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TESTO Il Signore ricorda sempre la sua parola santa

don Walter Magni   Chiesa di Milano

3a domenica dopo Epifania (anno C) (24/01/2016)

Vangelo: Mt 15,32-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 15,32-38

32Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». 33E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». 34Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». 35Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, 36prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. 37Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene. 38Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.

In questo tempo dopo l'Epifania, Gesù continua a manifestarSi. Come il Figlio di Dio, che emerge dalle acque del Giordano; come Colui che Si manifesta nel segno del vino di Cana che rallegra il cuore ed oggi (III domenica dopo l'Epifania, 24 gennaio 2016) nel pane moltiplicato capace di soddisfare una folla affamata. A Cana era venuto a mancare il vino della gioia; qui, nel deserto, il pane del cammino.

Compassione
Tutto comincia dalla compassione. Come uno sguardo che scava dentro una folla di gente che forse da Lui S'aspettava qualcosa; come un sentire proprio del cuore di Dio che conosce i nostri desideri più profondi ed elementari. Come una consonanza, una solidarietà che mettendoti sullo stesso piano ti consente di sentire, di comprendere davvero. Gesù stesso lo dichiara: "Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino". Come già era capitato: "vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore" (Mt 9,36). È vero che i Vangeli sono scritti in greco, ma il modo di sentire di Gesù è propriamente ebraico. "Splanchnizô-sento compassione" significa che Si sta commovendo, che Gli si muovono le viscere dentro. Provando la stessa commozione che una madre prova guardando il suo bambino. Gesù sente compassione perché è carne della nostra carne e, stando nella nostra carne, si commuove da Dio, da Figlio di Dio. "Non esiste landa tanto bella, tanto terribile, tanto arida e tanto fertile come la landa della compassione. Essa è l'unico deserto che si coprirà veramente di gigli. Essa diventerà uno specchio d'acqua, essa produrrà germogli e fiorirà e risplenderà di gioia. È nel deserto della compassione che la terra assetata si trasforma in sorgente d'acqua viva, che il povero possiede ogni cosa" (Th. Merton).

Smarrimento
A fronte della compassione sta tutto il nostro smarrimento. Come divaricazione tra la forza del cuore di Dio e la nostra impotenza. Come percezione della differenza tra la gratuità del dono e il nostro continuo calcolare. Gli dicono, infatti, i Suoi: "Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?". Se solo sapessimo sostare con più umiltà davanti a Lui, potremmo intuire la profondità delle Sue viscere di misericordia e della Sua smisurata compassione, mentre alla nostra mente si svelerebbe a quale altezza, a quale considerazione Egli sa portare la nostra piccola esistenza. Lui, che ci legge nel tempo a una profondità che rompe ogni nostro conteggio temporale: "Mille anni, ai tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte" (sl 89,4). Che "non fa conto del vigore del cavallo, non apprezza l'agile corsa dell'uomo" (sl 146,10-11). Che soprattutto vede le nostre intenzioni più profonde. Ricordate mentre nota una povera vedova che getta il suo spicciolo nel tesoro del Tempio? "Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere" (Mc 12,38-44). Perché la nostra pochezza e la consapevolezza dei nostri limiti è la palestra del Suo nuovo insegnamento. E "domandò loro: ‘Quanti pani avete?'. Dissero: ‘Sette, e pochi pesciolini'". C'è un esercizio al quale non ci arrenderemo facilmente: prendere atto di quello che siamo e di quel poco che sta nelle nostre mani. Forse a noi potrà sembrare poca cosa, mentre, consegnato al Suo cuore già tutto si trasforma.

La nostra pochezza moltiplicata
Che differenza passa tra la logica del dono e le nostre strategie di raccolta caritativa? La qualità della carità evangelica, secondo il cuore di Dio, non chiede anzitutto di avviare una strategia di accumulo o di capitalizzazione per affrontare la fame nel mondo, ma di guardare anzitutto con onestà profonda nelle nostre tasche. Nelle nostre mani: "Quanti pani avete?". Il miracolo della moltiplicazione, il rendimento di grazie ("rese grazie"), prende le mosse da quei "sette pani e pochi pesciolini" che ci stringiamo tra le mani e che probabilmente corrispondono a quanto una famiglia aveva conservato come scorta nella bisaccia. Gesù non si scompone, e "dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla". Stando al precedente miracolo di moltiplicazione, il Suo invito giungeva persino a dire ai Suoi collaboratori: "voi stessi date loro da mangiare" (Mt 14,16 e anche Mc 6,37). Quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, a Lui basta per soddisfare la fame di tutti. Col risultato che "tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene. Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini". Si moltiplica solo ciò che si dona. Solo il dono compie il miracolo della moltiplicazione dell'amore e della conversione del cuore. Imparare a guardare il mondo con gli occhi di Dio come ci ha insegnato Gesù, è la strada giusta. Lo ricorda anche Paolo: "ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia" (2 Cor 9,7-9).

 

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