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TESTO Una voce chiara e una mano sicura

don Luca Garbinetto  

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (17/04/2016)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Il Buon Pastore dà la vita eterna alle sue pecore. Per avere in eredità la vita eterna è necessario entrare a far parte del gregge condotto dal Buon Pastore. Questo è il senso di ogni esistenza, ciò che orienta una vita umana verso la sua meta. La vita eterna che offre alle sue pecore il Pastore Bello è intessuta in un rapporto intimo e duraturo con Lui, per dare accesso al cuore del Padre, che è dimora di sicurezza e di felicità.

Per stringere la relazione vitale con Gesù, Bel Pastore, sono necessari due movimenti: l'orecchio vigile alle sonorità della Sua voce e la mano tesa a lasciarsi stringere dalla mano del Padre.

Il Pastore infatti chiama per nome. Si tratta di una esperienza di liberazione e di un sussulto di commozione. Il nome di ognuno di noi è stato pronunciato nel silenzio dei tempi dal Padre che ci ha creati; Egli conosce ogni pecorella da sempre, e nel pronunciare il suo nome le ha dato identità ed esistenza. Il nome è la totalità del nostro essere, e ne è anche la direzione da percorrere.

Il Padre, in confidenza, ha sussurrato ogni nostro nome all'orecchio del Figlio, Buon Pastore, e così Gesù rinnova il miracolo della creazione chiamando a voce alta le Sue pecore a seguirlo. La garanzia di entrare a far parte del Suo gregge non è l'appartenenza a una dinastia, o un cognome altisonante fatto di meriti e di virtù praticate; si diventa Sue pecorelle solo se si aprono gli orecchi in ascolto quando la Sua voce amorevole pronuncia ancora una volta il nostro nome.

Chiamandomi, Gesù mi invita a entrare in un dialogo con Lui. Mi interpella, in qualche modo mi invoca, perché mi convoca fra i suoi. Se Lui mi conosce da sempre, perché ha raccolto dal Padre le confidenze su di me, nel chiamarmi mi apre l'accesso al Suo cuore per poterlo anch'io conoscere.

È il mistero della vocazione. Rivelandomi chi è Lui, infinito desiderio di comunione, mi manifesta a me stesso chi sono io, intima nostalgia della stessa unità. Conoscerlo è tutto ciò che conta. Seguirlo sulla scia dell'eco melodiosa e ferma con cui risuona il mio nome intonato dalla Sua voce è l'unica via per conoscerlo. Il Pastore si svela nell'agire amoroso, nel parlare franco e tenero insieme, nell'urgenza della carità. La Parola pronunciata diventa sempre evento: anche il mio nome, in me, plasma la mia verità. E così, chi ascolta il proprio nome pronunciato nell'intimità della preghiera, sente strutturarsi dentro una incrollabile vita interiore, che resiste alle intemperie del tempo.

È la vita eterna. Attuale e mai pienamente compiuta su questa terra. Mistero di gioia che trasforma, lasciandosi percepire senza mai poterla possedere del tutto. Per ora, almeno.

Ma l'eterno non tradisce. Colui che ‘è più grande di tutti' non inganna e non abbandona. Il nome di ciascuno di noi, trepidanti e timorosi nella nostalgia di entrare a far parte del Suo gregge, è impresso a lettere di fuoco nel palmo della mano di Dio, l'Eterno. Il più antico tatuaggio, racconta la Parola, sta nella carne del Creatore che ha voluto legarsi definitivamente alla Sua creatura con vincolo indistruttibile d'amore.

Dunque stringere la mano del Padre attraverso le mani ferite e aperte del Figlio crocifisso e risorto è garanzia di vita eterna. Dentro agli smarrimenti della storia, frastornati dalle incertezze dell'umanità che rischia di perdere anche l'identità propria e di ciascuno, scossi dalle false idee che deformano la verità di noi stessi, ecco che ci sentiamo prendere per mano, come bimbi mai sicuri di avere davvero imparato a camminare da soli.

E il Padre stringe forte la presa! Non vuole lasciarci scappare, non vuole che nessun mercenario strappi le sue pecorelle amate da questo legame vitale.

Perché il mondo oggi ha tanta paura di parlare di Dio?', mi ha chiesto un giovane 17enne. Forse perché il mondo si illude di poter stare in piedi senza lasciarsi stringere forte dal ‘più grande di tutti', supponendo di poter vivere da lupo quando siamo tutti pecorelle. Forse perché ci si maschera di eroi o di vittime, senza accorgersi che siamo fatti per essere unità e relazione.

La voce del Figlio, che pronuncia nitido il mio nome, e la mano del Padre, che mi si porge e mi stringe nella mia insicurezza, manifestano la verità della mia esistenza. Sono al mondo perché qualcuno mi chiami e per rispondere; esisto per camminare aggrappato all'Amore e divenire così capace di sorreggere chi ancora traballa, perché ancora non sa di avere anche lui un nome dall'eternità.

 

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