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TESTO Anche Dio è solo?

don Alberto Brignoli  

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XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (19/06/2016)

Vangelo: Lc 9,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-24

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

C'è un grande male, di cui la nostra società soffre. È un male che colpisce tutti, in modo particolare quando gli anni sulla carta d'identità aumentano, e guardandosi intorno ci si rende conto che tante cose non si possono più fare, che tante situazioni non ritornano indietro, e che tante persone che vivevano accanto a noi o che anche solo condividevano il nostro stesso lembo di storia, non ci sono più. Questo grande male è la solitudine, un male silenzioso, un male che crea isolamento, un male che purtroppo, per sua natura, lascia senza aiuto e senza sostegno alcuno. Colpisce soprattutto le persone anziane, dicevo, ma non solo; e può colpire anche nonostante tu viva costantemente in mezzo alle persone, perché ti può chiudere dal contatto con il mondo pur trovandoti immerso in una marea di gente, che diviene improvvisamente anonima, senza significato e senza storia.

E ciò che fa più pensare è che la solitudine si avverte sempre di più in questa società che è per definizione "pubblica", aperta, esplicita, priva spesso della dimensione del privato, una società "social", dove tutti sanno tutto di tutti in ogni momento, dove sei connesso con il mondo intero ventiquattr'ore su ventiquattro, eppure sei tremendamente solo, perché il contatto è virtuale, non è vero: tu puoi raccontare di te stesso agli altri ciò che non sei realmente, e dal momento che gli altri fanno lo stesso con te, i contatti diventano irreali, la conoscenza dell'altro pure, la scoperta del mondo circostante non esiste più, e l'unico mondo reale che ti resta sei tu, virtuale con gli altri, tremendamente reale con te stesso. Tanto reale, che ti ritrovi a comunicare con il mondo intero chiuso tra quattro mura o con i pollici impressi sul touch screen di un dispositivo mobile. Quando poi, a creare solitudine, non ci si mette pure l'incomprensione di chi vive accanto a te. Capita, infatti, che ci si sente incompresi, non capiti, non accettati, non valorizzati, e magari dalle persone che ci stanno a fianco, da quelli che sono o dovrebbero esserci più vicini. Che chi non ci conosce più di tanto, nemmeno ci capisca, ci può anche stare: ma quando non siamo capiti e compresi da coloro che vivono con noi e che ci vogliono bene, allora subentra un senso di profonda solitudine, come se ci crollassero addosso le poche certezze che abbiamo...

Consoliamoci: oggi anche Gesù è solo. È solo, in un luogo solitario, a pregare: ma più che solitario il luogo, è proprio lui ad essere solo. "I discepoli erano con lui", ci dice il Vangelo: ma cosa significava che "erano con lui"? Forse, stavano condividendo lo stesso luogo: ma niente più. Non stavano certamente pregando con lui. Ma non erano con lui nemmeno con la testa, e ancora meno con il cuore. Gesù vuole sapere quanto consenso ci sia intorno alla sua persona, e soprattutto capire qual è l'idea che essi, sui discepoli ormai da parecchio tempo, si erano fatti riguardo alla sua persona. La risposta è sconcertante, ma ci può anche stare: tutto ciò che i discepoli riportano riguardo a Gesù non fa altro che riproporre figure del passato, figure di una religiosità vecchia non solo perché dell'Antico Testamento, ma perché basata sul giudizio e sulla condanna (Giovanni Battista ed Elia, o comunque uno dei profeti, ovvero le voci critiche di Dio sul popolo). Insomma, nulla a che vedere con la novità del Vangelo, dove il Dio annunciato da Gesù non è quello della condanna, della scure alla radice degli alberi, dei profeti di Baal sgozzati sul Monte Carmelo, delle invettive contro il popolo pervertito agli idoli.

Purtroppo, però, con quest'ottica ragionano pure i discepoli, non solamente le folle. Per loro, parla uno, a nome di tutti: Pietro. È lui, il portavoce. È lui che esprime il parere di tutti. E anche se in apparenza la sua testimonianza è una professione di fede (perché sappiamo bene, ormai, dopo duemila anni, che Gesù è il Cristo), in realtà va capito bene che immagine Pietro e i suoi compagni avessero di Gesù. "Il" Cristo, ovviamente si riferiva a una persona ben precisa, ben determinata: ovvero, a quel Messia che tutti attendevano come Consacrato dal Signore, mandato da Dio per liberare il suo popolo dall'oppressione del nemico, in quel periodo, dall'oppressione di Roma. "Il" Cristo, per Pietro e per gli altri Undici, non poteva che essere il Liberatore, il Leader militare e politico. E che Pietro e gli Undici fossero fuori tiro completamente (tanto quanto le folle) è reso evidente dall'atteggiamento con cui Gesù risponde a questa affermazione: il confronto con il testo parallelo del Vangelo di Matteo (là, Gesù proclamava "beato" Pietro per la riposta data) ci conferma che qui siamo proprio fuori fase, con la risposta. Gesù, di fronte alla risposta di Pietro "ordina severamente di non riferirlo ad alcuno", ossia che nessuno si metta in testa che egli è "Il" Cristo. E lo ordina severamente, quasi sgridando: è lo stesso verbo con cui Gesù scacciava gli spiriti immondi dagli indemoniati. Pensava di avere dei discepoli: si ritrova dei "posseduti", degli avversari, gente che non solo non ha capito chi è lui, ma che addirittura ha un'idea di Messia opposta alla sua.

Gesù è solo. Solo perché nessuno, in realtà, lo segue. Solo perché deluso da un gruppo che, mentre egli proclama un Messia servo dell'umanità, cerca un capo politico che instauri un Regno come quelli di questo mondo. Eppure Gesù non si lascia scoraggiare da questa situazione, e fa della sua solitudine un'occasione di riscatto: il Figlio dell'uomo sarà lasciato solo di fronte "agli anziani e ai capi dei sacerdoti", al potere economico e religioso dell'epoca, lasciato solo anche dai suoi, da coloro che gli dovrebbero stare più vicino, ma non ne fa motivo di sconfitta, anzi. Ci esorta a seguirlo, facendo anche noi ciò che ha fatto lui: prendendo ognuno, sulle nostre spalle, ogni giorno, la nostra croce.

E la croce, non è, come pensiamo noi, la malattia, la sofferenza, il dolore: nostra croce è metterci al servizio degli altri "rinnegando noi stessi", ossia mettendo da parte quella visione errata che abbiamo di Dio e del suo Messia, servendo il prossimo come Gesù ha fatto con noi.

Questo, forse, è l'unico modo per uscire dal male della solitudine, per quanto ci è possibile: smetterla di ripiegarci su noi stessi e sul nostro mondo e metterci a servizio degli altri, come Gesù ha fatto. Una vita spesa per gli altri è il miglior antidoto alla solitudine e al suo male di vivere.

 

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