PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Guardare avanti, sempre

don Alberto Brignoli  

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (31/01/2016)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,21-30

In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Siamo talmente orgogliosi - lo dico prima di tutto di noi ministri del Vangelo - da ritenere che i successi che riscontriamo nella nostra attività pastorale e di evangelizzazione siano esclusivamente merito nostro; magari - anzi, senz'altro - in collaborazione con gli altri, ma questo essenzialmente perché ci riteniamo capaci e bravi di averli coinvolti nelle attività. Per cui, siamo subito pronti a prenderci le lodi e i complimenti per ciò che facciamo; di conseguenza, quando sperimentiamo un insuccesso, ci buttiamo giù, e dopo un iniziale momento di rabbia e di sconforto, ce la prendiamo con il mondo intero, al quale attribuiamo la colpa dei nostri fallimenti senza invece guardarci dentro, facendo un po' di sana autocritica. Soprattutto - proprio perché ci riteniamo al centro del mondo in cui viviamo - ci dimentichiamo che quanto sperimentiamo nel bene e nel male, tanto gli insuccessi come le glorie, fa parte di un'opera che non ci appartiene, perché è di qualcun altro. E anche questo "qualcun altro" non ha sempre ottenuto esiti favorevoli nella sua opera di evangelizzazione: anzi, le continue opposizioni, subite sin dall'inizio, hanno addirittura portato alla sua morte.

Sì, anche Gesù Cristo ha sperimentato contrasti e insuccessi fin da principio, così come spesso capita pure a noi. Con una differenza, però: che egli difficilmente poteva essere ritenuto la causa dei suoi insuccessi, in quanto veramente - e non come ingiustamente riteniamo di noi stessi - l'opposizione scaturiva dal mondo e dal contesto in cui viveva. Come mai? Perché tanta opposizione nei confronti del Figlio di Dio? Qualche risposta la possiamo avere dalla liturgia della Parola di oggi, per comprendere la quale occorre necessariamente fare un piccolo passo indietro e ricollegarci al Vangelo di domenica scorsa, strettamente collegato a quello di oggi, non fosse altro che per il versetto iniziale.

Gesù aveva proclamato l'Anno di Grazia del Signore, la liberazione agli oppressi, il lieto messaggio ai poveri, e soprattutto aveva dato compimento a tutto questo nella sua persona. Ma si era dimenticato - e lo aveva fatto di proposito - di citare l'ultimo versetto del rotolo di Isaia, quello che invocava "vendetta sui propri nemici". La Grazia di Dio che egli era venuto a proclamare e a realizzare era Grazia in tutti i sensi, universale: su tutto e su tutti, nessuno escluso. E questo l'aveva dimostrato nelle prime battute del suo ministero: come gli ricordano i suoi compaesani, a Cafarnao erano avvenuti dei prodigi, dei segni miracolosi. La sua predicazione aveva già ottenuto grandi consensi: e allora, perché il Maestro non poteva ripetere lì, a Nazareth, a casa sua, i grandi prodigi compiuti a Cafarnao, nelle periferie, ai confini del Regno d'Israele? Che cosa avevano loro di diverso da quelli di Cafarnao? Perché mai doveva comportarsi con loro in maniera così assurda, evitando di prendere posizione nei confronti di coloro di cui ci si doveva vendicare? Perché annunciare la liberazione, renderla concreta con grandi prodigi fino agli estremi confini del Regno, e poi concedere la grazia anche ai nemici? Quel Regno e il suo Messia sembravano proprio allontanarsi da Nazareth: per questo, si meravigliano che egli abbia parole di grazia, per questo tutti danno testimonianza contro di lui e gli rinfacciano la sua paternità galilea, ossia il fatto di essere figlio di una terra di ultranazionalisti, ribelli al potere costituito in nome del rispetto della tradizione dei loro padri, calpestata lungo i secoli dagli oppressori di turno.

Ma un profeta, per definizione, è uno che guarda avanti, e non può certo rimanere legato alla tradizione dei padri. Già definendosi "profeta", Gesù fa capire che vuole rompere con la tradizione, perché vuole guardare avanti, vuole guardare oltre le barriere dell'odio nei confronti di chi ci opprime. E questo è l'esatto contrario di ciò che i suoi compaesani volevano ascoltare: a loro interessava un Messia difensore della tradizione, non un profeta aperto alla novità e al futuro. Ma per lui, non c'è alcun problema: se il Regno e il suo profeta non hanno successo qui, avranno successo altrove. Del resto, era già successo nella storia d'Israele.

Gesù cita ai suoi compaesani due esempi profetici forti, potremmo dire i due profeti per eccellenza, Elia ed Eliso, due uomini talmente forti e aperti da non essere riconducibili ad alcuna tradizione scritta o ad alcuna scuola (non esiste un loro solo scritto, a differenza degli altri grandi profeti d'Israele, così come per Samuele, il primo grande profeta). Essi volevano ricondurre il cuore del popolo verso un Dio che avevano abbandonato a favore di falsi idoli, richiamare il popolo e le autorità religiose a una tradizione che avevano perduto. Ora che la tradizione era stata ritrovata (e fin troppo, a quanto pare!) Gesù ritiene necessario che il popolo scopra il vero volto di Dio, il quale - pur rispettando la tradizione, dal momento che anche Gesù entra "come suo solito" il sabato nella sinagoga - si rivela come volto di grazia, e non di vendetta; di misericordia, e non di giudizio; di dialogo, e non di conflitto.

Purtroppo, non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire: anche se Gesù invita i suoi interlocutori a fare dei passi avanti, a non fermarsi alla tradizione, ma a intraprendere un cammino nuovo, il legame statico e ammuffito con le proprie certezze acquisite ha il sopravvento anche sul profeta. E come avviene per la stragrande maggioranza dei profeti della storia d'Israele, l'opposizione a Gesù si trasforma subito in persecuzione. Addirittura la città di Nazareth si trasforma: la città degli affetti diviene la città "posta su un monte", "al di fuori della quale" portano Gesù per ucciderlo, come avverrà tre anni dopo a Gerusalemme. E come avverrà allora, anche qui la morte non ha il sopravvento su di lui. Purtroppo, è il legame con uno sterile passato e con ammuffite tradizioni ad avere il sopravvento sui paesani di Nazareth.

Ma il Vangelo oggi interpella noi. Il Vangelo è novità, è vita, è voglia di andare e di guardare avanti, nell'ottica della Grazia: a noi la risposta.

 

Ricerca avanzata  (53941 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: