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TESTO G7? No, grazie: G12. Più uno.

don Alberto Brignoli  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (29/05/2016)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,11-17

11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

In questi giorni, i grandi della terra si sono riuniti in uno dei loro periodici summit, e le conclusioni a cui sono giunti dopo giorni di dialogo serrato sono di grande interesse per tutto il pianeta, e soprattutto dotate di una visione a lungo raggio che fa ben sperare per la soluzione dei problemi nel mondo. Tra le altre cose, i potenti dei regni della terra (che siano repubbliche o monarchie, poco importa, sono sempre "della terra") hanno ribadito che le soluzioni alla difficile crisi economica che ancora colpisce molti stati del mondo devono essere soluzioni "globali"; e a proposito del fenomeno dei flussi migratori, avvertito in modo tragico in alcuni angoli di mare più che in altri, hanno ribadito con lo stesso acume che si tratta di un fenomeno "globale" che riguarda tutti. Fin lì, credo che ci sarebbe arrivato ognuno di noi: è da almeno trent'anni che il fenomeno della globalizzazione "rende tutto affare di tutti", cioè ci fa partecipi tutti di tutto quanto avviene in ogni momento e in ogni parte del mondo. Questo "tutto", però, molto spesso significa anche "il contrario di tutto": quando, cioè, i regni di questa terra si vogliono impegnare a risolvere i problemi concreti dell'umanità dicendo che "sono affari di tutti", in genere ottengono l'effetto contrario, che forse, sottosotto, rappresenta il loro reale desiderio, ovvero quello di non risolvere nulla, e soprattutto di non dover essere coinvolti di persona nel mettere mano ai problemi dell'umanità.

Oggi, però, veniamo a contatto con un altro tipo di regno, che non partecipa al G7 né mai vi parteciperà, e che non sfrutta a suo favore i benefici o le conseguenze della globalizzazione, perché ha un solo scopo: la salvezza concreta, reale dell'uomo da tutte le sue angosce e difficoltà, da quelle dell'anima ma anche da quelle concrete e reali della materia, del corpo, della vita di ogni giorno, come lo è il pane quotidiano. Gesù, nel Vangelo di oggi, parla alle folle del Regno di Dio, e non lo fa certo citando i massimi sistemi dell'economia in un mondo globalizzato. Lo fa guardando le necessità concrete e reali degli uomini, tirandosi indietro le maniche, e "guarendo quanti avevano bisogno di cure", ossia dando tutto se stesso agli altri. Ma la cosa più interessante è che subito dopo, anzi, contemporaneamente all'annuncio del Regno (quasi fosse una sola cosa con il Regno), chiede ai suoi discepoli, a noi, di fare altrettanto... Chiede a noi, per essere uomini e donne del Regno, di "dare noi stessi da mangiare" all'umanità affamata.

Come dobbiamo interpretare questo "dare noi stessi a loro da mangiare"? Di primo acchito, parrebbe una cosa semplice: il Signore chiede ai discepoli di essere loro quelli che procurano il cibo per questa folla che lo sta seguendo nell'annuncio del Regno. Va bene l'annuncio del Regno - pensano i discepoli - e va bene pure guarire chi ha bisogno di cure: ma a un certo punto bisogna anche dire "basta", bisogna darsi dei limiti, bisogna ritagliarsi degli spazi per stare un po' da soli nel deserto, noi con il Maestro: altrimenti, che differenza c'è tra noi e le folle? Che differenza c'è tra i Dodici e gli altri, se nemmeno abbiamo la possibilità di stare in pace con il Maestro, almeno adesso che il giorno declina? Per una rara e affascinante ironia della sorte, alla fine del Vangelo di Luca, due di loro di ritorno da Gerusalemme, la sera di Pasqua, diranno l'opposto di ciò che stanno dicendo ora al Signore: il giorno che declina farà loro dire al Signore non più "Congeda la folla", ma "Resta qui con noi"...: per arrivare a questo, però, occorre fare un cammino.

Occorre comprendere cosa vuole dire "dare agli altri noi stessi da mangiare". Occorre capire che il Signore è pane spezzato per il Regno, e nella strana e particolare logica del Regno, il Signore ce l'hai per te nella misura in cui lo spezzi e lo condividi con gli altri! Occorre uscire dalla logica dei potenti di questo mondo, che fanno grandi proclami su come sconfiggere la fame degli altri e intanto il cibo lo tengono sempre e solo loro nelle loro mani; occorre uscire dalla logica dei soldi facili, della liquidità, del bancomat e delle carte di credito, quella per cui si potrebbe anche decidere di fare, sì, un sacrificio per tutta questa gente cercando di andare a comprare più pane possibile per tutti, perché, si sa, con i soldi si può fare tutto; occorre uscire dall'idea che cinque pani e due pesci sono nulla per cinquemila persone, e arrivare a capire che "cinque più due" dà comunque sempre sette, cioè pienezza, totalità, e allora è possibile condividere senza restare a mani vuote; occorre capire che la folla non è una massa di gente informe, affamata, che fa paura perché ci assalta da ogni parte, ma sono "cinquemila", lo stesso numero dei discepoli che accoglie il Vangelo dopo la Pentecoste, e allora sono Chiesa, come noi; occorre capire che con la logica della condivisione del poco, non solo tutti mangiano, ma ne può addirittura avanzare, cosa che con i soldi non avviene, anzi, spesso capita che i soldi manchino. E non solo: c'è anche un altro aspetto, forse il più importante, e cioè che nella logica del Regno di Dio il pane condiviso con i poveri dona loro dignità, perché non li fa mangiare in quattro e quattr'otto, di fretta, in piedi, con la logica del self-service, ma li fa sedere tutti quanti, come si sedevano a mangiare i signori in giorno di festa.

Il pane spezzato per i poveri, nella logica del Regno, è innanzitutto "benedetto", come benedetto e spezzato è il Pane Eucaristico che ogni giorno, ogni domenica, condividiamo a messa con i fratelli; e allora è un pane che dà dignità, che non viene dato tanto per tappare un buco nello stomaco, ma per restituire il povero alla dignità di uomo, perché sia degno, quel pane, di guadagnarselo con il suo sudore. Cosa che, nella logica dei regni di questo mondo non avviene, perché è meglio sfamare e basta, è meglio essere assistenzialisti senza ridare dignità e sviluppo, perché l'ignoranza fa comodo, mentre la dignità fa paura.

Altro che G7: qui abbiamo un "G12 + 1" che, nonostante duemila anni di storia con tutti i suoi fallimenti, continua imperterrito a dare dignità al povero. E ce la fa, perché invece di globalizzare i problemi, globalizza l'unica realtà capace di risolverli: la condivisione, che oggi, nella festa del Corpo e Sangue del Signore, ha il nome e il gusto di Comunione.

 

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