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TESTO Vi ho dato un esempio

don Alberto Brignoli  

Giovedì Santo (Messa in Cena Domini) (24/03/2016)

Vangelo: Gv 13,1-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».

12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.

"Temo di non essere stato un buon genitore... Mi pare che tutti gli insegnamenti sulla fede che ho cercato di dare a mio figlio siano stati vani, visto che in chiesa non ci va più, forse nemmeno a Pasqua". Capita spesso, soprattutto in occasione delle feste liturgiche più importanti, di incontrare genitori che si "sfogano" con noi preti riguardo alla poca o inesistente frequenza religiosa dei figli o dei nipoti, vissuta con sofferenza e con una pena che a volte assume le caratteristiche della "colpa", quasi si sentissero loro responsabili di questa situazione. In genere, io cerco di rincuorarli, facendo capire loro che ognuno deve avere la capacità e il valore di assumersi le proprie responsabilità in ogni ambito della vita, compreso quello della sfera religiosa: ciò significa che la "colpa" (se di colpa si può parlare) della mancata partecipazione alla dimensione comunitaria della fede è da attribuire a chi, liberamente, giunto in età matura, fa la propria scelta, sperando che sia fatta con coerenza. Per cui, un genitore in pena per questi motivi, per quanto sia comprensibile la sofferenza, deve sentirsi a posto in coscienza, soprattutto se sa di aver sempre cercato di dare il buon esempio ai propri figli.

Già: è proprio questione di buon esempio. La fede - come la vita, del resto - è solo questione di buon esempio. Vanno bene gli insegnamenti, vanno bene i precetti, vanno bene le preghiere insegnate a memoria sin dalla tenera età, va bene il catechismo ricevuto insieme alla formazione scolastica e all'insegnamento della religione cattolica, ma senza l'esempio di testimonianza e l'esempio di vita tutto questo risulterebbe uno sforzo vano, quasi inutile. Per questo motivo, io sostengo con decisione la teoria per cui tutto quanto è stato insegnato e trasmesso ai figli, oltre che con le parole, con l'esempio, non può andare perduto, non può scomparire: anzi, permea profondamente la loro vita, e anche se sembra scomparire o venire meno, in realtà è solo apparenza, perché nel corso della vita può riapparire, a volte anche più rigoglioso e vivace. Proprio come un fiume che, terminata la sua fase iniziale da torrente, nella fase pianeggiante diminuisce la propria portata e a volte addirittura scompare, per correre sotterraneo e rispuntare molti chilometri più a monte. È tutta questione di esempio, di buon esempio trasmesso attraverso il DNA della nostra vita di fede: e l'esempio trasmesso, emerge proprio nei momenti in cui c'è maggior necessità di slancio e vigore, di entusiasmo per la vita.

Qualcun altro, questa sera, ci lascia un esempio, il buon esempio. Dopo tre anni trascorsi a percorrere in lungo e in largo Galilea, Giudea e Samaria, raggiungendo anche i luoghi più periferici e isolati; dopo aver compiuto segni e prodigi che hanno ridato gioia, salute, speranza e addirittura vita a chi l'aveva perduta; dopo aver insegnato nelle piazze, nelle sinagoghe, nel tempio e nelle case, annunciando il Regno di Dio, che non risponde alle logiche del mondo, ma solo alla logica dell'amore; "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine", e allora decide di lasciare loro un esempio, il buon esempio. Tanti discorsi, tanti segni, tanti prodigi e tante parabole che descrivevano un Regno d'amore non avrebbero avuto la loro efficacia senza un esempio concreto: e allora Gesù compie un gesto che agli occhi dei discepoli assume immediatamente un carattere simbolico, da alcuni apprezzato, da altri non compreso. Il gesto simbolico di lavare i piedi ai suoi discepoli stava a indicare il gesto dello schiavo, del servo nei confronti del padrone, oppure del figlio nei confronti del padre, della moglie verso il marito: era un gesto di forte sottomissione, con il quale si affermava in maniera chiara chi comandava in casa. Gesù ribadisce chiaramente che chi comanda nella comunità dei credenti non è lui, ma i discepoli; anzi, nemmeno loro, perché poi - lasciando in eredità questo gesto - chiederà loro di "lavarsi i piedi gli uni gli altri", cioè di mettersi nei confronti dell'altro con atteggiamento di servizio, di sudditanza. E lo fa con l'intento esplicito di dare loro un esempio.

Proprio come avviene nelle migliori famiglie, non è affatto detto che questo esempio di Gesù venga recepito immediatamente dai suoi discepoli: nel racconto dell'ultima cena di Luca che abbiamo ascoltato domenica scorsa (quindi nello stesso contesto della lavanda dei piedi) sorge una discussione riguardo chi fosse da considerare il più grande tra di loro. Segno che quanto è stato insegnato loro da Gesù, anche con un gesto che voleva essere un esempio, non è proprio stato recepito in maniera immediata. Eppure, sappiamo come la vita dei discepoli dopo la risurrezione di Gesù e il suo ritorno al Padre (ce lo dicono gli Atti degli Apostoli) fu una vita di servizio e di sottomissione, fino - nella quasi totalità dei casi - al dono totale della vita. Quel fiume che dopo la lavanda dei piedi e l'esempio ricevuto scomparve sottoterra nascosto dalla paura di fare la stessa fine di Gesù, riemerge anni dopo, impetuoso e quasi orgoglioso di essere come lui.

Se questo è l'esempio che Gesù ci ha lasciato, presto o tardi che sia, in maniera esplicita o meno, non possiamo fare a meno di considerarlo vincolante per la nostra vita; e allora, dovremo sforarci di mettere in pratica il buon esempio con una vita basata sul servizio e la sottomissione. Oggi tocca a noi prestare servizio a un'umanità che parla di tutto meno che di amore. Oggi tocca a noi metterci a servizio di un'umanità i cui piedi sono insanguinati dalla strategia del terrore di chi interpreta il servizio come sottomissione alla logica della violenza. Oggi tocca a noi metterci al servizio della ricostruzione quotidiana, lenta e faticosa, di un processo di pace, di dialogo e di fraternità. Oggi tocca a noi fare comprendere che la logica della sopraffazione, del sopruso, dell'arroganza e del potere non porta a nulla se non a violenza, distruzione e morte. Oggi tocca a noi riprendere in mano le redini dell'umanità conducendola secondo la logica del servizio silenzioso e umile ai fratelli più bisognosi: ogni altra logica non porta ad alcun tipo di risultato, se non quello di generare violenza e morte.

Lui ci ha dato l'esempio, perché anche noi facciamo come lui ha fatto a noi.

 

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