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TESTO Smascherati e rinnovati

don Fulvio Bertellini

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/11/2002)

Vangelo: Mt 23,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 23,1-12

In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Vangelo antisemita?

Matteo ci presenta questa feroce invettiva contro gli scribi e i farisei, che hanno occupato la cattedra di Mosè; oggi potrebbe essere identificato come un passo antisemitico; è più corretto affermare che può favorire una lettura antisemitica. In realtà il tono del discorso, la mentalità, il tipo di argomentazione, sono di puro stampo semitico: il confronto con la I lettura ci aiuta a contestualizzarla nel genere profetico. Le parole di Gesù non sono cioè particolarmente nuove o rivoluzionarie, ma proseguono una tradizione ben avviata e consolidata nei libri profetici: la denuncia del peccato e dell'ipocrisia, particolarmente da parte di chi ha la pretesa di guidare il popolo. E' interessante notare che critiche simili si trovano nelle stesse fonti rabbiniche, che criticano in maniera caricaturale alcuni eccessi o deviazioni del farisaismo. E' anche vero che al tempo in cui veniva scritto il Vangelo la comunità cristiana era perseguitata dal giudaismo ufficiale, e quindi si comprende meglio un certo tono polemico da parte della Chiesa nascente.

Un virus da estirpare

Ma l'evangelista non ha soltanto di mira gli scribi e i farisei: fissando per iscritto le parole del Maestro, intende rivolgersi alla comunità cristiana, del suo tempo e di ogni tempo, perennemente tentata dal virus dell'ipocrisia e del moralismo. Non che il mondo ne sia immune: proprio coloro che accusano la Chiesa, in TV come nei bar, non si accorgono di essere essi stessi, in un modo o nell'altro, ipocriti e moralisti. Ma di questo non ci occuperemo: per oggi pensiamo a fare il nostro esame di coscienza.

Accontentarsi di belle parole

"Dicono e non fanno": il parlare a vuoto è sempre condannato da Gesù, sia nella preghiera ("non sprecate parole come i pagani...") sia nella vita ("sia il vostro parlare sì, sì; no, no"). Per Gesù la parola è importante: attraverso le parole si dà l'annuncio della salvezza, si raccontano le opere di Dio, si incoraggia chi è affaticato, si loda e si esalta il Padre celeste. Ogni parola detta a vuoto, che crea illusione e poi disillusione, che chiede fiducia e poi tradisce è paragonabile a una bestemmia: invece di avvicinare a Dio, il linguaggio crea delusione e sfiducia, in una misura tale che è difficile da recuperare. A volte sarebbe meglio tacere anche a parole, se non si può parlare con i fatti.

Criticare senza accompagnare

"Non vogliono muoverli neppure con un dito": è l'atteggiamento di chi critica la cattiva condotta altrui, senza sentirsi minimamente coinvolto. Certamente, se dovessimo fare un'ipotetica sfilata, in prima fila ci sarebbero i preti (magari in ordine gerarchico), poi i politici, gli educatori, i genitori... cioè in pratica ci siamo dentro un po' tutti. E visto che siamo vicini alla festa di tutti i Santi, non è male ricordare un nostro santo mantovano: Luigi Gonzaga, che di fronte all'appestato non si mise a fare una bella predica, o un discorso consolatorio, ma se lo caricò sulle spalle, a rischio di prendersi la peste, e di fatto la prese. Il giusto atteggiamento è caricarsi del peso dei fratelli; e se non riusciamo a farlo, inutile sprecar parole. Gesù stesso si è caricato in silenzio la croce.

Essere ammirati dagli uomini

"Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini": un po' come i bambini, che cercano sempre l'approvazione del papà, della mamma, o della maestra. Ma molti adulti non sono mai cresciuti. Né la nostra società ci aiuta a crescere: continuamente ci sottopone a modelli in cui l'immagine vincente, il look, il successo, la fama, sono i valori fondamentali. Ma è inutile lamentarsi moralisticamente: questi modelli fanno presa anche per la fragilità della nostra coscienza, troppo sensibile al richiamo della vanità e dell'orgoglio, troppo debole per resistere alle lusinghe dell'ammirazione e dell'approvazione.

Uno solo è il Maestro

Il discorso ha una svolta, quando Gesù passa a dare consigli ai discepoli. In realtà non sono consigli, ma una svolta radicale del discorso, che non è più solo denuncia o esortazione, ma è annuncio del Vangelo. Questo distingue Gesù da un moralista: egli non si limita a denunciare il peccato, dall'alto della sua inattaccabile coerenza, ma porta innanzitutto l'annuncio del Vangelo: "uno solo è il vostro Padre.... uno solo è il vostro Maestro". Mentre ci scopriamo deboli, fragili, incoerenti e peccatori, ci viene offerto un lieto annuncio: abbiamo un solo padre, siamo tuttti fratelli, abbiamo un Maestro che non solo ci guida, ma che è in grado di caricarsi del nostro peccato, che si mette al nostro servizio come servo: prima per smascherare e mettere a nudo le nostre ferite; poi per guarirle. E' Gesù il più grande tra noi, che si è fatto nostro servo; e che ci concede di imitarlo, abbassandoci anche noi al servizio di uomini deboli, fragili, incoerenti e peccatori.



Flash sulla I lettura

Il brano si rivolge ai sacerdoti, che a partire dall'esilio avevano acquisito un potere crescente all'interno di Israele. I sacerdoti non avevano soltanto mantenuto il loro ruolo sacrale, ma avevano in parte ereditato alcune prerogative di governo che in precedenza erano appartenute al re. Ma chi ha un ruolo più importante ha anche una responsabilità maggiore. I sacerdoti erano venuti meno alla loro responsabilità. Il profeta non procede secondo una denuncia circostanziata, ma per allusioni: un insegnamento che allontana dalla retta via, la rottura dell'alleanza di Levi (probabilmente un venire meno ai loro doveri sacri nell'esercizio del culto e nella vita quotidiana) e un giudizio corrotto e distorto nei tribunali.

"Non abbiamo forse tutti un unico Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l'uno contro l'altro...?": Una serie di domande retoriche conclude il brano. E' tipico dello stile profetico condurre il rimprovero e la denuncia del peccato con domande come queste. Soprattutto, la domanda "perché?", che suona tanto più forte quanto più resta senza una vera risposta. La perfidia contro il fratello resta assurda e immotivata, tanto più nel popolo che sa di essere il popolo di Dio. Solo il peccato, un peccato che ha contaminato il cuore e le azioni dell'uomo, è una spiegazione adeguata; e solo Gesù darà una risposta definitiva alla denuncia profetica, non limitandosi a mettere in rilievo il peccato, ma anche dando la via per uscirne.

Flash sulla II lettura

La figura dell'apostolo fa da figura di contrasto con quella dei sacerdoti corrotti della I lettura e degli scribi e farisei moralisti e incoerenti che troviamo nel Vangelo. Paolo ha dedicato la sua vita all'annuncio del Vangelo; ma vive la propria dedicazione nel servizio ad una comunità e a persone concrete. L'annuncio lo porta ad instaurare autentici rapporti di amore (in questo caso amore materno) con le persone a cui porta il lieto messaggio di Cristo crocifisso e risorto.

"Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari": occorre sottolineare che vivere con autenticità la propria missione di cristiani e testimoni deve portare alla costruzione di autentici rapporti umani. Mi è capitato di incontrare diversi ragazzi che non ricordavano più chi era il loro catechista o la loro catechista, che pure avevano avuto per diversi anni: segno che non era scattata una relazione profonda. Anche il rapporto con il prete è spesso oggetto di critiche: e anche in questo caso, dal ministero deve nascere una autentica relazione affettiva, che non resta però fine a se stessa, ma apre ad una comprensione integrale del mistero di Dio: "avete accolto la predicazione non quale parola umana, ma (come è veramente) quale parola di Dio, che opera in voi che credete". Non si possono separare queste due dimensioni, che per molti restano un paradosso inconciliabile: la freschezza dei rapporti umani, e il rimando ad una dimensione trascendente, alla rivelazione di Dio. Così ci troviamo di fronte spesso - o viviamo noi stessi - le opposte schizofrenie spirituali: preti, catechisti, cristiani che sono buoni amici degli uomini, ma deboli annunciatori; e preti, catechisti e cristiani rigidi e intransigenti nell'enunciare il Vangelo (diverso che annunciare), ma freddi e ostili agli uomini. Quando ritroveremo unità spirituale?

 

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