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TESTO Beato chi abita la tua casa, Signore

don Walter Magni  

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (anno C) (31/01/2016)

Vangelo: Mt 2,19-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Con la Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (31 gennaio 2016) si chiude la sequenza delle domeniche dopo l'Epifania, nelle quali Gesù Si manifesta con segni forti e chiari. È innegabile riconoscere il ruolo strategico di Maria all'interno della Famiglia di Nazaret - chi non ricorda il suo ruolo determinante in occasione delle nozze di Cana? -, più discreto, ma non meno importante, è il modo di porsi di Giuseppe. Merita riscoprire alcuni tratti della sua santità.

Mite e umile
La liturgia, nella prima lettura (Siracide) accosta Giuseppe alla figura di Mosè: "uomo mite, che incontrò favore agli occhi di tutti, amato da Dio e dagli uomini". Ma anche Gesù, mentre proclamava le beatitudini sul monte, pensava a Giuseppe, mentre diceva: "beati i miti perché erediteranno la terra" (Mt 5,5). Mite, infatti, è anzitutto chi fa il bene in silenzio, in tutta umiltà, senza autoincensarsi. Senza alcuna preoccupazione di fare spazio per sé, ma facendo di tutto per fare spazio agli altri. Permettendo così a Suo Figlio di avanzare nel mondo. Un uomo mite non sfrutta nessuno. Piuttosto si lascia sfruttare. Restando fiducioso e sempre aperto nei confronti del mistero di Dio. Più disposto a subire che ad attaccare, perché la sua unica preoccupazione non è di difendersi, ma di custodire in ogni caso l'altro. Certo, mansueto e paziente, ma anche forte e determinato. Gesù stesso, del resto, amerà definirSi "mite e umile di cuore" (Mt 11,29). Come Colui che attua l'antica profezia di un re che porta la pace, avanzando tra gli uomini a cavallo di un animale da soma (Mt 21,5). Spesso l'iconografia cristiana ha immaginato Giuseppe che a piedi segue un asinello che porta Maria che si tiene in braccio Gesù Bambino. Giuseppe non è uno che cavalca, ma fa strada a Colui che avanza. Mite, infatti, è colui che "lascia essere l'altro quello che è" (N. Bobbio, elogio della mitezza, 1993). Giuseppe, rispettando Gesù che avanzava nel mondo, ha semplicemente identificato quanto anche Giovanni Battista affermava di sé: "importa che lui cresca e che io diminuisca" (Gv 3,30).

Che sogna in silenzio
Soprattutto colpisce il silenzio di Giuseppe, che preferisce lasciar parlare i sogni. Per due volte, stando al Vangelo si dice che "morto Erode ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto" e che "avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea". Si sogna anche nelle nostre famiglie quando abbiamo la grazia del dono di un figlio. Come hanno sognato i vicini di casa di Elisabetta e Zaccaria, in occasione della nascita di Giovanni Battista: "che sarà mai questo bambino?" (Lc 1,66). Anche Maria e Giuseppe hanno sognato guardando a Gesù. Mentre di Maria, si dice che meditava "tutte queste cose nel suo cuore" (Lc 2,51), Giuseppe, più semplicemente obbedisce prontamente in silenzio ai suoi sogni notturni. Memore della forza dei sogni dal patriarca Giuseppe, suo illustre antenato. Di certo non possiamo dimenticare quanto il miracolo della nostra esistenza è frutto dei sogni di un padre. Sogni nascosti, mai pienamente rivelati. Sogni forse sussurrati appena in rari momenti di confidenza. E come non ricordare di nostro padre l'eloquenza di certi silenzi? Giuseppe ha introdotto persino Gesù a percepire nel silenzio la presenza del Padre Suo. Fin sulla croce, introducendoLo all'abbandono confidente (Lc 23,46).
"Facciamo silenzio prima di ascoltare la Parola di Dio perché i nostri pensieri sono già rivolti alla Parola. Facciamo silenzio dopo l'ascolto della Parola perché questa ci parla ancora, vive e dimora in noi. Facciamo silenzio la mattina presto, perché Dio deve avere la prima parola. Facciamo silenzio prima di coricarci perché l'ultima parola appartiene a Dio" (D. Bonhoeffer).

Obbedendo al mistero
Tanto Maria è donna che ama scavare nella Parola domandando (Lc 1,34), quanto Giuseppe, davanti al mistero di Dio che in quel bambino semplicemente si rivela, in silenzio obbedisce. Anche quando Maria gli aveva rivelato che il bambino che stava aspettando non era suo, Giuseppe non si scompone. Semplicemente, preso da grande discrezione si ritira davanti al mistero di quella gravidanza. Era un giusto e avrebbe preferito separarsi da lei in gran segreto: "Ma quando ebbe preso questa decisione, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno e gli disse: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa; perché, certo, ciò che è stato generato in lei viene dallo Spirito Santo, ma ella [ti] partorirà un figlio e tu gli darai il nome di Gesù, perché sarà lui a salvare il suo popolo dai suoi peccati'" (Mt 1,19-21). Senza tradire turbamenti e incertezze, piuttosto pronto a subire qualche pesante ironia da parte dei suoi compaesani, semplicemente obbedisce. Accogliendo i fatti, sostando davanti alla realtà delle cose, sapendone cogliere il mistero e la grazia. Sta tutta qui la sua santità. Forse l'espressione di santità più diffusa, ancora oggi e che la beatitudine dei santi incoscienti ci ripete ancora in occasione dell'ultimo giudizio è "quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?' (...) Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito?" (Mt 25,31-46). In Giuseppe, come in tanti santi sconosciuti della storia, si percepisce evidente la forza della gratuità evangelica del servo inutile: "abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,10).

 

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