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TESTO Commento su At 15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29

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VI Domenica di Pasqua (Anno C) (01/05/2016)

Vangelo: At 15,1-2.22-29; Sal 66; Ap 21,10-14.22-23; Gv 14,23-29 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,23-29

23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

I destinatari del vangelo o di Giovanni, essendo egli uno dei pochi discepoli ancora viventi, che è stato con il Signore durante la sua vita terrena, nel momento in cui egli scrive il suo vangelo non si trovano in una situazione diversa da quella che noi oggi viviamo. Situazione non diversa perché devono, anche loro, cercare nella fede, e solo in essa, la certezza che il risorto è vivo ed è in mezzo a loro anche se loro non lo vedono con gli occhi del corpo. In questo sento si può parlare che il Cristo è, anche per noi come per loro, una "presenza nell'assenza", realtà che viviamo con molta fatica, perché siamo legati troppo ai nostri sensi, altrimenti tutto diventa relativo. Questa situazione è superabile se teniamo fede alle parole del Risorto con le quali ci comunica che la sua ascesa al Padre non interrompe l'azione fruttificante della sua parola (lo Spirito Santo) in coloro che lo accolgono. "Il tempo della presenza nell'assenza" è, inoltre, il tempo della nostra responsabilità: dobbiamo assumere, nella fede e nella speranza, il rischio e il coraggio delle nostre risposte alle chiamate che ci vengono durante la vita. "O Dio... manda il tuo Spirito perché richiami al nostro cuore tutto quello che Cristo ha fatto e insegnato", così recita la colletta all'inizio della odierna liturgia.

La prima lettura, che l'odierna liturgia ci offre, è tratta dal quindicesimo capitolo degli Atti degli Apostoli e ci comunica che non tutti, all'interno della Chiesa, accettano le novità. Ne è prova il dibattito che alcuni giudei convertiti, giunti da Gerusalemme, hanno suscito in Antiochia contestando la predicazione di Paolo e Barnaba. A essi i neo arrivati contestano la non circoncisione dei pagani convertiti, in quanto, secondo il loro modo di pensare farisaico, non osservando la Legge data a Mosè nel Sinai non potevano essere salvati, ossia bisognava diventare prima giudei e poi cristiani. Paolo e Barnaba si rendono conto che accettare questa interpretazione è la negazione della novità cristiana e per dirimere ogni equivoco si recano a Gerusalemme, la Chiesa madre - è il primo Concilio Ecumenico - per sentire, in proposito, il parere del collegio Apostolico e il parere degli anziani. In seno al Concilio ha luogo una discussione che coinvolge farisei convertiti, Paolo, Barnaba, anziani. Ma le conclusioni vengono tratte da Pietro e Giacomo che orientano i partecipanti alla ratifica del principio di libertà e di autonomia della legge giudaica, come ritenevano i missionari venuti da Antiochia. Le conclusioni del Concilio vengono espresse in una lettera che inizia così: "Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi..di non imporvi alcun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie...".
Alcuni delegati del Concilio, accompagnano Paolo e Barnaba ad Antiochia e ivi leggeranno la lettera alla comunità affinché tutti ne vengano a conoscenza. Da questo Concilio in poi viene affermato il principio che la fede in Cristo-Gesù è condizione unica per la salvezza di ogni credente in Lui. La conclusione che noi oggi possiamo trarre dalle delibere del primo Concilio è la seguente: i pagani convertiti non devono turbare o ridicolizzare certe tradizioni religiose a cui gli ebrei convertiti si sentono ancora legati; i cristiani di origine ebraica non devono imporre le loro tradizioni umane ai cristiani che vengono dal paganesimo.

Il Salmo 66, composto da tre brevi strofe, ci comunica che le benedizioni del Signore ci spingono a una preghiera universale e a una apertura della carità del Cristo: che su tutti i popoli della terra splenda la luce del volto di Dio, ne accolgano esultanti la via della salvezza, ne ricevano la pienezza delle benedizioni, conoscano e glorifichino il Padre che nei cieli.

La seconda lettura è tratta dal 21 capitolo dell'Apocalisse di San Giovanni. In essa la Chiesa (la Gerusalemme Celeste) appare scendere dal cielo "risplendente della gloria di Dio...simile a quello di una gemme preziosa" perché permeata della santità divina.
Il tempio, nell'Antico Testamento, rappresentava la sede di Dio in mezzo al suo popolo. Ora, il corpo risuscitato dell'Agnello, è il nuovo santuario e il punto a cui converge l'umanità, unita e riconciliata, per comunicare con Dio.
Dio illumina direttamente, con la sua presenza, e la sua lampada che è Cristo, luce da luce, la città La Chiesa non può pretendere di esibire la propria gloria a scapito della Sorgente della luce, contrabbandando come divino "Splendore" le luci derivanti dal successo e dal prestigio umano.
Dio è veramente luce per tutti quando i suoi rappresentanti lasciano lo spazio necessario perché Lui possa intervenire. Ciò è possibile se la Chiesa è fedele, paziente, non integralista, si lascia guidare dallo Spirito, umile, capace di cogliere i segni dei tempi.

L'odierno brano del Vangelo di Giovanni è tratto dal discorso d'addio, come quello della scorsa settimana. Gesù assicura la sua presenza attraverso la sua Paola: "Se uno mi ama osserva la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prederemo dimora presso di lui". Ossia l'uomo si avvicina a Gesù perché Gesù si fa vicino all'uomo. La parola in questione è la carità fraterna che il Consolatore, lo Spirito Santo, inviato dal Padre, permette di comprendere in pienezza. Gesù si accomiata dai suoi con queste parole " Vi lascio la pace, vi do la mia pace...Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore...Vado e tornerò a voi". Cristo si manifesterà attraverso la chiesa se essa ama il Signore nell'obbedienza della fede e quando vivrà la gioia che suscita lo Spirito in lei.

Revisione di vita
- Il nostro amore, in famiglia e in comunità è guida al nostro cammino?
- Accogliamo la voce dello Spirito con umiltà obbedienza quando ci suggerisce nel nostro intimo di convertirci?
- Cerchiamo veramente la pace di Cristo o siamo attirati dalle lodi degli uomini?

Efisio e Marinella Murgia di Cagliari

 

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