mondo

La terza tentazione in Matteo è quella del potere. Esso non ha bisogno di rivestirsi di bontà e rispettabilità: appare buono di per sé, dotato di una sua "gloria". Per fare del bene, così noi pensiamo, occorre avere questo potere. Per avere questo potere (soldi, conoscenze, alleanze...) occorre certamente scendere a compromessi. Ma il fine giustifica i mezzi... e se il fine fosse buono? Il prezzo dell'acquisto di un simile potere è chiaro: la rinuncia all'unicità di Dio. Occorre "prostrarsi" a qualcun altro, avere un altro Dio. L'inganno sta proprio in questo: una volta che ci si è inchinati all'idolo, è impossibile tornare indietro. Ed è impossibile usare bene i cattivi mezzi che si sono acquistati. Adorando l'idolo, si è ormai deviati dal bene. Tutta la storia dell'antico popolo di Israele è segnata tragicamente dalla lotta per il potere, che distoglie il popolo dall'adorazione dell'unico Dio, ed è istruttiva ancor oggi per i politici, ma soprattutto per la Chiesa. Una Chiesa che ricerca qualunque forma di potere rischia di perdere se stessa. Gesù reagisce con forza contro l'ultima e la più insidiosa tentazione: "Adora il Signore tuo Dio, e a lui solo rendi culto", dandoci così la chiave interpretativa fondamentale per la nostra Quaresima: riscoprire Dio e la sua sovranità sulla nostra vita. Riscoprire l'essenzialità, contro i falsi idoli che prendono il sopravvento e ci rendono schiavi. Ma noi vogliamo ascoltare la sua voce?

Flash sulla I lettura

Dietro l'apparente semplicità del racconto, che troppo spesso nelle nostre esposizioni catechistiche si riduce a favoletta per bambini, si nasconde la verità profonda sulla nostra condizione umana, espressa nell'unico linguaggio possibile, che per la sua efficacia ha saputo attraversare i tempi. Da più di un secolo si approfondiscono e revisionano varie ipotesi scientifiche sull'origine biologica della specie umana; ma la questione posta dal testo della Genesi è di natura diversa, e si pone con ben diversa urgenza. Si tratta di sapere qualcosa al di là della costituzione biologica dell'animale classificato dagli scienziati come "homo sapiens". Questo essere è uguale agli altri esseri viventi? O ha qualcosa in più? O ciò che lo distingue è soltanto una diversa struttura intellettiva? Una spiccata capacità di elaborare strumenti, forme di pensiero e di calcolo, che suppliscono alle sue deficienze biologiche? La risposta della Scrittura va in una direzione diversa. Vede una differenza qualitativa tra l'uomo e gli altri viventi, che risiede in ultima analisi nel suo rapporto con Dio. L'uomo riceve un soffio vitale come gli altri animali, ma è anche dotato di autocoscienza; e ha un posto privilegiato nella creazione, simboleggiato dal giardino di Eden. Il comandamento che Dio impone all'uomo (o meglio: alla coppia uomo/donna) indica che è creato come essere libero; a differenza degli altri animali, dovrà liberamente scegliere il suo destino; inoltre, il comandamento pone un limite al suo agire: ci sono realtà che restano al di sopra dell'umanità (rappresentate dall'"albero della vita" e della "conoscenza del bene e del male"), su cui non si può avere un dominio assoluto. La tentazione consiste in un uso sbagliato della libertà, con cui l'uomo si pone al posto di Dio. Si tratta di una prospettiva allettante, ma illusoria: al termine dell'esperienza che doveva dargli la divinità, la coppia originaria (che rappresenta ogni essere umano, di ogni tempo) fa esperienza della propria fragilità ("si accorsero di essere nudi").

Flash sulla II lettura

"Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo...": Paolo, partendo dalla narrazione della Genesi, sviluppa la sua teologia della salvezza, da cui ricava la sua teologia del peccato. Dall'ingresso del peccato nel mondo, è derivata la "morte", espressione che forse non indica solo la morte fisica, ma anche la morte come separazione da Dio, e come esito pauroso e terribile dell'esistenza.

"Fino alla legge infatti c'era peccato nel mondo": tutta la storia che precede Gesù è vista come storia segnata dal peccato e dalla morte, anche la storia prima della legge di Mosè (che secondo il pensiero di Paolo, serve a rendere manifesto il peccato). Noi potremmo aggiungere: ogni storia umana che pretenda di costruirsi al di fuori di Gesù, rischia di essere segnata dal peccato e dalla morte. E saremmo tentati di dire che anche oggi chiunque pretende di costruire una storia di salvezza al di fuori della croce e risurrezione, insegue una vana pretesa. Ma il testo di Paolo ci sorprende per la sua universalità: "la grazia e il dono... si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini"...si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita" "Tutti saranno costituiti giusti". La salvezza inaugurata da Cristo, nuovo Adamo, è aperta a tutti, senza confini, e costituisce una realtà universale nella storia umana. La comunità dei credenti è chiamata a testimoniare l'offerta di grazia, senza averne l'esclusiva.

 

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