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TESTO Che donne!

don Alberto Brignoli  

IV Domenica di Avvento (Anno C) (20/12/2015)

Vangelo: Lc 1,39-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,39-45

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Quando entro in una chiesa e vedo la sua statua; quando in una casa vedo un quadro che la rappresenta; quando - come in questo periodo dell'anno - la vedo immortalata in un presepio, oppure quando vedo la sua effige in una qualsiasi riproduzione, moderna o antica che essa sia, la vedo sempre immersa in un'aura di tenerezza, di dolcezza, spesso addirittura di melensaggine, con il collo ritorto, piegato, quasi sottomesso a una Volontà più grande di lei, accettata con rassegnazione più che con entusiasmo. Eppure, io non riesco a credere che Maria fosse così, e quanto abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi, mi fa davvero pensare a tutt'altro, ovvero a una donna forte, decisa, piena di carattere, per nulla piegata, bensì protesa ad accettare con entusiasmo questa benedetta volontà di Dio che a noi suona sempre come un macigno che ci sovrasta e ci schiaccia. No, Maria non è schiacciata né rassegnata di fronte alla volontà di Dio, e lo vediamo nella forza prorompente di questo testo di Luca, dove due donne, molto diverse tra di loro ma accumunate da un identico destino, sembrano davvero prendere in mano le redini della loro storia, e addirittura della storia della salvezza.

Partiamo con Maria, allora, e "partiamo" nel vero senso della parola, perché non fa neppure in tempo a ricevere l'annuncio dell'angelo che esce dalla porta lasciata aperta dal messaggero per "andare in fretta verso la regione montuosa". Lo scopo del suo viaggio era raggiungere una città della Giudea, e già la modalità con cui raggiunge la meta è sorprendente. Non dimentichiamoci che siamo di fronte a una ragazzina adolescente, per di più all'inizio di una gravidanza precoce: ebbene, con una libertà d'animo impressionante, decide di intraprendere questo viaggio di circa 150 chilometri, per la rapidità del quale (sceglie addirittura la scorciatoia delle montagne, mentre la strada passava dalla valle del Giordano) è presumibile pensare che non abbia avuto il tempo di aggregarsi ad una carovana organizzata, che di certo non sarebbe passata in territorio samaritano. E il fatto che nessun altro personaggio sia citato in compagnia di lei, ci fa veramente pensare che non solo abbia viaggiato in solitudine, ma l'abbia fatto indipendentemente dalla volontà del padre o del futuro sposo, i quali, proprio in quanto maschi di famiglia, avrebbero dovuto autorizzarla a fare questo viaggio. Ma vedremo che qui i "maschi di famiglia" non la fanno certo da protagonisti, perché una ragazza così decisa e così libera come Maria non lascia spazio ad autoritarismi che non hanno più motivo di sussistere, quando si ha Dio nel cuore.

Siamo di fronte ad una ragazza talmente forte e libera che è capace di entrare nella casa di Zaccaria e di salutare non il padrone di casa, ma la sua signora. E anche questo, per la mentalità dell'epoca, era un atteggiamento quantomeno spavaldo. Ma, tant'è, il padrone di casa non avrebbe mai potuto salutarla perché zittito dalla potenza di Dio di fronte ad un mistero che egli non ha saputo accettare perché ritenuto troppo grande per le sue forze. Perlomeno, l'altro maschio di famiglia, Giuseppe di Nazareth, se ne sta a casa a cercare, nel silenzio, la soluzione dell'uomo giusto di fronte a questa inattesa gravidanza extramatrimoniale; Zaccaria, invece, il sacerdote, l'uomo del culto, ha bisogno di capire che è Dio che parla, in questo momento, e non certo attraverso la Legge o i sacrifici offerti nel tempio, ma attraverso l'incredibile vicenda di due donne. Alle quali è sufficiente un saluto, un abbraccio, perché la traboccante gioia ed esultanza di Dio sussulti nel grembo della più anziana, di Elisabetta, cosa che avrebbe dovuto fare il padre, stando all'annuncio dell'angelo nel tempio. Ma no, nel tempio quel giorno c'era solo turbamento e timore: è qui, ora, il tempo della gioia, e lo è grazie a queste due straordinarie donne, la cui vicenda altro non è se non il segno che la promessa di Dio annunciata nell'alleanza antica si è compiuta attraverso il loro "sì".

Il brano che narra la cosiddetta "visitazione" è, infatti, un insieme di citazioni dell'Antico Testamento, tutte inerenti alla salvezza che il Signore ha compiuto in favore del suo popolo Israele. Quel "Benedetta tu fra le donne" che è ormai divenuto parte indelebile della nostra devozione mariana, è la citazione di un'acclamazione presente due volte nella Bibbia: prima nel libro dei Giudici, quando una donna, il giudice Deborah, canta ed esalta la salvezza che Dio ha operato nel popolo per mezzo della forza di un'altra donna, Giaele, che da sola sconfigge l'esercito nemico; poi, nella vicenda di Giuditta, accolta con queste stesse parole dal popolo dopo essere ritornata vittoriosa con la testa di Oloferne nel sacco. A queste parole, Luca aggiunge le parole della benedizione di Mosè presente nel libro del Deuteronomio (cap. 28): "Benedetto sarà il frutto delle tue viscere", la quale, però, fino ad allora, era riferita ai maschi del popolo.

Ma qui - l'abbiamo già visto - i maschi di famiglia sono messi da parte per fare spazio alla grandezza delle donne e del frutto dei loro rispettivi grembi, uno sterile, l'altro ancora incapace a generare, che diventano luogo della manifestazione di Dio. E non è finita, perché il riferimento al compimento delle promesse dell'Antico Testamento si fa ancor più evidente con la domanda di Elisabetta a Maria: "A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?", parole che richiamano le vicende del trasporto dell'Arca dell'Alleanza da parte di Davide nel campo di Araunà, dove un giorno verrà costruito il tempio, luogo della manifestazione di Dio in mezzo al suo popolo. Araunà accoglie Davide con queste stesse parole, mentre Obed, che ospiterà l'arca per tre mesi nella sua casa, sarà benedetto, lui e tutto ciò che gli appartiene. Anche Maria si fermerà tre mesi nella casa di Elisabetta, e non abbiamo motivo di dubitare che quella duplice permanenza (della Madre e del Figlio) abbia benedetto in maniera forte la casa di Zaccaria che riacquista la parola proprio al compiersi della promessa.

Il racconto si chiude con una beatitudine, la prima di tutto il Vangelo: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto". Anche la conclusione dei Vangeli è legata a una beatitudine: "Beati coloro che pur non avendo visto crederanno". La beatitudine, la gioia del Vangelo, è sempre questione di fede: il timore e la diffidenza creano il silenzio di Zaccaria, la fiducia in Dio fa esplodere in beatitudini e canti di gioia la vita di due donne, di cui Dio si serve in maniera inspiegabile - una sterile, l'altra vergine - per donare al mondo l'autore stesso della Vita.

 

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