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TESTO Presente come Vivente

padre Gian Franco Scarpitta  

Ascensione del Signore (Anno C) (08/05/2016)

Vangelo: Lc 24,46-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,46-53

46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Nel suo Vangelo Luca parla della dipartita terrena di Gesù (Ascensione) collegandola quasi immediatamente alla risurrezione e alle apparizioni, poiché tutto il capitolo 24 è abbastanza vivace nel presentare i fatti in successione, anche se con una certa armonia fra di loro. Nel secondo testo di cui è autore, gli Atti degli Apostoli, ribadendo quanto detto al termine del suo primo scritto, Luca si sofferma invece nei particolari della salita al cielo, delineando elementi propriamente caratteristici del divino, quali il monte e la nube. Essi ricordano infatti episodi dell'Antico Testamento e dei Vangeli nei quali Dio si manifesta interamente nella gloria. Quello che si racconta ovviamente non ha nulla a che fare con le sparizioni spettacolari a livello di fantascienza o di rocambolesca partita a razzo da una stazione spaziale. Tutto il linguaggio di Luca è "teofanico" e allusivo e vuole sottolineare soltanto che davanti agli occhi attoniti degli apostoli "che si era prescelti" (Cioè dei Dodici escluso Giuda), Gesù abbandona le categorie spazio temporali, lascia la dimensione sensoriale sia attivamente che passivamente; entra nella pura sfera del divino e dell'ineffabile. Gli apostoli capiscono che non sarà più possibile riscontrarne la presenza per mezzo delle facoltà sensoriali e che neppure lui comunicherà con loro facendo uso di tatto, vista e udito. La sua presenza, secondo quanto lui aveva promesso, sarà certa e inequivocabile e avvalorata anche dal dono dello Spirito Santo che su di loro discenderà; ciò nonostante sarà una presenza misterica, che. solo nella fede ci darà garanzia dell'esserci e dell'agire di Gesù in tutto il tempo che ci separa dall'Ascensione fino al suo ritorno alla fine dei tempi.

Una piccola differenza intercorre fra il racconto lucano del Vangelo e quello degli Atti degli Apostoli: nel primo si racconta che, appena sparito Gesù dalla loro vista, gli apostoli tornano a Gerusalemme "pieni di gioia"; nel secondo scritto si specifica invece che essi continuano a guardare attoniti verso l'alto scrutando la volta celeste, probabilmente sconcertati e avvinti dalla volontà di protrarre la compagnia visibile del loro maestro, al punto che una visione straordinaria di uomini (angeli) deve intervenire a consolarli. E' probabile che la gioia di cui parla il Vangelo fa seguito alla consolazione dei due angeli e da essa scaturisce. Ciò non toglie che gli apostoli avranno dovuto affrontare un periodo iniziale di smarrimento e di indecisione poiché decidere e operare senza ascoltare i moniti del Maestro non doveva essere più così semplice come lo era stato in sua presenza. Lo Spirito Santo che discenderà su di loro il giorno di Pentecoste dissiperà da loro ogni dubbio e ogni perplessità e li incentiverà nella missione di annuncio. Sia quel che sia la gioia è senz'altro legittimata dalla consapevolezza che Gesù, sebbene non più riscontrabile nello spazio e nel tempo fisico, continuerà ad essere vivo, anzi sarà il Vivente che risuscitato non muore più, per cui possiamo considerarci anche noi "morti al peccato, ma viventi per Dio"(Rm 3, 9. 11). Come scrive Tarrech Gesù è sempre stato consapevole di una resurrezione finale per tutti e anche ai Sadducei che non vi credevano aveva dato spiegazione definita del fatto che il Padre è Dio dei vivi e non dei morti; in Gesù vi è sempre stata la concezione della risurrezione dei morti e della vita per come il Giudaismo l'aveva sempre interpretata. Adesso però dopo la sua stessa resurrezione si va molto oltre poiché in Lui risorto tutti sono destinati a vivere per sempre e di conseguenza Egli è vivo e noi per sempre siamo chiamati a vivere in lui. Quindi la sua presenza nel tempo della Chiesa, cioè dopo l'Ascensione non è soltanto certa e indiscutibile, ma anche presenza del Vivente che non conosce più la morte e la sconfitta. Cristo insomma vive per sempre e la sua ascesa al cielo non soltanto non smentisce la sua presenza ma la qualifica ulteriormente perché è garanzia di vita per tutti coloro che credono in lui. L'Ascensione invita ad aprirci alla Verità senza darla vinta al dubbio e alla superficialità che lo alimenta e sotto certi aspetti è anche necessaria. Se infatti la presenza di Gesù fosse ancora nella forma tangibile e incontrovertibile, se avessimo soddisfatte le pretese umane di immediatezza, di verificabilità sensoriale in ciò che in realtà concerne la fede, se volessimo trovare consolazioni facili e immediate senza che ciò comporti il necessario sforzo, come potremmo esercitare adeguatamente la virtù conseguendo il premio che il suo eroismo comporta? Come potremmo meritare la giusta ricompensa proporzionata alle prove e alle sfide del quotidiano, qualora la presenza di Cristo fosse resa palese e concreta secondo le nostre pretese di verificabilità? Se Dio in Cristo ci ha dato ogni cosa, facendoci partecipi del suo mistero e della sua ineffabilità e rendendo concepibile ciò che di per sé è inverosimile per noi, è indispensabile che a lui si aderisca semplicemente con la spontaneità di un atto di fede, con l'abbandono fiducioso del sì alle ragioni del cuore. Solo la fede, sollecitata dal dono singolare dello Spirito Santo può darci la certezza che il Cristo vive per sempre e che possiamo fare esperienza di lui alla stessa maniera in cui i discepoli lo esperivano nell'antica Galilea e in Giudea e questa fede è la sola via per la quale possiamo sempre mantenere perennemente aperta la porta che conduce, suo tramite, al Padre che è la verità tutta intera.

Certamente, la fede non impedisce, anzi ha nel computo, che si dia ragione della nostra speranza (Pietro) e che la ragione venga in aiuto alla retta comprensione di quanto crediamo e a tal proposito scopriamo che non è contrario a razionalità che Cristo sia un reale personaggio storico e non un mito, come pure abbiamo elementi per descrivere la valenza e la portata del suo messaggio; ma la condizione per non precluderci alla sua presenza indubbia anche se misteriosa di Risorto che vive per sempre risied in quelle che sono le ragioni del cuore che la ragione stessa non comprende (Pascal)

 

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