PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Docili come le pecore

padre Gian Franco Scarpitta  

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (17/04/2016)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 10,27-30

27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

"Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente." Gesù rispose: "Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete perché non siete mie pecore."(Gv 10, 24 - 26) Queste parole rispondeva Gesù ai Giudei prima ancora di proclamarsi Pastore, durante il colloquio intessuto con loro nel giorno della Dedicazione. Che dovesse venire il Cristo era un'attesa dei Giudei, che attendevano la realizzazione delle promessa del Messia e pertanto adesso vogliono sapere se effettivamente il Cristo (il Messia, l'Unto di Dio) sia proprio lui e pertanto lo interrogano con insistenza. Essi avrebbero però dovuto comprendere da soli che Gesù è il Signore, il Messia atteso, soprattutto perché a parlare per suo conto sono state le opere di amore e di misericordia che il Padre ha operato in lui: guarigione di ciechi storpi e sordi, prodigi vari, esorcismi, atti singoli e collettivi d'amore, attenzione verso i miseri e gli oppressi, sono tutte opere che dovrebbero davvero attestare che è arrivato il Regno di Dio nella persona e nelle opere del Cristo e che la novità va accolta. Perché si ostinano Giudei e farisei a non accettare che Gesù sia il Messia atteso dalle genti? Semplicemente perché l'evidenza dei fatti non basta a risvegliare in loro l'apertura di cuore, perché il loro animo irremovibile e caparbio è ottuso e si ostina a non avere fede. Solo questa virtù da la possibilità di entrare nell'ottica della novità di vita e dell'accoglienza del dono: la fede indiscussa e risoluta in Colui del quale parlano fatti e opere e ogni altro argomenti è superfluo. Credere comporta abbandonarsi, concedersi, aprirsi e non opporre resistenza a quanto Dio rivela e soprattutto comporta avere stabilità, consolidarsi e restare imperturbabili di fronte a sconvolgimenti e mutamenti. Tutto questo viene chiesto ai Giudei increduli e a tutti gli uomini di buona volontà: credere, restare saldi e accogliere. Come poi spiegherà Paolo, la fede deriva dall'annuncio e dall'ascolto e questo ascolto dev'essere costante e disinteressato.. In fatto di fede viene chiesto proprio questo, la sollecitudine e l'accoglienza tipiche di coloro che semplicemente seguono il loro maestro senza opporre resistenza. In assenza di queste predisposizioni, anche i miracoli o i segni più altisonanti, anche i prodigi più sconvolgenti, gli eventi più eclatanti e dirompenti non riusciranno mai a convincerci intorno al mistero ineffabile di Dio e alla sua rivelazione. Non servono i miracoli o gli eventi sovrannaturali quando il cuore resta sempre occluso e ostinato ad aprirsi alla verità oggettiva manifesta. Proprio vero quanto si dice al termine della parabola del ricco epulone: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti (coloro che sono rimasti in vita) neppure se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi (Lc 16, 31). La fede è quindi paragonabile all'atteggiamento delle pecore che ascoltano la voce del pastore e senza domandarsi dove questi le conduca, si dispongono a seguirlo senza esitazione mentre questi le conduce verso pascoli profusi e ubertosi. C'è una differenza in effetti fra le pecore di un gregge e coloro che accolgono la parola del Signore: le prime obbediscono ciecamente senza alcun raziocinio, criterio di giudizio o buonsenso e si muovono dovunque vedano puntato il bastone del pastore. Quanti invece trovano stabilità in Cristo adoperano intelligenza, creatività e zelo operativo e si mantengono ben lungi da un'obbedienza amorfa e acritica. Il cristiano infatti non subisce passivamente i contenuti della rivelazione e non si lascia abbindolare né sedurre da alcun automatico miraggio, ma accoglie la Parola di Dio e vi presta fede con libertà e consapevolezza, vagliando i contenuti del suo credo e dando anche ragione di quanto professa. Chi crede non accoglie solamente, ma valuta attentamente, considera e per quanto i contenuti della fede restino in se stessi ineffabili e misteriosi, sa dimostrarne la razionalità o almeno sa dare prova che il suo credere è conforme a ragione. Ciò non toglie però che da parte nostra occorre comunque assumere l'atteggiamento docile e fiducioso delle pecore che al grido d'orientamento del pastore si pongono semplicemente alla sua sequela. "Voi non credete perché non siete mie pecore", cioè non vi disponete all'ascolto fiducioso e attento della mia parola e non mutate il vostro aspetto di fronte all'evidenza delle mie opere. Ma quando si resta cinici e irremovibili come si può pretendere il favore di Dio? Come afferma San Giacomo, molto spesso chi chiede a Dio non ottiene semplicemente perché chiede male, avendo ben altro obiettivo che la comunione con Dio e la sua esitazione non potrà certo meritargli nulla. Come afferma San Francesco di Paola, "chi non ha fede, neppure può avere grazia". Se tuttavia la Parola di Dio non trova immediatamente terreno fertile nel cuore dell'uomo, ciò non significa che essa si disperda o non sia capace di fruttificare altrove. Paolo e Barnaba si trovano così a rivolgersi ai pagani una volta constatato che i Giudei respingono il loro messaggio rifiutando la salvezza del Risorto. Anche se primi destinatari dell'annuncio sono i Giudei, poiché essi si rifiutano di ascoltare il messaggio viene comunicato a quanti neppure credono in un Dio unico e universale, appunto i pagani. E questo tutto sommato non costituisce una difficoltà, perché rivendica l'universalità della salvezza e ci ammonisce che tante volte la docilità delle pecore è di casa fuori dai nostri ambiti. Pastore guida e modello del gregge, Cristo ci offre tutte le motivazioni per coltivare senza sosta la nostra esclusiva fiducia in lui come il Risorto che ci conduce a pascoli ubertosi. Purché noi si sia semplici e docili come pecore, nella misura in cui lui è stato Agnello.

 

Ricerca avanzata  (54034 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: