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TESTO Ti ho cercato, Signore, per contemplare la tua gloria

don Walter Magni  

SS. Trinità (Anno C) (22/05/2016)

Vangelo: Gv 14,21-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,21-26

21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

22Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». 23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Ha un senso la memoria liturgica della SS. Trinità? Sì, se il mistero del Dio di Gesù Cristo non viene ridotto a un rapporto di numeri e soprattutto se lasciamo che a spiegarcelo sia la Parola di Dio, che la domenica ci raggiunge, continuando a scaldarci il cuore e la mente.

"Uno per uno per uno per uno, fa sempre uno!"
Dopo i giorni dell'Ascensione di Gesù al cielo e il vento impetuoso e le fiamme infocate dello Spirito di Pentecoste, questa festa è un momento di sosta e di contemplazione. Gesù che sale nel cielo di Dio e lo Spirito che discende sugli apostoli, spalancando le porte del Cenacolo, ci hanno dato l'immagine di un Dio che per amore degli uomini Si muove e va loro incontro. Con oggi è come se questi movimenti divini di un Dio che scende e che poi risale trovassero compimento e a noi venisse data la grazia di contemplare Dio nella completezza delle Sue manifestazioni. Mons. Tonino Bello racconta che, mentre stava preparando un giorno l'omelia della Ss. Trinità, lo raggiunge un amico prete che lavorava tra gli zingari. Legge a lui qualche passaggio del suo sermone e quello gli dice: "Io ai miei zingari, per spiegare il mistero di un solo Dio in tre Persone non dico mai che Dio è uno più uno più uno, perché il risultato fa tre ed è pericoloso. Per dire qualcosa di Dio preferisco dire che il nostro Dio è: uno per uno per uno. Perché il risultato è sempre uno. Il nostro Dio, infatti, non è l'insieme di tre Persone che si aggiungono l'una all'altra, ma tre Persone che vivono l'una nell'altra, l'una per l'altra. E questo è un vero e proprio marchio di famiglia per la Trinità. Un carattere ereditario dominante del nostro Dio. Tanto che quando il Figlio, mandato da Suo Padre, decide di venirci a trovare, si trova ad essere inevitabilmente sempre sbilanciato sugli altri. Totalmente per gli altri. Come se fosse incapace di esistere per Se stesso, in Se stesso. Come se tutto quello che è lo dovesse al Padre Suo e tutto quello che fa lo facesse solo per amore dell'altro".

Raccontare Dio
Ma siamo ancora capaci di stare davanti a un Dio che è fatto così? Talvolta sembriamo quei pendolari che viaggiano sui treni. Col volto dentro una rivista o intenti sempre a chiacchierare con qualcuno. Mentre il miracolo delle cose sfreccia via veloce dai finestrini appannati. Forse anche noi, tutti intenti a disquisire di Dio ci siamo persi in qualche libro o in qualche Sua definizione complicata. Come un ragazzino quando resta perplesso davanti alla risoluzione di un'equazione matematica. Meglio allora tornare a raccontare Dio, così come ad esempio ce ne ha parlato oggi la Genesi, narrando dell'incontro di Abramo con tre angeli misteriosi: "il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui". Perché il nostro Dio non Si stancherà mai di venirci a trovare. Accettando, se mai L'invitiamo, ad entrare nelle nostre case. Facendoci addirittura delle promesse che intende assolutamente realizzare. Nonostante il sorriso ironico di Sara quando sente che in capo a un anno avrebbe avuto un figlio. Un Dio, il nostro, che non è certo un misantropo solitario. Tanto è capace di spaziare dall'amicizia di Abramo al corteggiamento di Maria di Nazareth. Insomma: ben oltre una banale formula matematica. Il nostro è, molto semplicemente, un Dio che ama stare in relazione. Che sussiste - per usare un'espressione più nostra che Sua - perché non può fare a meno di noi. Un Dio che ha per motto questo slogan: mai senza l'altro, sempre per l'altro!

Dio, come un abbraccio
In questo senso Gesù è l'esegeta, l'interprete autentico del volto di Dio. Perché "Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato" (Gv 1,18).
Avendoci parlato di Dio con tutta la Sua vita. Esprimendo una tenerezza indicibile nei confronti del Padre Suo. Gesù non ci ha mai parlato di Dio servendoSi dei numeri. Perché sapeva che solo dentro una storia di amore e di perdono è possibile intravvedere qualcosa del mistero di Dio. Ricordate quanti dialoghi in questo senso? Un esempio è il dialogo notturno con Nicodemo, quando conclude con grande solennità: "Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito". Mentre ti è dato di capire chi è il Padre e chi è il Figlio dentro questo fiume d'amore di Dio verso il mondo. Fino ad esprimere una sentenza paradossale: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Gv 3,16-18). Dove t'accorgi che il verbo che caratterizza Dio non è giudicare, ma salvare il mondo. Forse, come cristiani lungo la storia degli uomini, abbiamo sbagliato a usare con eccesso il verbo giudicare rispetto a quello del voler salvare.
In uno dei capolavori di Kieslowski (Decalogo I), il bambino protagonista sta giocando al computer. Improvvisamente si ferma e chiede alla zia: "Com'è Dio?". La zia lo guarda in silenzio, gli si avvicina, lo abbraccia, gli bacia i capelli e tenendolo stretto a sé sussurra: "Come ti senti, ora?". Pavel non vuole sciogliersi dall'abbraccio, alza gli occhi e risponde: "Bene, mi sento bene". E la zia: "Ecco, Pavel, Dio è così". Dio come un abbraccio. Se non c'è amore, non vale nessun magistero. Se non c'è amore, nessuna cattedra sa dire Dio. Dio come un abbraccio: questo è il senso ultimo della Trinità.

 

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