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TESTO Commento su Luca 9,11-17

Omelie.org - autori vari  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (29/05/2016)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di don Paolo Ricciardi

Di nuovo, in questa domenica del Corpus Domini, il vangelo ci invita ad entrare nella folla di cinquemila persone presenti a quel miracolo di fame e di pane, di bisogno e di sovrabbondanza; segno tangibile della compassione di Gesù verso l'umanità ferita, isolata, abbandonata. Una risposta oltre la richiesta che è anticipo di qualcosa che è oltre un semplice miracolo, ma Segno perenne di una Presenza.

Vogliamo anche entrare nella "folla che affolla" le processioni - come quella con il Papa a Roma, lungo la via Merulana - e che caratterizzano ancora queste giornate, in tanti paesi d'Italia e del mondo: infiorate, bambini vestiti di bianco, canti antichi e nuovi. Tutti dietro all'Eucaristia, Pane del Cammino.

Al di là dell'esteriorità, il segno di questo giorno ci fa pensare al bisogno di Dio, alla fame di vita eterna che grida dal cuore di ciascuno di noi.

Ed eccomi allora, in mezzo a quei cinquemila uomini, in una sera di Palestina, dalle parti di Betsaida.

Io sono uno di loro, mi riconosco nelle parole con cui l'evangelista li presenta: "Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure". C'è tutto l'uomo in queste parole; il suo nome è "creatura-che-ha-bisogno". Di Dio e di cure, di pane e di Assoluto.

E vi è riassunta tutta la missione di Gesù: lui è Parola di Dio e guarigione della vita, lui il Maestro e il Medico. Sì, sono io uno di quegli uomini, ho bisogno di cure, di qualcuno che si accorga di me, che si prenda a cuore e guarisca la mia vita.

Ho un desiderio inappagato e a volte non so neppure di che cosa, ma so che niente fra le cose create lo potrà saziare.

Ma il giorno declina, spesso è buio nella mia esistenza, e a volte sento che è meglio andar via, da qualcun altro e da qualcos'altro per trovare un cibo che mi appaghi. Ma Gesù, che non ha mai mandato via nessuno, mette alla prova i suoi amici: "Voi stessi date loro da mangiare"...

Sì, sento sussurare queste parole di Gesù ai suoi discepoli: "Date".

Ecco allora il miracolo: non una moltiplicazione, ma una divisione, una condivisione. Gesù prende i pani, li spezza, li distribuisce ai discepoli, e quel Pane è per tutti, arriva anche a me, in un banchetto sull'erba verde che non ha mai avuto pari nella storia dell'umanità.

La fine della fame consiste non nel mangiare il pane da soli, ma nel condividerlo.

Eppure quel banchetto era solo un anticipo, un segno, di un Banchetto nuovo, di una cena in cui colui che ospita è anche il nostro nutrimento; una cena nella notte in cui veniva tradito - come ci ricorda san Paolo - quando, di fronte al rifiuto e alla fragilità degli uomini, Gesù poteva benissimo fermarsi. E invece è andato oltre, perché ci ama fino alla fine.

E, in questo giorno, in questa domenica che ha già il sapore e il profumo dell'estate, la liturgia ci fa riflettere su quel Dono quotidiano che si offre su ogni altare del mondo, da quello delle cattedrali ai semplici altari delle chiese di paese; dai conventi, alle parrocchie, alle cappelle di un carcere o di un ospedale. Ancora oggi, un unico invito per tutti, santi e peccatori, vicini e lontani: "Beati gli invitati alla cena del Signore".

E nel metterci in cammino dietro l'Eucaristia noi non facciamo altro che rispondere a un Dio che cammina verso di noi, verso di me.

Ci dà il suo Corpo: un sacramento e santuario di incontri, perché vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su una Persona, incontrandone storia, vicende, sentimenti, piaghe, luce, con il peso e la gloria della croce.

Ci dà il suo sangue che si dirama per tutto il corpo e connette e vivifica tutte le parti, perché nelle nostre vene scorra la sua Vita, la gioia della festa e la bellezza di un sacrificio fatto per amore.

Ci dà il suo Corpo, perché impariamo sempre più ad essere noi - come Chiesa - un unico Corpo. Ci dà il Sangue perché impariamo a versare il nostro sangue per la salvezza degli altri.

Signore, oggi stonano troppe parole. Dammi solo lo stupore nel commuovermi davanti alla semplicità del Pane e del Vino, tuo Corpo e tuo Sangue. Tu, spezzato e versato per me: un'offerta estrema, una compassione infinita, un'eccedenza d'amore. Grazie, Signore, perché con la forza che mi dà questo Cibo, posso camminare ancora. L'avventura di Dio sulla terra e nella mia storia non ha fine.

 

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