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TESTO Il Signore è bontà e misericordia

don Walter Magni  

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III domenica dopo Pentecoste (Anno C) (05/06/2016)

Vangelo: Mt 1,20b-24b Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 1,20b-24b

20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:

a lui sarà dato il nome di Emmanuele,

che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa;

Già la liturgia di domenica scorsa ci aveva introdotti a una spiritualità dell'abbandono alla Provvidenza, invitandoci a saper guardare alla verità profonda che abita gli uccelli del cielo e i gigli del campo (Mt 6,25-33). Oggi l'indicazione della Parola di Dio ci invita a guardare con molta concretezza agli uomini, mettendoli a confronto nella loro atteggiamento di confidenza o di diffidenza nei confronti di Dio.

L'annuncio a Giuseppe
Un confronto, serrato e preciso, tra la diffidenza di Adamo e la confidenza totale di Gesù nei confronti del Padre Suo, lo fa Paolo, scrivendo ai Romani: "come per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita". Ma è bello pensare che anche Gesù sia stato introdotto a questa confidenza in Dio dall'umanità singolare di Suo padre Giuseppe. Stando a una oleografia devozionale diffusa nel passato, ci siamo abituati a immaginare Giuseppe un nonnetto barbuto e bonaccione, che tiene in braccio un Gesù bambino paffutello e simpatico. Giuseppe (= che Dio faccia crescere) doveva essere piuttosto un giovanotto non ancora ventenne che, innamorato di una ragazza di Nazareth che si chiamava Maria, la voleva sposare. Appartenente a un ramo decaduto della casa di Davide, non era un poveretto. Doveva essere un apprezzato carpentiere che, avendo saputo da Maria che aspettava un figlio, non grida subito al tradimento, ma si lascia guidare dai molti segni che Dio mette sulla sua strada. Come dice anche il Vangelo di oggi: "Apparve in sogno a Giuseppe un angelo del Signore e gli disse: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo'". Intuisce che Dio non voleva affatto soffocare l'amore che sentiva per la sua donna. Così si lascia guidare in una avventura che lo porterà a introdurre alla fede e alla confidenza in Dio proprio quel figlio che da Maria sarebbe nato.

Entrare nel sogno di Dio
Certo, a dir poco singolare è il modo nel quale Dio gli parla. Mentre già sognava una sua famiglia con Maria, Dio irrompe nei suoi progetti, proponendogli una prospettiva d'amore più grande del suo. Cosa intuisce propriamente Giuseppe? Che quel figlio che Maria si porta in grembo non è il fallimento del suo progetto matrimoniale. Ma un invito esplicito a saper andare oltre noi stessi, i nostri calcoli e i nostri sogni. O meglio: che Dio sta dentro i nostri sogni, le nostre attese e speranze. Questa convinzione sta al fondo della sua confidenza in un Dio provvidente e non padrone. Questo sta alla radice della capacità di confidenza, senza riserve e totalmente abbandonata di Gesù nel Padre Suo. Quasi potremmo dire che qui sta l'anello di congiunzione umana tra la paternità di Giuseppe e la figliolanza di Gesù. E tutto questo si è avverato attraverso l'esercizio di lettura progressiva da parte di Giuseppe dei segni che Dio disseminava nella sua esistenza. "Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore". Come un continuo destarsi da uno stato di abbandono all'esercizio di un preciso atto di libertà. Rimettendosi in viaggio. Continuando un cammino. Prendendo con sé Maria: "non temere di prendere con te Maria, tua sposa", gli dice l'Angelo. Non è un esercizio passivo, ma un atto consapevole e forte. Ed è così, dunque, che "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14).

Paternità esemplare
Dio Si manifesta nella vita di Giuseppe come una folgore inattesa, che per un verso lo illumina e per un altro lo sconvolge un poco. Perché così fa l'amore quando è autentico e vero. Così Giuseppe non tarderà ad accorgersi che quel figlio, frutto del "sì" di Maria e della sua custodia e protezione, aveva dei tratti che pure andavano guidati ed educati. Non tanto a parole, ma con l'esempio e la costanza.
Colpisce che se di Maria i Vangeli conservano alcune parole, di Giuseppe conosciamo solo il silenzio. Un silenzio tenace che forgia e sostiene la vita interiore e profonda di Gesù. Così non suonano strane e incomprensibili le note dell'autore della lettera agli Ebrei, quando dice che Gesù "imparò l'obbedienza dalle cose che patì" (5,8). Perché non pensare che la stessa capacità di osservare di Gesù, di scrutare a fondo il cuore degli uomini, fosse frutto anche del silenzio laborioso e pensoso di Giuseppe? Un padre che S'era abituato a guardare, quasi volendone carpire certi segreti, la forza di certe domande, la pazienza di certe risposte.
Di Giuseppe non sappiamo né quando sia vissuto, né quando sia morto e in quali circostanze. Anche a questo riguardo i Vangeli tacciono ed è bene non andare oltre, evitando di fantasticare. Forse anche questo dato è come un segno. Ci regala un messaggio. Immaginando che una paternità come quella di Giuseppe altro non sia che uno scivolare lentamente e inesorabilmente nel cuore di suo figlio Gesù.
AvendoLo semplicemente introdotto a dire con piena verità e convinzione quell'espressione che pure troviamo nel Vangelo di Giovanni: "Io e il Padre siamo uno" (Gv 10,30).

 

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