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TESTO Commento su Giovanni 21,1-19

fr. Massimo Rossi  

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III Domenica di Pasqua (Anno C) (10/04/2016)

Vangelo: Gv 21,1-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.

4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.

9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Domenica scorsa terminavo l'omelia precisando che il Vangelo di Giovanni possiede due conclusioni: una al capitolo 20 e l'altra al 21; quella che avete appena ascoltato costituisce il prologo della seconda conclusione. Le ipotesi che spiegherebbero l'aggiunta sono più d'una. Richiamando il particolare della corsa al sepolcro di Giovanni e Simon Pietro, durante la quale il primo correva più in fretta del secondo - del resto era anche più giovane -, ma fu il secondo ad entrare per primo... lo scrittore ispirato ripresenta i due apostoli, chiamati ciascuno a seguire il Signore, ma in modo diverso, con incarichi e destini diversi. Ad un tratto, Pietro si voltò e vide Giovanni che li seguiva; allora chiese a Gesù: "Signore è lui?"; Gesù gli rispose: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi.". Chiara la sottile vena polemica che emerge dal breve dialogo tra il Risorto e Simon Pietro, accresciuta dal rimbrotto: "Che importa a te?", rivolto a Pietro dal Signore e ripetuto due volte.

Insomma, niente di nuovo sotto il sole: come nelle migliori comunità, anche nel gruppo degli Apostoli c'erano rivalità, ci si faceva ombra l'un con l'altro. I Vangeli riportano più di un episodio, nel quale affiorano dissapori, gelosie, attriti. Gesù non ci prova nemmeno a biasimare queste scaramucce. Nella vita di relazione sono del tutto normali. È più facile cercare la verità da soli. Quando si sceglie di cercarla insieme, le tensioni sono inevitabili.

Se, nonostante le distanze che ancora rimangono tra noi, continuiamo a camminare nella stessa direzione, non dobbiamo temerle. La persona di Cristo ci attira a sé, ciascuno nel suo stato di vita, ciascuno con le sue particolari inclinazioni e il suo temperamento non sempre amabile

Dio non è come noi, Dio sa andare oltre, Dio sa scendere al di sotto della superficie, dove è nascosta la verità di noi stessi. Peccato che per noi, invece, queste differenze, abbiano un peso specifico notevole; e talvolta preferiamo abbandonare il gruppo, la coppia, e intraprendere un cammino da soli, o in un altro gruppo, con un altro partner... illudendoci che nella nuova situazione, non avremo gli stessi problemi, non faremo le stesse fatiche. Capita anche che non siamo noi ad andarcene, ma facciamo in modo che sia l'altro, siano gli altri a lasciarci.

Prima di accostarci al confessionale, facciamo un esame di coscienza su come viviamo le relazioni; può darsi che anche noi si faccia degli errori e si debba chiedere perdono al prossimo e a Dio.

Ma il Vangelo dice anche altro: gli Apostoli non avevano immediatamente riconosciuto il Cristo. Eppure non era la prima volta che lo incontravano dopo la sua risurrezione... Morale della favola: non è mai facile riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita! anche quando l'esperienza della fede ci ha dato modo di renderci conto che "Dio c'è!", e ce ne ha dato modo tante volte.

La fede non è mai al sicuro! e non si può dare mai per scontata!
Riconoscere Cristo è sempre una sfida!

L'azione di Dio nella storia non è di ordine materiale, non risponde alla legge di causa-effetto! Alla risposta negativa dei pescatori, il Risorto non dice: "Vengo io e sistemo le cose!"; ma "Non arrendetevi al primo tentativo, provate ancora, e ancora... Alla fine riuscirete!".

L'episodio della pesca miracolosa va relazionato con la vocazione di Pietro e compagni a diventare "pescatori di uomini" (cfr. Mc 1,14-20). Considerate che i Vangeli vengono scritti durante la stagione delle persecuzioni; sono il frutto della crisi delle persecuzioni, così come l'Eucaristia fu il frutto della crisi del gruppo dei Dodici, scoppiata con i tradimenti di Giuda e di Pietro.

In questo clima di sfacelo generale, quando dichiararsi cristiano significava correre il rischio di perdere la vita, Cristo esorta a non rinunciare, a non abbandonare la fede, a non arretrare su posizioni tradizionali, o di condanna, o di rifiuto del dialogo (con i non cristiani).

C'è forse un nesso tra la questione dei contrasti all'interno del gruppo che possono sfociare nell'abbandono o nella rottura dell'unità e il discorso dei rischi e le derive della fede?

Credo di sì: quando l'assoluto della fede entra in conflitto con il valore dell'unità; quando l'affermazione di taluni principi, in nome della fede, suscita polemiche, provoca divisioni, turba l'amor del quieto vivere... Che si deve fare?

Ad un esame approfondito delle situazioni, nella maggior parte dei casi, non sono in questione i contenuti della fede, piuttosto il modo di affermarli e di viverli. La ricerca della comunione, il desiderio dell'unità sono parte integrante dell'annuncio della fede! Gesù di Nazareth non era certo un tradizionalista, un integralista, o un fondamentalista! Non si sarebbe lasciato uccidere dai suoi oppositori, facendo di questa morte un dono per tutti! Dice infatti il Signore: "Io offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di questo ovile: anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo." (Gv 10, 15-18). TUTTAVIA: la fede è un assoluto, l'unità non lo è allo stesso modo! o, forse, non subito!

Lo ripeto: la fede, per natura sua, desidera, ricerca l'unità; può darsi che le condizioni attuali non siano favorevoli a costruire o mantenere l'unità. Soprattutto, quando la fede in Cristo rappresenta una novità talmente nuova - perdonate l'espressione poco elegante - da costituire essa stessa una rottura con la storia passata, con le tradizioni familiari - era così ai tempi della prima, seconda e terza generazione apostolica -, in nome della fede era, è necessario rimanere sulle proprie posizioni, che sono poi le posizioni di Cristo. E, come Cristo ha dichiarato che tutti devono giungere all'unità della fede, lo stesso Cristo ci chiede di non dare le cose sante ai cani, non lanciare le perle ai porci (cfr. Mt 7,6), di scuotere la polvere dai nostri piedi (cfr. Mt 10,14); san Paolo scrive: "Era necessario che la Parola di Dio fosse proclamata prima di tutto a voi (Giudei), ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani." (cfr. At 13,46-49).
Non è facile mantenere in tensione gli insegnamenti di Gesù.

Parola d'ordine: pazienza, la quale ha la stessa radice di patire.

A volte sarà necessario aspettare. E l'attesa è anche sofferenza.

 

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