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TESTO Commento su Luca 9,18-24

Carla Sprinzeles  

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XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (19/06/2016)

Vangelo: Lc 9,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-24

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

Oggi la liturgia ci mette a fuoco due domande fondamentali.
Chi è Cristo per me? Chi è l'altro per me? noi cerchiamo di incasellare gli altri, l'originalità ci fa toccare la nostra insicurezza davanti alle relazioni.
Ogni uomo è un intreccio di trasparenza all'Amore divino e di rifiuto di amare.
La seconda domanda è cosa significa "rinnegare se stessi"?
Il demonio è padre della menzogna e inganna l'uomo, infondendogli desideri apparentemente orientati al bene, ma che sarebbero ottenuti con dinamiche di potere e non secondo Dio.
Rinnegare se stessi è dunque rinunciare alla falsità dei desideri che assecondano la mentalità comune. "Perdere la propria vita" è ritrovarla, salvarla dalla menzogna.

ZACCARIA 12, 10-11; 13, 1
La prima lettura è tratta da un profeta minore, Zaccaria, che opera in un momento delicato della storia, nel tempo dei deportati dopo l'esilio babilonese.
Mentre fervono gli sforzi per la ricostruzione del santuario distrutto, egli chiede un rinnovamento radicale della fede.
Il testo annuncia per il futuro una particolare effusione di grazia e di consolazione che provocherà la rigenerazione spirituale di Gerusalemme. Tutti potranno rivolgere uno sguardo a un personaggio, un buon pastore umiliato e martoriato, che il popolo ha contribuito a "trafiggere", cioè a sopprimere violentemente e per il quale viene intonato un grande lamento funebre.
Il Signore stesso si dichiara colpito dalla morte inflitta a questo suo inviato.
Chi è mai questo "trafitto"? la sua identità resta misteriosa.
Giovanni l'evangelista vide una profezia della passione di Gesù, capace di illuminare lo sguardo del credente sul mistero del costato "trafitto" dal colpo di lancia, delle ferite mostrate a Tommaso come prova dell'amore crocefisso. Anche nell'Apocalisse viene citato: "Ecco viene con le nubi e ogni uomo lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto." Con lo "spirito di grazia" il Signore promette una profonda trasformazione nei cuori di un'umanità peccatrice, le fa percepire in modo sensibile la guida al pentimento per aver ucciso colui che opera la nostra salvezza.
La morte del condannato "trafitto" apre uno squarcio sulla vita di Gesù. Per cui il sangue che esce, insieme all'acqua, dal costato squarciato dal colpo di lancia, ci sollecita a guardare attraverso quella porta spalancata e scoprire il segreto di una vita "donata", e del suo amore per gli uomini.

LUCA 9, 18-24

Nel brano del vangelo di Luca che precede quello che si legge oggi, viene narrata la moltiplicazione dei pani, che sicuramente ha suscitato interesse e seguito da parte della folla.
Gesù si ritira per raccogliersi in preghiera.
Uscendo dalla preghiera interroga i suoi discepoli sulla sua identità, come se il contatto con il Padre lo avesse rimandato alla necessità di situarsi nell'umanità.
Abbagliato dall'infinito di Dio, sente il bisogno di ricevere dai suoi amici la conferma della sua realtà di uomo, della sua capacità di rivelare all'umanità l'Amore infinito.
E' come se dopo essersi immerso nella volontà del Padre che vuole che tutti siano salvati, ne dovesse verificare l'incarnazione nella propria vita attraverso le relazioni con la gente.
Ci crediamo spesso costretti a costruirci delle false identità, delle impalcature che ci rendono rigidi di fronte alla diversità dell'altro, impauriti all'idea di perdere la faccia, dipendenti dal giudizio degli altri e insicuri perché non sappiamo chi siamo in realtà.
Gesù non si era nascosto dietro le trame dell'apparenza, tuttavia, a contatto con la verità incandescente del Padre, aveva sentito il bisogno di misurarsi con i suoi amici.
"Chi sono io secondo la gente, secondo voi?"
Tutta la sua vita pubblica è stata una lotta interiore per non arrendersi al desiderio della gente: battezzare come aveva fatto Giovanni, o fare una grande strage come Elia per far trionfare il vero Dio. Quanto ha avuto bisogno di pregare per adeguarsi costantemente alla sua vera identità di Figlio obbediente, mite e umile, la cui realtà non corrispondeva affatto all'immagine che si facevano del Messia!
Sì, certo, era "il Cristo di Dio", ma un Messia semplice, un figlio di umanità, che avrebbe dovuto "soffrire molto, essere riprovato dalle autorità, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno."
A tutti coloro che sono in cerca della propria identità dice che, per trovarla, devono perdere le false immagini, le pretese di essere diversi da ciò che sono, l'ansia di "diventare qualcuno"....
Perché voler essere qualcuno significa essere nessuno, non essere ciò che si è, rifiutare la propria identità per correre dietro a un fantasma.
Chi accetta di perdere i propri sogni di grandezza, chi cerca nella preghiera di corrispondere perfettamente all'immagine di Dio, che è "Colui che è", costui salva la propria identità.
Passiamo alla seconda domanda che ci propone oggi il Vangelo.
Rinnegare se stessi. Cosa significa questa parola che ci desta tanta paura?
Rinnegare se stessi è rinunciare alla falsità dei desideri che assecondano la mentalità comune.
E' rinunciare a lasciarci trascinare da quello che non ci appartiene, ma che lasciamo crescere nel nostro cuore, perché tutti fanno così, perché è questo che ci hanno insegnato, l'educazione.
Si impara per esempio a non dire il vero, a nascondere quello che si pensa, a tacere le domande.
Rinunciare a se stessi, vuol dire essere coerenti con la parte più profonda di noi.
"Perdere la propria vita" è veramente ritrovarla, guadagnarla, salvarla dalla menzogna.
A volte è difficile, lo stacco dal branco esige camminare da soli, nella fedeltà alla propria genuinità e quindi attraversare il proprio vuoto e la povertà della condizione di creatura senza cercare di mimetizzarsi in mezzo agli altri.
E' un passo coraggioso che permette di entrare in relazione con l'altro senza pretese ma con una vera accoglienza della diversità.
La sofferenza e la fatica fanno parte della vita quotidiana, ma come il chicco di grano che, se non muore, non permette alla vita di nascere, l'accento mettiamolo come Gesù e con Gesù sul germe che nasce dal dono di sé quotidiano, fatto di piccoli gesti veri, semplici, comuni, che sembrano fatti di niente e che creano attorno a noi e ancora prima dentro di noi un clima di serenità, di amore e di fiducia: una parola taciuta perché potrebbe ferire o una parola difficile detta per il bene degli altri; una disponibilità all'aiuto, quando magari anche noi siamo stanchi; la rinununcia a qualcosa per poter essere di aiuto...
Essere discepoli del Signore ci rende persone che non affrontano la vita come se fosse un'insopportabile croce, ma persone che con l'amore svelano la promessa di novità già racchiusa all'esistenza umana e cominciano a realizzarla facendo vedere già oggi la luce della resurrezione.
Il perdono fa "risorgere" le relazioni tra persone, l'accoglienza aiuta le persone a sentirsi meno sole, la solidarietà rende meno difficile la vita di coloro che sono più fragili.

Prendere la propria croce vuol dire volere bene sino alla fine, fino a dare tutto.
La croce è un amore totale, vissuto fino in fondo.
Possiede la vita, chi la dona. Il tesoro della propria esistenza lo si vive avendo compassione come ha fatto Gesù.

 

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