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TESTO Dio è la' dove non te lo aspetti

don Maurizio Prandi

IV Domenica di Avvento (Anno C) (20/12/2015)

Vangelo: Lc 1,39-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,39-45

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Arriviamo alle soglie del Natale avvolti dalla gioia che è stata un po' il tema degli ultimi ascolti domenicali. La gioia soprattutto di Dio che ricorderete nasce da due dati:
1) dalla consapevolezza della sua propria misericordia,

2) dall'uomo, da ogni uomo. Ricordate la prima lettura di domenica scorsa? Dio stesso dice ad ogni persona: tu mi fai felice!

Oggi, il vangelo ci parla della gioia di Maria che non può non partire, non può non mettersi in cammino per, come dicevamo il giorno dell'Immacolata, rivolgere a sua cugina le stesse parole che Dio attraverso l'angelo ha rivolto a lei: non temere, io sono con te. Chissà, forse siamo già stufi di quella parola, misericordia, che ci accompagnerà durante tutto l'anno, ma essere capaci di "opere di misericordia" è imparare a dire poco a poco: io sono con te. Se davvero sentissi rivolte anche a me quelle parole quanto sarebbe più facile dare un bicchiere d'acqua, o dare da mangiare, o vestire qualcuno, accogliere, visitare! Che bello (ma anche responsabilizzante), incontrare ancora una volta nella Scrittura tracce di misericordia capaci di scrivere dentro di noi il desiderio di imitare per poter essere anche noi presenza della misericordia di Dio nella vita degli altri. Non si tratta di essere creativi ed inventarci chissà che cosa, non si tratta di essere degli eroi e compiere chissà quali imprese; può bastare essere imitatori, o copiare, semplicemente dire: questo, anche se sono una mezza calzetta, lo posso fare anche io!

La gioia, (credo che sarà il tema che ci accompagnerà anche il giorno di Natale), ha anche una sorgente, una fonte. Se sono capace di gioire è perché Dio fa delle scelte, a mio parere, straordinarie. Ad esempio, quello che emerge dalle letture di oggi è questo: Dio sceglie la piccolezza, e la scelta della piccolezza è per me motivo di gioia! Sarà chiaro anche per Elisabetta quando Maria le dirà che Dio ha guardato alla piccolezza della sua schiava.

Dove posa lo sguardo Dio? Sulla piccolezza di Betlemme, sulla piccolezza di un corpo, sulla piccolezza di una ragazza poco più che adolescente, ed io, dove poso il mio sguardo? Se le preferenze di Dio sono quelle chiare, lampanti. Perché continuo a preferire le grandezze, le potenze, le sicurezze?

Dio è laddove non te lo aspetti dicevamo ieri sera nel centro di ascolto a Panesi commentando il vangelo dei Magi. Magari lo sai, lo hai letto tante volte nella Scrittura, proprio come hanno fatto scribi e capi del popolo che quel giorno sono stati consultati da Erode, ma ti sembra così strano che rimani fermo, non ti muovi, non vai, non ti metti in cammino. Dio, ad esempio, è nella piccolezza: non te lo aspetti certo, ma è lì! La prima lettura ci parla della piccolezza di Betlemme di Efrata, che è una parola ebraica che significa la feconda e il significato di fecondità ce lo dà la tradizione ebraica che quando ricorda Betlemme la definisce sempre così: la piccola, la minima, la troppo piccola per poter essere messa a confronto con le altre città di Giuda. Sono fecondo allora quando sono piccolo, quando sono minimo come Betlemme, perché sono la grandezza, la forza, la fama di Gerusalemme le cose che contano, ma conta, ovvero fa la storia chi, come Betlemme, è sempre rimasto piccolo.

Betlemme è un simbolo, un forte richiamo alle origini. Dovrebbe esserlo per chi comanda, per chi ha delle responsabilità. Ha dato origine alla monarchia davidica certo, ma è sempre rimasta piccola e alcuni hanno imparato credo questo: alcuni sono stati capaci (pensate a Giorgio La Pira ad esempio) e hanno servito il bene comune restando piccoli. Credo sia un segno importante questo di Betlemme, perché custodisce un messaggio: una umile origine quella di Davide, una umile origine quella di Gesù, una umile origine la nostra che nasciamo come figli da Dio, non da mille agi o comodità, non da ricchezze che possono togliere la fatica e la bellezza del vivere, ma da un po' di acqua versata sul nostro capo; non ha senso il farsi grandi, non ha senso il credersi grandi, proprio perché veniamo da questa storia di piccolezza ed umiltà alla quale Gesù ha sempre obbedito ed è rimasto fedele. Grandi si possono sentire (ma non lo faranno mai), le nostre suore Giannelline che a Betlemme, con il loro servizio, continuano ad essere segno di una piccolezza benedetta da Dio. Lì sento la verità di quella parola: dominatore parola che il profeta Michea ci propone. Si è grandi, si è dominatori, quando si rimane piccoli, disponibili, nascosti. Si è grandi, dominatori, quando, come dice il testo di Michea, si sta! "egli starà!" dice il testo, non scappa Dio, non se ne va; lasciamoci stupire da questo suo "stare" come re in mezzo a noi.

Dio poi, è nella piccolezza di una parola e nella piccolezza di un corpo come afferma la seconda lettura. Che bello quello che ascoltiamo oggi dalla lettera agli Ebrei: Gesù entra nel mondo e cita un salmo, cita la parola di Dio. Il primo atto di Gesù è assumere la Parola, farla propria, metterla al primo posto. Quella Parola diventa sua, quella parola può, deve diventare nostra! Ecco il viaggio, il cammino della Parola di Dio, un cammino che prima di tutto si compie in noi: diventare Parola nostra, Parola che ci appartiene. Parlo ancora dell'incontro di ieri a Panesi, dove è emerso chiaramente che i Magi, una volta ascoltata la Bibbia dagli scribi, fanno propria quella parola, credono a quella parola che è la prima lettura di oggi e si muovono, con gioia, verso Betlemme. Un sacerdote scriveva che è necessario impadronirsi della Parola, certamente non per usarla, sfruttarla a nostro uso e consumo, semplicemente per assumerla, per farla diventare parte di noi, per farla entrare nelle nostre profondità. Il riferimento al corpo ancora una volta ci dice ci dice delle preferenze di Dio, perché dire corpo significa dire vita, significa dire condivisione di una condizione, ma anche abbassamento, vicinanza, apertura, ascolto. Bello il testo ebraico del salmo citato nella lettera agli Ebrei: non un corpo mi hai preparato ma: mi hai forato le orecchie. Mi viene da dire che ci costruiamo come persone se la parola di Dio (scritta nel Libro e incontrata nel quotidiano) viene ascoltata, entra in noi e trasforma la nostra vita. Parlavo con un giovane in questi giorni che mi diceva come attraverso un dramma che un suo amico sta vivendo, ha messo a fuoco la sua incapacità di ascoltare, di aprirsi, di dare credito a consigli e mi chiedeva di essere aiutato ad imparare ad ascoltare.

E infine Dio nella piccolezza di una mamma poco più che adolescente. Mi ha molto colpito una riflessione fatta dalla comunità di don G. Dossetti, che nella sua semplicità illumina: Maria entra in casa e saluta - è una ragazza educata mi viene da dire - il saluto, il semplice saluto fa sussultare di gioia una creatura e la madre che la porta in grembo. E' proprio vero che non sono necessarie cose lunari o da extraterrestri per portare gioia, basta un saluto! Quante persone che "tolgono il saluto" dopo un diverbio, quante persone che tagliano la possibilità di essere nella gioia loro stesse per prime e i fratelli e le sorelle poi...

Dio nella piccolezza di una coppia di sconosciuti, costretti a viaggiare per registrarsi in un luogo distantissimo da quello dove vivevano, nella piccolezza di un bambino, Gesù, nella piccolezza di uno spazio rifiutato da parte degli uomini, nella piccolezza di una stalla-grotta, nella piccolezza del pane, nella piccolezza di Carlito che, lo ricorderò sempre un giorno è stato tutto il tempo della messa alla finestra della chiesa (di Rodrigo, nella nostra missione a Cuba) e al mio ripetuto invito ad entrare, (ad un certo punto ero anche un po' scocciato lo ammetto), mi ha fatto vedere i suoi piedi scalzi e quelli degli altri bambini che almeno un paio di ciabatte le avevano, si vergognava ad entrare in chiesa senza scarpe, la piccolezza di Andrea, che ha chiesto aiuto per se e per i suoi amici: non abbiamo uno scopo, non abbiamo una passione, un desiderio, una direzione... cosa possiamo fare?

Avvicinandoci al Natale, in questo Dio che guarda la piccolezza e che sceglie la piccolezza desideriamo specchiarci, ed essere riflesso della Sua luce per poter semplicemente salutare i piccoli che incontriamo e farli sobbalzare di gioia.

 

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