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TESTO Gesù Cristo, gelosia che libera

don Alberto Brignoli  

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IV Domenica di Pasqua (Anno C) (17/04/2016)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Tra due persone che si amano o che si vogliono bene, ritengo sia fondamentale la fiducia reciproca, ovvero poter avere la certezza che l'altro ti resti fedele, ti ami in maniera esclusiva: e per dare e ottenere fiducia è necessario che il rapporto sia basato sul dono più grande di cui l'uomo dispone, che è la libertà. La fiducia nell'altro si basa sulla libertà: quando non lasci una persona libera di essere ciò che è, dimostri di non avere fiducia in lei. E quando non ti fidi dei comportamenti e delle scelte di una persona, per ottenere la fiducia che ti manca, metti in atto tutta una serie di comportamenti che portano alla negazione (parziale o totale) della libertà dell'altro. C'è anche un fattore "positivo" in questo tentativo di controllare la libertà dell'altro, ovvero quello legato alla profondità dei sentimenti che si provano: ci si sente talmente legati e vincolati alle persone che si amano, che non si riesce a pensare a una giornata, a un periodo, o ancor più alla vita, senza pensare a un contatto costante, continuo con la persona amata. Ci si ama talmente tanto che è impensabile non sapere, in ogni istante, "la rava e la fava" di ciò che l'altro sta facendo, sta pensando, sta dicendo: questo può apparire come una negazione di libertà, ma in realtà esprime il desiderio immenso di stare sempre e per sempre con l'altro in maniera esclusiva e totalizzante.

Da qui, nasce il sentimento della gelosia, cioè quel misto di timore-amore che mette in apprensione il soggetto di fronte a qualcosa o a qualcuno che possa "strappargli dalle mani" ciò che, per amore, sente suo e solo suo. E se la gelosia di per sé è un sentimento tanto bello quanto necessario all'amore, portato all'eccesso, può davvero rovinare un rapporto d'amore, perché giunge a negare ciò che sta alla base di tutto, ovvero la libertà e, di fatto, la fiducia. Allora non si chiama più gelosia ma possessività: ci si sente padroni della vita dell'altro, per ottenere e controllare la quale si è disposti a tutto, addirittura a togliere la vita qualora qualcuno, un avversario, un antagonista, cercasse di "strappare dalle proprie mani" l'oggetto del proprio amore possessivo.

A leggere attentamente il brano di Vangelo di oggi, verrebbe proprio da pensare che Gesù sia affetto da possessività nei nostri confronti, dando per assodato che nella similitudine del Buon Pastore siamo noi il suo gregge. In due versetti, uno consecutivo all'altro, ripete per ben due volte una frase che suona come un avvertimento a chiunque provi anche solo a gettare uno sguardo indiscreto sulle sue pecore: "Non andranno perdute in eterno, e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre" perché, dice, "io e il Padre siamo una cosa sola". Ma come? Se abbiamo sempre creduto nel Dio di Gesù Cristo come il Dio liberatore, che libera e lascia liberi, che ama l'uomo a tal punto da lasciarlo libero anche di non contraccambiare il suo amore, com'è che ora ci dobbiamo ricredere, sentendoci "afferrati" - come da un artiglio - dalla sua gelosia possessiva?

Che Dio sia un Dio geloso, non ci stupisce per niente: l'Antico Testamento è pieno di affermazioni sulla gelosia di Dio, soprattutto nell'esperienza dell'Esodo. Dio libera il suo popolo dalla schiavitù, ma poi lo vincola a sé, amandolo in maniera gelosa ed esclusiva. E il Figlio di Dio pare continuare su questa linea, e addirittura la porta all'esasperazione della possessività. C'è però una differenza tra la gelosia possessiva che a volte noi proviamo nei confronti delle persone che amiamo, e la gelosia del Buon Pastore verso le sue pecore, talmente forte da non permettere che nessuno gliele strappi dalle mani, minacciando addirittura chi ci dovesse provare. La possessività umana - lo abbiamo detto - è disposta a tutto, purché nessuno le strappi dalle mani l'oggetto della gelosia: è disposta addirittura a togliere la vita, e non solo all'antagonista, ma addirittura alla persona amata, quasi a dire "o sei mia o di nessun altro".

Gesù Buon Pastore, invece, attua esattamente al contrario: egli è talmente possessivo nei confronti delle sue pecore, le ama talmente tanto che - invece di togliere la vita - "dà loro la vita eterna". Il suo, quindi, è sì un amore possessivo e geloso, ma volto a dare la vita, a generare vita, e non a provocare la morte.

Perché Gesù ci tiene a dire che il suo amore geloso e possessivo dona vita e non genera morte? Il motivo sta tutto nell'annosa questione del suo confronto-scontro con le autorità religiose del suo tempo. Entrambi - lui e loro - agiscono da pastori, da guide nei confronti del gregge affidato loro da Dio. Ma mentre per i capi del popolo guidare il gregge significa impossessarsene, sfruttarlo, usarne e abusarne per i propri scopi (come già testimoniava il profeta Ezechiele, "vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge"), per Gesù guidare il popolo significa dare la vita per lui, significa amare con gelosia ma per difenderlo con tutte le forze dagli attacchi di questi falsi pastori, che Gesù non esita a definire "mercenari". Ed è significativo che questo capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, quasi interamente dedicato al discorso del Buon Pastore, avvenga nel Tempio di Gerusalemme, e per di più nel giorno della Festa del Tempio, la Festa della Dedicazione. Non dimentichiamo che, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, i contrasti maggiori con le autorità religiose avvengono proprio nel Tempio, sia perché era il baluardo inaccessibile all'interno del quale i sacerdoti si sentivano forti e protetti, sia perché era quella macchina di soldi, di potere e di corruzione all'interno della quale venivano inesorabilmente macellati, triturati e calpestati i diritti dei poveri. Il popolo di Dio aveva bisogno di un messaggio di liberazione: se quindi prima temeva di andare al Tempio perché sapeva di uscirne spellato, ora non ha più alcun timore di avvicinarsi al Tempio vivo della persona di Gesù, perché in lui non trova tasse da pagare o decime da depositare, ma pascoli di vita eterna. E questo rapporto tra Dio e il suo popolo restaurato da Gesù, lo stesso Gesù non ci pensa due volte a difenderlo con possessiva gelosia.

Ben venga, allora, la gelosia nei confronti delle persone che amiamo, se- come fece Gesù - siamo disposti non a togliere loro la vita, ma a donarla, fino in fondo. Perché l'amore vero, anche se geloso, fa vivere e rende liberi.

 

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