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TESTO Commento su Luca 15,1-3.11-32

Michele Antonio Corona

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (06/03/2016)

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

"Questo mio figlio era morto". Cosa significa ciò? Era fisicamente morto? Oppure è solo un'esagerazione orientale? Il padre sembra avere a cuore questa realtà della risurrezione del figlio, al punto da ribadirla in modo fermo anche col fratello maggiore, dicendo "tuo fratello". Il figlio minore è veramente morto su due fronti: come uomo e come figlio. È morto come uomo, in quanto si è reso peggio delle bestie e delle bestie impure, i porci, dei quali chiede il cibo ma non gli viene dato. Come uomo dovrebbe essere reggente-custode delle creature, invece ne è assoggettato. Il desiderio bestiale di trangugiare qualcosa lo pone nel sottoscala dell'umanità, al di sotto anche dei porci.
Come figlio, muore gradualmente: in primo luogo, chiedendo anticipatamente l'eredità del padre rende questi morto e se stesso orfano. Seppellisce il padre e lo lascia in casa, allontanandosene. Inoltre, chiedendo la parte della propria eredità, spezza il legame affettivo e filiale a favore del vincolo economico. In secondo luogo, quando l'eredità viene sperperata, muore veramente come figlio in quanto perde ogni tipo di relazione col padre, anche solo pecuniaria.
L'intervento dei due figli si intesse intorno al verbo "dare" che evidenzia il legame supposto dai due col padre. La loro figliolanza sembra essere legata all'idea del bancomat, del patermat: un padre che elargisca, doni, fornisca, soddisfi i desideri. Il rapporto col padre si muove tra la pretesa e la sicurezza che il padre doni, tra le richieste pressanti e la gratuità paterna. La causa di fondo che muove il figlio a ricordarsi di un padre vivo è la fame ed il desiderio di mangiare qualcosa non bestiale, ma servile. Il ravvedimento del figlio (non sappiamo se fosse ragazzo o giovane, ma solo minore rispetto all'altro) trova ancora le sue radici in una non-figliolanza. Il ritorno a casa è in fondo una rivendicazione tra figlio e servi ed un'accettazione a ribasso di altri legami. Il figlio non si sente legato al padre, ma è incatenato alla ricchezza dell'eredità, alla voglia di autonomia, al mito della libertà dalla casa paterna, dalla dissolutezza della vita, dalla pretesa di essere autosufficiente. Un figlio che idealmente parte per essere libero ed invece scopre di essere ancora più schiavo dei servi di suo padre. Non osa desiderarsi veramente libero (figlio), ma sceglie una via di mezzo: in casa come servo.
È difficile accettare un padre così magnanimo, benevolo, gratuito, misericordioso, paradossale, assurdo, autentico. Accettare e riconoscere questo significa entrare nella dinamica di un amore riconosciuto e condiviso, di una misericordia e accolta e donata, di una gratuità che ci libera da ogni legame superficiale. Il figlio non spera di essere liberato dalle catene che lo hanno legato fin dalla nascita. Non riconosce il padre come vincolo di liberazione", come donatore dell'unica cosa utile: amore libero.

La libertà è uno dei punti mancanti anche nel secondo figlio. Il figlio maggiore ha bisogno di riconoscersi figlio, dato che rifiuta di entrare in casa, non chiama suo padre ma un servo, torna dai campi come un servo mentre i servi sono a casa come figli, non usa mai col padre l'appellativo di "padre" e menziona il fratello come "tuo figlio". Infine, vive il ritorno/risurrezione con rabbia e indignazione a differenza del padre che si commuove. Egli non può essere liberante col fratello poiché non si sente libero. Il rammarico con cui ha vissuto il lavoro in casa del padre, la condivisione della vita, la fatica della quotidianità, l'astio verso le pretese del fratello, l'incomprensione per una bontà esagerata del padre lo hanno cristallizzato in una mentalità di giudizio e di condanna. L'indignazione del figlio si contrappone alla supplica del padre, che dimostra di saper lasciare la propria casa e andare incontro a chi attende. Non aspetta, non si ferma, non trascura, ma ha passi premurosi verso i figli/servi ribelli.

Interessante notare che il vangelo liturgico anticipa la parabola con la contestualizzazione del racconto attraverso i versetti. 1-3. Come nella parabola ci sono due antagonisti ed un padre, così nei primi versetti ci sono pubblicani/peccatori e farisei/scribi con Gesù. È chiaro il parallelismo tra Gesù è il padre dei figli e la possibile identificazione tra i due gruppi di personaggi reali e i due figli della parabola. Chi si sente figlio minore e chi il maggiore? Chi, pur sbagliando, torna dal padre e chi invece non vuole averne più a che fare per la presenza dei "ritornati"? chi fugge dalla casa e poi ne sente nostalgia e chi, invece, vi rimane fedelmente, ma non sentendosi veramente parte integrante?

 

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