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TESTO Commento su At 5,27-32.40; Gv 21,1-19

Carla Sprinzeles  

III domenica T. Pasqua (Anno C) (10/04/2016)

Vangelo: Gv 8,12-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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12Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». 13Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. 15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. 18Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». 19Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».

Oggi osserviamo come poche persone, gli apostoli testimoniano il Vangelo, la buona notizia che la vita va oltre la morte, Gesù è risorto perché è giunto ad amare fino alle estreme possibilità umane e in questo modo ha iniziato questa fase nuova di vita. E' questo amore estremo, praticato in una situazione di odio e violenza, che è fiorito nella resurrezione.
Siamo chiamati a testimoniare al mondo questa esperienza possibile: annuncio in un parlare coraggioso e nella testimonianza concreta della vita.

ATTI 5,27-32.40
La testimonianza dei discepoli è il tema della prima lettura: annunciare Gesù è per loro una necessità. La fede autentica non si nasconde, non si maschera, è energia che crea comunicazione, è gioia che affascina e trascina. I veri discepoli sono fieri della loro fede nonostante la persecuzione. Poche persone che ottennero risultati straordinari, in poco tempo si diffusero in tutto il Mediterraneo, che era tutto il mondo fino ad allora conosciuto.
Il sommo sacerdote proibisce di insegnare nel nome di Gesù, ma Giovanni e Pietro rispondono: "Dobbiamo obbedire a Dio piuttosto che agli uomini!" e aggiungono una sintesi del loro messaggio: "il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono."
Li fecero flagellare e loro se ne andarono lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.
Dopo questo episodio, le guardie trovarono una seconda volta Pietro e Giovanni intenti a predicare Gesù come Messia e li portarono di nuovo nel Sinedrio, che voleva condannarli a morte. Ma Gamaliele, che era un rabbino autorevole, fu poi anche maestro di Paolo, fece uscire i due apostoli convincendo che se quello che dicevano era una loro invenzione, non aveva un grande valore, tutto scomparirà. Se invece tutto questo viene da Dio, è inutile che combattiate, anche se li uccidete le cose andranno avanti, non potete combattere Dio! Se viene dagli uomini, state certi che tutti finirà.
Questa osservazione di Gamaliele ci offre la chiave per capire l'efficacia della loro testimonianza.

Realmente testimoniavano la forza di Dio, di questo erano convinti: c'era una novità di vita, c'era l'irruzione di una modalità nuova di esistenza, un salto qualitativo dell'umanità. E di fronte alle dinamiche della vita non c'è nulla da fare, si impongono.
L'azione di Dio che fiorisce all'interno della storia umana, emergeva all'interno delle esperienze che compivano.
Pochi uomini, diffusero un modo di vivere in tutto l'impero romano, in tutto il Mediterraneo e poi oltre.
Gli apostoli non accusano i capi dei sacerdoti per vendetta ma per manifestare il progetto di Dio che è quello di offrire salvezza anche a loro.

GIOVANNI 21,1-19
La pagina del vangelo che leggiamo oggi nomina sette persone che seguivano Gesù, sono tornati alla vita di prima. Riprendono il solito lavoro. Le cose non sono cambiate, la fatica è la stessa.
C'è stato quel sogno di tre anni dietro Gesù, con tanta gioia, tanta ansia anche, tanta speranza che tutto sarebbe stato diverso. Poi l'hanno visto risorto, ed è stata un'incredibile gioia, il loro cuore ardeva e le Scritture sembravano svelarsi come illuminate da Dio stesso.
Sì, è stato un bel sogno, ma ora bisogna riprendere la vita seria, monotona, che sembra quasi più faticosa di prima. Come uno che crede di aver trovato una sistemazione e poi, alla fine, si ritrova in quella vecchia. I momenti di disperazione sembrano più neri ancora. Si pesca tutta la notte e non si prende niente. Con che cosa si comprerà, domani, il pane per la famiglia?
Certo Cristo è risorto, ma cosa cambia?
E all'alba, all'ora in cui chi ha vegliato tutta la notte non ce la fa più, all'ora dello scoraggiamento, eccolo sull'altra riva, è lui il Risorto, che si preoccupa di farli mangiare.
Ma oggi dov'è il Risorto?
C'è chi ha visto cambiare la sua vita perché gli era sembrato di aver incontrato Cristo e poi tutto si è ripreso come prima, con problemi forse ancora più grossi, con gli stessi difetti.
Ebbene sì, egli ci aspetta ancora sull'altra riva della vita, quella ce si raggiunge con la fede.
E' presente nella creatività di chi si unisce a lui nel pane eucaristico e trova una soluzione inedita per un caso disperato.
E' presente quando i fratelli portano aiuto a chi soffre.
Ma che c'entra la risurrezione con il tormento degli errori passati, con questo rinnegamento che fa piangere Pietro ogni volta che ci pensa?
Certo c'è la rete piena di centocinquantatre grossi pesci, ma come può uno perdonarsi un peccato così grande?
Gesù chiede a Pietro tre volte: "Pietro mi ami tu?" più di quanto mi amino gli altri, che non hanno ancora toccato il fondo della mia misericordia? Un'amicizia riannodata spesso è più forte di quelle che non si sono mai rotte.
Dopo la notte sterile della disperazione, Gesù offre a Pietro la sua stessa missione di pastore, perché adesso saprà aver cura delle pecore smarrite.
Questa è la terza volta che Gesù si manifesta dopo essere risuscitato dai morti. Il numero tre significa completamente, non gli è stata tolta la vita, la morte non elimina la vita dalla persona, ma la sprigiona in maniera completamente nuova. Loro erano scappati pensando che la morte fosse la fine di tutto, vedono che Gesù passa indenne attraverso la morte in una vita di una dimensione, che non è paragonabile a quella precedente.
"Quando ebbero mangiato" è la cena dell'eucarestia, tutte le volte che nel Vangelo si parla di mangiare e di cena c'è sempre una allusione all'eucarestia.
Dopo la triplice affermazione che Pietro gli vuole bene, Gesù gli rispose: "Nutri le mie pecore".
L'unico pastore è il Cristo. Il pastore è colui che guida il gregge e quindi l'unica guida della comunità è Gesù nessun altro deve prendere il suo posto. Poi ci sono i discepoli che possono collaborare con Gesù in questa attività.
Gesù gli fa capire che la vita si può procurare agli altri quandi si è capaci a donare la propria.
Donare la vita agli altri significa orientarla a servizio degli altri, orientarla al bene degli altri.
Se siamo dominati dall'ambizione, dalla carriera, dal successo, non si trasmette la vita.
Il passo del vangelo che leggiamo termina con l'invito rivolto a Pietro da parte di Gesù: "Seguimi!"
Pietro era già stato chiamato all'inizio della vita pubblica di Gesù.
Allora c'era sintonia con Gesù perché entrabi volevano realizzare un cambiamento nella vita sociale e nella vita religiosa del popolo ebraico.
Ma quando cominciò a delinearsi la resistenza e il rifiuto da parte dei sommi sacerdoti, della gente allora anche i discepoli cominciarono a resistere alla proposta di Gesù, perché man mano che gli avvenimenti succedevano, Gesù fedele alla Parola che ascoltava nella preghiera e nella riflessione, precisava sempre di più i suoi atteggiamenti.
Gesù si convinceva pian piano che era necessario affrontare la sofferenza, rimanendo fedeli all'annuncio del Regno e continuando a vivere il vangelo della misericordia e del perdono.
Quando tutto va bene vivere la misericordia e il perdono è facile, quando cominciano situazioni pericolose e rischiose allora è più difficile.
Gli apostoli hanno cominciato a resistere e a dire che non era la strada giusta.
Il nuovo cammino di Pietro terminerà col martirio, è iniziato quando ha riconosciuto il suo errore e ha proclamato di continuare ad amare il Signore.
Anche il nostro cammino di fede ha tappe di questo tipo.
Iniziamo con una fede per interesse, per influsso dell'ambiente, però deve arrivare il momento nella nostra vita in cui rispondiamo alla chiamata: "Seguimi", cioè diventiamo testimoni del vangelo e della resurrezione.

Cogliamo l'occasione di ripetere al Signore: "Tu sai, Signore, che io ti amo!"

 

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