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TESTO Dio scende con l'uomo

don Maurizio Prandi

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno C) (27/12/2015)

Vangelo: Lc 2,41-52 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,41-52

41I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.

51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

La prima domenica dopo Natale è dedicata alla famiglia di Nazareth. E io che famiglia non ho, (certo, in una famiglia sono cresciuto e qualcosa dovrei anche sapere), mi accosto a questa celebrazione con una sorta di timore, nel senso che è una di quelle occasioni nelle quali a parlare dovrebbero essere forse altri. Ci sono però alcuni pensieri che mi nascono dall'ascolto della Parola e che come al solito mi piace condividere.

Intanto celebrando la festa della Santa Famiglia ci accorgiamo, con grande consolazione credo per tante nostre famiglie e comunità parrocchiali, che quella di Nazareth non è una famiglia perfetta. E possiamo tirare un primo sospiro di sollievo: non è una famiglia priva di problemi e di incomprensioni, esattamente come tutte le famiglie. Mi viene in mente quanto tempo fa pensavo a proposito del segno di misericordia per noi sono le parole di Maria: Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo e unite a queste le parole dell'evangelista che sottolinea la non comprensione da parte di Maria e di Giuseppe. Segno di misericordia perché, come dice don Casati, il vangelo non tace debolezze e limiti della famiglia di Nazareth rinchiudendola in un ideale ben difficilmente imitabile. Bello questo particolare: il vangelo non nasconde i limiti. Che triste invece quando nascondo i miei limiti oppure ho a che fare con persone che nascondono e si nascondono provando a raccontarti, come si dice, "quella dell'uva" e poi, magari casualmente li scopri e ti domandi: ma perché c'è stato bisogno di inventarsi questa scusa? Tornando all'angoscia: appartiene a Maria e appartiene a Giuseppe così come appartiene ad ogni mamma e ad ogni papà quando il figlio o la figlia cominciano a chiedere o a fare delle cose nelle quali difficilmente ci si può riconoscere. La non comprensione del figlio ma anche la non comprensione reciproca aggiungo io: chissà quante volte Maria e Giuseppe si son dati la colpa l'un l'altro per non aver badato a sufficienza a Gesù. Se volete Maria e Giuseppe sono dei genitori limitati perché non capiscono Gesù e quindi in ultima analisi non capiscono Dio. Eppure Gesù cresce in sapienza età e grazia. Quel Figlio ha imparato anche attraverso genitori "limitati", genitori che non capivano, come a dire che si cresce anche in una casa, in una famiglia segnata dalla debolezza e dal limite.

Soltanto due giorni fa, durante la messa del giorno di Natale è risuonata nelle nostre orecchie e nei nostri cuori la parola dell'Incarnazione: il Verbo si fece carne... il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi. Il Verbo, la Parola, Gesù scende, viene nella vita, viene ad abitare nella nostra vita. Anche il vangelo appena ascoltato ci parla di Dio che scende, la domenica della Santa Famiglia ci racconta di un Dio che si fa figlio e continua a scendere. Il testo originale in greco (finalmente tradotto correttamente dal nuovo lezionario) infatti dice proprio che Gesù scese con loro, e poi (altra forma, altro modo di scendere), stava loro sottomesso. E' molto importante che il vangelo ci racconti di Gesù che nel momento in cui i suoi genitori non capiscono, scende con loro. Nella loro diversità così chiara, i vangeli di Giovanni e di Luca ci raccontano di un Dio che nonostante le incomprensioni, i non-riconoscimenti, la non accoglienza, la non vigilanza, ha un'unica risposta: scendere con l'uomo. Ricordo che un giorno, giovane adolescente, proprio perché avevo ormai dichiarato di non essere stato capito, me ne sono uscito di casa sbattendo la porta e andandomene per i fatti miei e chissà, forse capita a tanti. Qui il contrario: due genitori non capiscono e per tutta risposta Gesù non se ne va, scende con loro. Credo che questo valga anche per la relazione con Dio tutte quelle volte che non capiamo, che continuiamo a domandarci perché; forse è una "magra consolazione" ma per me è già importantissimo: nella malattia di una persona cara, Dio scende con me, proprio perché non capisco; in quel fatto, così inspiegabile e doloroso, impossibile da accettare, Dio scende con me; in quell'amico, quell'amica, che improvvisamente scopri così diversi da come si erano mostrati a te e non capisci più, Dio scende con te; nella persona che ami, e che ha così tanto bisogno di conferme da doversi mettere alla prova per sapere se vale ancora qualcosa agli occhi degli altri, Dio scende con te; in quel figlio adolescente o poco più che adolescente che risponde e pretende e crede di saperla lunga e per il quale ti sei sbattuto fino all'inverosimile e che non capisci e che non ti capisce, Dio scende con te; ripeto forse è magra consolazione ma un Dio che scende, come dicono i ragazzi oggi, è tanta roba!

Don A. Casati ha accennato questa idea in un suo scritto e io la sento fondamentale per me, per la mia chiesa, per le nostre famiglie. In Gesù, Dio scende con la sua incarnazione e prende dimora, abita, in questa storia contrassegnata dal nostro limite; ha toccato con mano il limite dei suoi genitori, tocca con mano i miei, i nostri limiti e non per questo fugge via o ha parole di rimprovero o di disperazione tipo: ecco, ma qui non capiscono, non c'è niente da fare! Invece scende, fa un ulteriore pezzo di strada. E' capace di crescere in sapienza età e grazia Gesù, proprio perché scende; l'incarnazione è questa discesa che è durata per tutta la sua vita, non è stata questione di un giorno. Sceso anche con Pietro, in quello sguardo d'amore che ha strappato lacrime di pentimento ma forse anche di stupore: fino a qui è sceso con me il mio maestro, fin dentro il mio rinnegamento, non mi ha voluto lasciare solo.

E mi sento ancora più confermato in quella scelta di preghiera all'inizio della Messa, di ogni Messa : di Maria Grazia, di Riccardo, di tutti loro cari, Signore pietà. Coinvolgiti Signore, scendi con loro, nelle loro domande, nei loro dubbi, nel loro dolore e continua a stare, a fare compagnia, a fare un pezzo di strada. Che bella la Chiesa quando è capace di scendere, magari non capisce certe lontananze, certe devianze, certe distrazioni (pensate a Maria e Giuseppe, che razza di distrazione: dopo tanta fatica di angeli per l'una e per l'altro, dopo un viaggio lunghissimo fino a Betlemme, dopo una fuga ancora più lunga in Egitto, perdere di vista proprio Gesù!!!), certi peccati, magari non capisce dicevo, però scende ugualmente. Che bella la Chiesa quando davanti alla debolezza e al limite dei propri figli, invece di scappare via (condannare è scappare) scende con loro perché riconosce in quello scendere la scelta di Dio, il suo mescolarsi con la vita degli uomini perché in fondo è quella la legge dell'incarnazione.

Poi c'è anche l'altra discesa, la sottomissione. Stava loro sottomesso: non so spiegare bene ma so che questo Dio che si sottomette, almeno per me, è proprio affascinante, sottomesso a delle persone, non a degli ordini o a dei comandi. Io come prete alle volte penso che basti dare un ordine perché gli altri eseguano. Forse le opere di misericordia possono essere lette proprio come questa sottomissione alle persone. Se mi sento un gradino sotto, invece di pensare di essere "migliore", se mi metto in ascolto, se credo che dall'altro posso "andare a scuola" ed imparare, allora non posso che dare da bere, da mangiare, visitare, vestire, accogliere.

Ritengo importante, per questo tema della sottomissione anche la prima lettura, dove Anna restituisce a Dio quel figlio che è convinta di avere avuto in dono: una donna di fede, una donna che si sottomette alla volontà di Dio riguardo al figlio. Rispetto al figlio i genitori certamente hanno dei desideri; forse banalizzo, perdonate: che il bambino sia sano, che sia forte, che il parto vada bene. Anna no, ha un unico desiderio: vuole condurre Samuele a vedere il volto del Signore e cederlo al Signore per tutti i giorni della sua vita. Ci viene detta qui la nostra vocazione, che non è quella di inculcare una fede, ma quella di condurre anzitutto a leggere i volti, incontrarli, riconoscere in loro un tratto, straordinario ed incancellabile, del volto di Dio.

Due segni ulteriori di luce e che possono aiutarci a fare chiarezza:

1) il verbo cercare e la domanda che Gesù fa ai suoi: Perché mi cercavate? Non è una domanda scontata, e scontata non è la risposta perché non è rivolta soltanto a Maria e a Giuseppe, ma è rivolta al lettore del vangelo che in ogni tempo cerca Dio. Cerco Gesù nella mia vita? E se lo cerco, perché? Per portarlo dove voglio io o per lasciarmi condurre da Lui a vedere il volto del Signore?

2) la risposta che Gesù dà a sua Madre e che tradotta letteralmente dal greco suona così: Non sapevate che io devo essere nelle cose del Padre mio? Quante volte nella chiesa ci occupiamo delle cose di Dio e siamo invece ben distanti dall'essere in quelle cose? Mi torna in mente quello che dicevo la terza domenica di Avvento a proposito della domanda delle folle a Giovanni: condividere è esistere con l'altro, non è consegnare quello che hai ma è consegnare quello che sei.

Forse possiamo cominciare proprio dall'Eucaristia: viviamola non come il rispetto di un precetto o l'occupare uno spazio, ma come un essere e uno stare nelle cose di Dio.

 

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