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TESTO Commento su Gv 15, 1-5; 8

Casa di Preghiera San Biagio FMA  

Mercoledì della V settimana di Pasqua (27/04/2016)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

«Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto... Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. [...]. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Gv 15, 1-5; 8

Come vivere questa Parola?
Anche nel Vangelo di Giovanni odierno siamo sempre nel contesto dei "discorsi di Addio" di cui abbiamo già fatto cenno nella lectio di ieri. Si tratta, come dicevamo, del testamento spirituale di Gesù, nel quale Egli, prima della sua dipartita da questo mondo, lascia in eredità ai suoi discepoli, le cose più intime e preziose.
Un'altra di quelle parole importanti che Gesù lascia ai suoi discepoli è l'autorivelazione del Signore che si trova all'inizio del Vangelo di oggi: «Io sono la vite vera» e un po' dopo: «Io sono la vite, voi i tralci». L'immagine della vite/vigna affonda le sue radici negli scritti profetici dell'Antico Testamento e, in particolare, nel celebre canto della vigna di Isaia (cfr. Is 5). La vera vite, di cui quella antica era solo un'immagine imperfetta, è in realtà il Cristo. L'agricoltore è il Padre, che, come nel testo isaiano, ha cura della vigna, affinché i suoi tralci portino sempre più frutto. Ma che cos'è questo frutto su cui Gesù insiste tanto nel Vangelo? La risposta appare proprio nell'ultima riga del brano citato più sopra: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Il frutto che Dio vuole da ogni credente è che diventi discepolo di Gesù. Si noti bene, proprio perché il discepolato è un cammino che dura tutta la vita, nel testo originale viene usato appropriatamente non il verbo "essere" (perché siate miei discepoli), ma «diventiate miei discepoli». In tal modo viene introdotto nel cammino del discepolo un dinamismo sempre più crescente che lo porta alla piena abbondanza del frutto.
Queste parole di Gesù suonano come una promessa profetica rivolta a tutti i discepoli di ogni epoca storica, quindi anche a me, anche a te, caro lettore. Ma ad un patto: i tralci non sono nulla senza la linfa vitale che proviene dalla vite, vite e tralci formano un unico organismo.
Si tratta, dunque, di una vera immanenza reciproca, espressa da una formula caratteristica e con un tipico verbo giovanneo ripetuto in questo brano per bene sette volte: il verbo "rimanere" (menein): «Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto». Questa formula sfocia alla fine in una frase lapidaria: «Perché senza di me non potete far nulla». Essa dev'essere compresa non come negazione di ogni capacità dell'uomo, ma secondo la prospettiva del frutto che regge tutto il contesto. Si tratta per il discepolo di accogliere in sé l'opera di Gesù, che è prima, e di unirla intimamente alla propria, che è seconda, nell'unica "sinergia" che produce il frutto abbondante (cfr. la lectio di lunedì scorso).

Signore, io voglio "Rimanere" in Te, insieme il nostro frutto sarà abbondante.

La voce di un grande Martire e Vescovo antico
«Ora incomincio ad essere discepolo»
S. Ignazio di Antiochia, ai Romani 5,3: pronunciata nel viaggio per Roma verso il martirio

Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it

 

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