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TESTO Nessuno ha visto, e tutti crediamo!

don Alberto Brignoli  

Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno C) (27/03/2016)

Vangelo: Gv 20,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Non c'era nessuno, quel mattino, quand'era ancora buio, in quel giardino vicino al Calvario, dove si trovava quel sepolcro nuovo, nel quale ancora nessuno era stato deposto. Nessuno si era recato nemmeno il giorno prima a quel sepolcro, perché era sabato, e la legge dei Giudei non lo consentiva. Nessuno aveva ancora potuto sistemare quel corpo, sepolto in fretta e furia, morto tutto sommato in tempi rapidi, poiché era la Parasceve, ossia la vigilia, e il sabato stava già per iniziare.

Nessuno si aggirava da quelle parti, vuoi per la festa, vuoi per la legge, vuoi perché nessuno aveva avuto il coraggio di andare a seppellire quello che era stato condannato a morte come un malfattore: nessuno, se non i familiari più stretti e due membri del Sinedrio che forse avevano riconosciuto nel malfattore qualcuno di veramente particolare, forse addirittura il Messia, anche se un po' fuori dalle righe. Nessun altro. Neppure i Dodici, il gruppo dei suoi seguaci, la sua cellula, la sua organizzazione che nel frattempo si era ridotta di un'unità, perché uno di loro, in circostanze poco chiare, era stato trovato impiccato nel campo dell'Akeldama, dall'altro lato della città rispetto al Calvario.

Nessuno si aggirava da quelle parti. Sarà stato anche pericoloso, senz'altro, ma era la situazione ideale per una come lei, chiacchierata, vituperata, bollata come indemoniata, eppure così appassionata di Gesù e della sua Parola di salvezza da non abbandonarlo nemmeno sotto la croce. Lei ama, e vuole stare da sola con il proprio amore, anche se lui non c'è più, anche se lui è nella tomba; vuole stare da sola con lui per potergli parlare ancora - succede spesso anche nei nostri cimiteri - evitando di essere presa per pazza da chi non capisce e vede solamente una donna parlare con una tomba. Ma non è così, non è "parlare con una tomba". È amare oltre la morte. Maria lo sa bene, e non ha paura né del buio, né della solitudine di quel giardino: lei, che da Magdala di Galilea viene a Gerusalemme per la Pasqua, ha una sola paura, quella di non riuscire a entrare nel sepolcro per onorare come si deve il corpo dell'amato Maestro. La pietra del sepolcro è troppo pesante perché sia rimossa, e non c'è nessuno che la possa aiutare: nessuno, come quando cerchi qualcuno che ti aiuti a rotolare via dalla tua vita il macigno del dolore, ma non trovi nessuno. E questo gioco del "nessuno" e del "nulla" continua, perché Maria vede che la pietra era stata tolta dal sepolcro, ed entrando vi trova... nessuno. Neppure il Maestro, neppure l'amore che ha mosso la sua corsa al sepolcro, di buon mattino, quando era ancora buio. Sono già le prime ore dell'alba, ma è ancora buio: buio, perché non c'è proprio nessuno.

Ma il "nessuno", non sempre è solitudine; il "nulla", non sempre è assenza.

Nessuno ha visto Gesù risorgere. Qualcuno l'ha incontrato risorto, poi l'hanno visto in molti, e ora lo sanno tutti, ma nessuno ha assistito alla sua resurrezione. Molti hanno assistito ai suoi prodigi più grandi: pochi lo hanno visto risuscitare una fanciulla di dodici anni, qualcuno in più ha assistito alla resurrezione del figlio unico di una vedova a Naim, tutti i Giudei accorsi da Marta e Maria a Betania l'hanno visto riportare in vita Lazzaro... ma nessuno lo ha visto risorgere.

È questione di fede, è questione di quella forza che ti senti dentro, che tu non vedi ma che c'è, ed è capace di ridare vita al nulla, di rendere "qualcuno" quel "nessuno" che ti circonda.

È come la forza contenuta nel seme: non la vedi, eppure lo fa germogliare nascosto nelle viscere della terra. È come la forza della primavera: non la vedi, eppure fa esplodere di fiori anche i rami più secchi e i prati più inariditi. È come la forza di un embrione: non la vedi, eppure tesse la vita nel grembo di una madre, l'unica a percepirne la forza, unica perché ama la vita che cresce in lei.

Questione di fede, allora, ma anche di amore: perché se è vero che nessuno l'ha visto risorgere, è altrettanto vero che la fede e l'amore di qualcuno l'hanno incontrato risorto e l'hanno annunciato a noi. È per quella fede e quell'amore che il buio, la solitudine e il macigno davanti alla tomba non fanno più paura e puoi correre all'impazzata a dire che il Maestro, dentro là, non ci sta più. Ed è per quella fede e quell'amore che noi, oggi, ancora una volta, dopo duemila anni, diciamo "no" alla morte e sì alla vita.

È per quella fede e per quell'amore che oggi noi troviamo la forza per dire "no" al terrorismo e alla violenza e "sì" alla pace e alla fraternità; è per quella fede e per quell'amore che oggi diciamo "no" al male di vivere e "sì" alla felicità; è per quella fede e per quell'amore che oggi diciamo "no" ai muri e "sì" ai ponti;

è per quella fede e per quell'amore che oggi diciamo "no" alla malattia e "sì" alla salute; è per quella fede e per quell'amore che oggi diciamo "no" alle discussioni e "sì" alle strette di mano; è per quella fede e per quell'amore che oggi diciamo "no" alle urla di disperazione e "sì" ai canti di gioia;

è per quella fede e quell'amore che oggi diciamo "no" a ogni stipo di sterilità e diciamo "sì" a ogni fecondità; è per quella fede e quell'amore che diciamo "no" a una terra arida e senza acqua e diciamo "sì" a un giardino irrigato e bagnato di rugiada; è per quella fede e quell'amore che diciamo "no" alle cose ammuffite, vecchie, passate, rattrappite, e diciamo "sì" a Colui che fa nuove tutte le cose; è per quella fede e quell'amore che diciamo "no" alle cose di quaggiù e diciamo "sì" alle cose di lassù.

Non è più il tempo del nulla e del nessuno, tra le cose della terra: è tempo di "rivolgere il pensiero alle cose di lassù". Perché la tomba vuota è quaggiù, ma Cristo Risorto è lassù, seduto alla destra di Dio.

E la nostra vita, prima nascosta nel nulla e nel nessuno delle cose della terra, ora è nascosta con Cristo in Dio.

 

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