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TESTO Trentatreesima Domenica Ordinaria/A

Totustuus  

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (17/11/2002)

Vangelo: Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

NESSO TRA LE LETTURE

La liturgia c'invita a considerare che la vita è un talento, un dono che il Signore ci ha fatto e che dobbiamo far fruttificare.

Questa trentatreesima domenica del tempo ordinario ci aiuta a predisporci per la solennità di Cristo Re dell'Universo. Il giorno del Signore, ci dice Paolo nella lettera ai Tessalonicesi, arriverà come un ladro, inaspettatamente e, per ciò, dobbiamo vigilare e vivere prudentemente per non esser sorpresi (seconda lettura). Il vangelo paragona la vita umana a un dono fatto da Dio, perché dia frutto. Creandoci, Dio ha voluto condividere con noi qualcosa di se stesso.

Egli desidera che anche la sua creatura diventi "dispensatrice di bene". Perciò, la cosa più sensata che si può fare della propria vita è usarla per produrre frutti abbondanti di carità; "procacciarsi buoni affari" coi talenti ricevuti; mettere in gioco tutte le capacità dell'intelletto e della volontà per produrre quei frutti che Dio si aspetta da noi. Perciò, ciascuno coi propri doni ricevuti deve mettersi al servizio degli altri, con la chiara coscienza che il Signore ritornerà e che dovremo rendere conto, non delle nostre intenzioni, bensì delle opere realizzate (Vangelo).

Il libro dei Proverbi ci mostra l'esempio di una donna che mette a frutto la propria vita e le proprie qualità. Si tratta di una donna operosa, attiva, laboriosa nella carità, diligente nell'operare. Non è restia, vanitosa o egoista. La sua speciale sensibilità non la sfrutta a proprio vantaggio, ma lavora con le sue mani e stende le sue braccia ai bisognosi. Chi trova una donna così, trova un tesoro (prima lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

Il Signore ritornerà. È una verità che proclamiamo nel credo: il Signore "di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti". La sua venuta, come afferma san Paolo, è certa, di più, è imminente, ma non sappiamo né il giorno, né l'ora. Il Catechismo della Chiesa Cattolica esprime molto bene questa verità: "Dopo l'Ascensione, la venuta di Cristo nella gloria è imminente (cf Ap 22, 20), anche se non spetta a noi "conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta" (At 1, 7; cf. Mc 13, 32). Questa venuta escatologica può compiersi in qualsiasi momento (cf. Mt 24, 44: 1Ts 5,2), anche se essa e la prova finale che la precederà sono "impedite" (cf. 2 Ts 2, 3-12)", (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 673).

Il giorno del Signore arriverà improvvisamente, quando nessuno se lo aspetta. Perciò, l'atteggiamento che contraddistingue il cristiano è quello della vigilanza. Come il padre di famiglia vigila affinché il ladro non rubi di notte (cf Lc 12,39), così il cristiano non si abbandona al sonno negligente in questa vita. Cioè, non si abbandona al riposo e alla pigrizia, quando ha davanti ai suoi occhi molte opportunità di fare il bene. A quest'uomo, attento e vigilante, possono essere applicate le parole della Scrittura: "dormivo, ma il mio cuore vigilava" (Cantico dei cantici 5,2).

In realtà, il grande rischio di questa vita è pensare che tutto finisca qui; pensare che le speranze siano ridotte al minimo e che, pertanto, la scelta più redditizia sia godere il più possibile delle opportunità attuali, dato che non sappiamo niente dell'eternità. La tentazione di trasformare la speranza dei beni celesti in speranze terrene è molto insidiosa nel nostro mondo secolarizzato. Questa tentazione consiste nel considerare lo stato attuale come l'unico e definitivo e, di conseguenza, cercare di ottenerne il massimo vantaggio e piacere, perché il futuro sarebbe quantomeno incerto. Si deve reagire fermamente davanti a un errore così macroscopico.

Il cristiano sa di esser passato dalle tenebre del peccato alla luce mirabile della grazia. Egli è stato illuminato, e possiede una viva coscienza di ciò che deve fare in questo mondo. Sa di essere un pellegrino, incamminatosi alla volta della gloria eterna di Dio. Sa che il suo passaggio attraverso questa vita è breve, un puntolino nell'infinito dell'eternità; ma è un passaggio nel quale egli deve lasciare un'orma di bene e di bontà. Il tempo gli è troppo breve per fare tutto il bene che vorrebbe fare.

Lungi da lui una vita che non offre frutti di vita eterna. Come una sentinella, non dorme, ma veglia, osserva, avverte e dà l'allarme, convoca, è operaio diligente, porta a rendimento le doti ricevute. È una sentinella guidato dall'amore e l'amore ignora il rinvio, il ritardo, l'omissione. L'amore è diligente, e si mostra nelle opere. L'amore vigila, e predispone tutto ciò che serve a produrre buoni frutti. L'amore desidera il meglio per l'amato e per coloro che lo seguono.

"Il Signore ritornerà". Bisognerebbe incidere nell'anima questa verità, perché essa è sufficiente a dare un senso trascendente alla nostra vita. Questa consapevolezza ci aiuterà a considerare tutta la realtà umana con la relatività di chi osserva e aspetta l'eternità di Dio. "Il Signore ritornerà": scuotiamo la pigrizia dalle nostre mani, puliamo le incrostazioni della mentalità del mondo, prive della trama della speranza soprannaturale, prive di uno sguardo aperto sull'eternità.

Dobbiamo "commerciare" con i talenti ricevuti da Dio. Non importa se ne abbiamo ricevuti molti o pochi, quel che importa è che nessun talento resti inerte, ma sia investito interamente al servizio di Dio, della Chiesa e dei nostri fratelli. Nessuno è tanto povero da non aver nulla da donare agli altri, da non aver qualcosa da offrire, qualcosa con cui "mercanteggiare". In questo senso il "ricco" non è colui che ha di più, bensì colui che dà di più, colui che offre di più ciò che ha, come dono per gli altri.

I nemici da vincere, dunque, sono l'indolenza, l'inerzia, l'omissione; quella specie di torpore umano e spirituale che anestetizza le migliori qualità del cuore, e ci fa scivolare in una vita sterile e titubante. Il nemico da vincere è la paura, che ci fa nascondere il talento per non rischiare un fallimento. Il cristiano non può spaventarsi di fronte al mondo e alla vita, perché la sua forza è l'amore; perché la sua vita è passata dalle tenebre alla luce; egli è figlio della luce, e vive nell'amore, e l'amore è donazione, è prodezza, è donazione sincera di sé, senza limiti.

"Commerciare" i propri talenti in questa vita può significare:

- superare l'egoismo e il soggettivismo individualista che ci fa ritrarre nel nostro piccolo mondo personale, e ci fa vedere solo i nostri miseri interessi. Così si diventa insensibili davanti alla sofferenza degli innocenti e del prossimo. Chi è egoista non è capace di riconoscere le trasformazioni e le tragedie del mondo, né le sofferenze della Chiesa. I suoi orizzonti di interesse e di generosità si restringono. Nulla è più triste che vivere per se stessi. Nulla è più triste che prendere il talento che è destinato a dar frutto e seppellirlo nel campo sterile del proprio egoismo. L'egoista è già infelice in questa vita, e mette pure a rischio la sua salvezza eterna: "servo malvagio e infingardo", lo definisce il Signore.

- praticare la rinuncia alle nostre tendenze disordinate. L'uomo tende al bene, ma esaminando il suo cuore scopre tendenze disordinate, che non possono avere la propria origine nel suo Creatore. Se vuole mettere i suoi talenti e la sua vita al servizio degli altri, l'uomo deve mettere ordine in quelle tendenze che l'ostacolano, lo ritardano e lo allontanano dalla giusta strada. Deve imparare a rinunciare a se stesso, nei suoi gusti e nei suoi piaceri disordinati, deve imparare a negarsi a se stesso, in accordo con l'ascetica cristiana. Sono parole dure da accettare e da capire per l'uomo moderno e post-moderno, ma sono parole certe, che rispondono alla verità sulla vocazione e sulla dignità dell'essere umano.

- partecipare alla missione apostolica della Chiesa. Per definizione, un cristiano è un apostolo. È un uomo inviato a dar frutti di vita eterna. È una persona chiamata da Cristo a prender parte all'opera della redenzione. Pertanto, è una persona che ha una missione nella vita, e che ha un tempo ben determinato per metterla in atto. Dire che non si ha tempo per fare apostolato e per partecipare alla missione della Chiesa, equivale a dire che non si ha tempo per esser cristiano, dato che l'apostolato è essenziale nella vita cristiana.

Bisognerà, allora, chiedersi se si è consapevoli di questa realtà apostolica; se si sente di esser corresponsabili nel compito della salvezza delle anime. Bisognerà domandarsi se si avverte l'urgenza di far poco o molto, ciò che rientra nelle proprie capacità, per aiutare quest'umanità sofferente, che tanto patisce per la mancanza di Dio. Le possibilità di bene sono enormi, i talenti sono molteplici.

SUGGERIMENTI PASTORALI

Il cristiano vive sobriamente. Il cristiano sa che tutti i beni materiali dei quali dispone in questa vita sono solo strumenti per raggiungere Dio e per dargli gloria. Sarebbe insensato accumulare beni, sapendo che "la tarma" di questo mondo terreno e il passar del tempo li corrode, e che essi non durano per l'eternità. Chi accumula beni terreni, si attacca ad essi e li trasforma in un fine, somiglia a quell'alpinista che raduna tutti gli utensili, prepara i viveri e l'equipaggiamento da scalata, ma non si decide mai ad intraprendere l'ascesa.

A cosa serve, dunque, tanto sforzo e tanto materiale? Che grave errore! Come se quei beni fossero eterni, come se quei beni potessero riempire le aspirazioni del cuore, come se, alla fine della vita, non vi fosse l'incontro definitivo col Signore delle nostre vite.

Perciò, il cristiano usa i beni in quanto lo aiutano a dar gloria a Dio, e a raggiungere il cielo. Questo è il tema del distacco dalle cose create, il tema della carità e della generosità per condividere i beni con i bisognosi; l'argomento che spiega perché vivere sobriamente, usando opportunamente i beni necessari e praticando la benevolenza coi poveri.

Il cristiano vive diligentemente. Uno dei più grandi talenti che abbiamo ricevuto e al quale, deplorevolmente, diamo scarsa importanza è il tempo. Il tempo è un bel dono di Dio. Con esso continuiamo a predisporre la nostra piccola parte nell'opera della salvezza. Con esso collaboriamo con Cristo nella redenzione dell'umanità. Tuttavia, frequentemente usiamo il tempo distrattamente. Infatti, pare che, spesso, più che usare il tempo, lo perdiamo; lasciamo che ci sfugga tra le mani senza far niente di costruttivo, nulla che serva alle future generazioni, niente che porti pace, consolazione e gioia agli altri. Passa un giorno, e poi un altro, e viviamo senza dar trascendenza alle nostre vite e senza realizzare nulla di durevole, senza impegnarci a fondo nelle cose importanti.

Corriamo di qui e di là per fare acquisti, arricchirci, godere dei piaceri di questa vita, e ci dimentichiamo di investire nei beni del cielo. Grave trascuratezza. Il cristiano, perciò, si sforza di vivere diligentemente, facendo tutto il bene che, con le sue povere mani è in grado di fare. L'impegno, dunque, per il nostro tempo è quello di lavorare con diligenza, sfruttando ogni minuto per dare frutti di eternità. Vivere con una sana partecipazione attiva che, come san Paolo, "ci porti a spenderci e a consumarci per il bene dei nostri fratelli".

 

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