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TESTO Ecco l'agnello di Dio

don Fulvio Bertellini

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/01/2005)

Vangelo: Gv 1,29-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Giovanni, 29vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

"Ecco l'agnello di Dio!": con queste parole Giovanni presenta Gesù, nella seconda parte del primo capitolo. Dopo il prologo, abbiamo la lunga "testimonianza di Giovanni", da cui è estratto il brano di questa domenica. Gesù dunque entra in scena, nel quarto vangelo, proprio attraverso la presentazione del Battista. A dire il vero tutti gli evangelisti cominciano dalla predicazione e dal battesimo di Giovanni, ma dobbiamo evidenziare l'originalità del quarto vangelo, che tralascia quasi completamente la narrazione, e ricorre a un lungo discorso - quasi un monologo - del Battista. Fin dall'inizio quindi l'andamento di Giovanni è quasi teatrale: si susseguono dialoghi, dibattiti, discorsi, interventi fuori scena. Si suppone un lettore che già conosce i fatti, la loro successione, e che ha bisogno di un nuovo punto di vista, di un nuovo modo di prenderne contatto. Anche noi conosciamo bene la storia di Giovanni Battista, l'abbiamo appena riletta nel recente periodo di Avvento. Ma ora in questa pagina del Vangelo di Giovanni ci appare in una luce nuova.

Colui che indica Gesù

"Ecco l'agnello di Dio": Giovanni indica in questo modo Gesù. Non è una semplice constatazione, ma un riconoscimento, un invito a seguire, un portare attivamente l'attenzione su colui che sta avanzando. Anche noi come credenti, chiamati ad essere testimoni, dovremmo essere capaci di porre lo stesso gesto: "Ecco, guarda, lo trovi qui...". Senza ancora fare ragionamenti, senza cercare di persuadere, di convincere, di polemizzare. Semplicemente, mostrare. Certamente, può succedere come a quel sacerdote che aveva accompagnato i ragazzi in montagna, e cercava di far apprezzare la bellezza del paesaggio... "Guardate... le montagne, le cime innevate..." ma i suoi giovinastri non pensavano ad altro che a spettegolare e scrivere messaggini, lamentandosi che il cellulare "in queste maledette montagne non prende niente". A volte c'è chi indica Cristo, o la via per incontrarlo, e trova un muro di resistenze. A volte però non abbiamo nulla da mostrare, nulla da indicare. Il nostro annuncio è fatto di tradizioni ormai trite, ragionamenti vuoti, polemiche faticose e fastidiose. In una parola: non è un vero annuncio.

Il simbolo e la via negativa

L'annuncio del Battista invece procede da un fatto, una persona che avanza, e che viene reinterpretata in due modi: il primo è quello del simbolo (agnello di Dio). Giovanni non è in grado di precisare chi sia Gesù. Per cui di primo acchito si usa un'immagine: l'agnello che toglie il peccato. Una lunga storia sta dietro questa immagine, e un desiderio di secoli. Secoli in cui il popolo di Israele ha sperimentato la dolorosità della lontananza da Dio, la fatica di vincere il proprio peccato. Ecco finalmente arrivare colui che lo toglie. In maniera definitiva, radicale. Gesù-agnello è dunque visto come puro, mite, debole, destinato al sacrificio... il simbolo resta aperto a molte risonanze e interpretazioni. E chiede di essere riproposto, rivitalizzato... con quali simboli oggi noi possiamo ripresentare Gesù agli uomini del nostro tempo?

Quindi Giovanni definisce Gesù per via negativa: "colui che è più grande di me". Oltre a dire chi è Gesù, dobbiamo essere in grado di dire "chi non è". Oltre a testimoniarlo nella nostra vita, dobbiamo restare attenti a non oscurare con la nostra opaca e ingombrante presenza la limpida fonte del suo amore. Gesù è più grande dei nostri gesti e delle nostre parole. E non si manifesta a chi si mette al centro, sul piedistallo, e non accetta i propri limiti.

La testimonianza

La seconda parte del nostro denso brano, dopo la presentazione, si apre alla testimonianza. La testimonianza di Giovanni riguarda lo Spirito. Gesù è colui che possiede lo Spirito in pienezza. Proprio il possesso dello Spirito è ciò che gli permette di vincere il peccato. Quel peccato che gli scribi e i farisei, con le loro innumerevoli proibizioni, leggi, minute interpretazioni non erano in grado di togliere dal cuore. Quel peccato che neppure Giovanni, con il suo battesimo di acqua, era in grado di togliere. Quel peccato che neanche i nostri buoni propositi, le nostre buone intenzioni, le nostre migliori azioni riescono a cancellare. Solo colui che battezza in Spirito Santo è in grado di togliere in profondità il male dal cuore dell'uomo, rendendolo Figlio di Dio.
Flash sulla I lettura

"Mio servo sei tu Israele": il popolo nella sua interezza è visto come "servo di Dio". E' una delle sorprendenti affermazioni della seconda parte del libro di Isaia, scritta al tempo dell'esilio, che applica all'intero popolo una qualifica fino a quel momento riservata a personaggi eccezionali, che per la loro risposta alla vocazione divina, e per il ruolo che venivano ad avere, meritavano di chiamarsi "servi di Dio". La dolorosa esperienza dell'esilio porta ad invocare una nuova figura di "servo di Dio", capace di far ripartire la storia del popolo. Ma porta anche alla scoperta che tutto il popolo è chiamato a "servire Dio": non è una responsabilità che possa essere semplicemente delegata sulle spalle di qualcuno. Rimane tuttavia una certa tensione: nei molti testi, tra il capitolo 40 e il capitolo 55 di Isaia, che parlano del "servo del Signore", risulta a volte difficile capire se si parla di un singolo o del popolo. Anche qui si descrive la missione del servo come "ricondurre a lui Giacobbe, e a lui riunire Israele": ma questo è il compito di un personaggio misterioso, che resta da identificare, o è ilpopolo stesso che ha la missione di ricostituirsi e di riunirsi attorno al suo Dio?

La tensione tra responsabilità personale e responsabilità-missione comunitaria troverà la sua soluzione soltanto in Gesù: è lui che "toglie il peccato del mondo" e rende possibile la formazione di una comunità di "servi di Dio"; e pur agendo in prima persona, come singolo, diventa "capo" di una comunità con cui intrattiene un rapporto organico: ecome un unica organismo, di cui egli è la testa, e tutti noi siamo le membra. Allora veramente il Corpo di Cristo può risplendere come "luce delle nazioni", per portare la salvezza "fino ai confini della terra".

Flash sulla II lettura

Anche l'apertura della lettera ai Corinzi, mostra la relazione tra il singolo (l'apostolo) e la comunità al cui servizio si è posto, per incarico del Signore.

"Paolo e il fratello Sostene": non conosciamo molto altro di Sostene (era un collaboratore di Paolo? una persona nota ai Corinti?), a parte il nome. Tuttavia è significativo che compaia nell'intestazione della lettera, associato all'apostolo, forse in segno di corresponsabilità. Allora come oggi non è possibile l'evangelizzazione solitaria, prescindendo da qualsiasi rapporto di intesa e collaborazione.

"Apostolo per vocazione": Paolo sottolinea fortemente la sua dignità di apostolo "per volontà di Dio" nel saluto iniziale della lettera: questo perché la sua autorità era stata messa in discussione dai Corinzi, si erano create divisioni e contrasti, e la lettera intende puntualizzare il vero significato della missione apostolica, non solo di Paolo, ma anche quella di altri predicatori e apostoli. Se uno volesse leggere il seguito della lettera troveremo in alcuni punti una convinta autodifesa di Paolo; in questo saluto però la sua prima preoccupazione, dopo la presentazione, è di puntualizzare anche l'identità dei Corinti.

"coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi": accanto alla vocazione dell'apostolo, emerge prepotentemente la vocazione della comunità, che si caratterizza come vocazione alla santità. La santificazione non è un fatto morale, ma un fatto oggettivo, un dono ricevuto attraverso la croce di Cristo. Ad essa corrisponde una chiamata, la necessità di corrispondere al dono di grazia ricevuto.

"insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore": per puntualizzare ulteriormente la condizione in cui si trovano i Corinti, l'apostolo insiste sull'universalità della vocazione cristiana: in ogni luogo Dio ha suscitato comunità di "santi", che invocano il nome del Signore. Non è possibile nessun individualismo e nessun esclusivismo, ma si rende necessaria un'autentica crescita nella comunione all'interno della chiesa di Corinto, nei confronti dell'apostolo, nei confronti di tutta la chiesa diffusa nel mondo.

 

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