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TESTO Commento su Luca 3,10-18

fr. Massimo Rossi  

III Domenica di Avvento (Anno C) - Gaudete (13/12/2015)

Vangelo: Lc 3,10-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 10le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».

15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

L'Anno Santo della Misericordia si è aperto ufficialmente da pochi giorni; oggi celebriamo la Domenica Gaudete, (lett.: gioite): siamo a metà del Tempo di Avvento e il clima liturgico si alleggerisce un poco, come potete constatare dal colore dei paramenti.
Tra meno di due settimane sarà Natale!

La domanda rivolta al Battista da coloro che si presentavano a ricevere il battesimo, è la stessa che dobbiamo porre noi, a noi stessi e alla Chiesa: che cosa dobbiamo fare? Ne abbiamo parlato tante volte, l'identità cristiana va oltre il ‘fare', anzi, viene prima del fare, è questione di mentalità, è questione di essere.

È anche vero che il fare rivela l'essere... ma non sempre: con buona pace del mio insigne confratello San Tommaso d'Aquino - suo è il detto "agere sequitur esse" - il nostro agire non è sempre lo specchio dell'essere. Il peccato peggiore - per natura intrinseca, ma anche perché è molto diffuso, forse il più diffuso - è proprio l'ipocrisia. Nel mio caso, predicare bene, ma...

A Natale si è tutti più buoni, dobbiamo essere tutti più buoni!

A Natale, anche nelle zone di guerra, cessano per qualche ora le ostilità, i cannoni tacciono, i raid aerei si interrompono,... Famosa è quella tregua improvvisata e spontanea, che intervenne tra un contingente inglese e uno tedesco la notte di Natale del 1914, in una trincea sul fronte franco-belga: "E' stato il Natale più meraviglioso che io abbia mai passato - scrisse in una lettera ai genitori il caporale Leon Harris del XIII battaglione del London Regiment -. Eravamo in trincea la vigilia di Natale e verso le otto e mezzo di sera il fuoco era quasi cessato. Poi i tedeschi hanno cominciato a urlarci gli auguri di Buon Natale e a mettere sui parapetti delle trincee piccoli alberi di Natale con centinaia di candele. Alcuni dei nostri si sono incontrati con loro a metà strada e gli ufficiali hanno concordato una tregua fino a mezzanotte di Natale. Invece poi la tregua è andata avanti fino alla mezzanotte del 26. Siamo tutti usciti dai ricoveri, ci siamo incontrati con i tedeschi nella terra di nessuno e ci siamo scambiati souvenir, bottoni, tabacco e sigarette; (...) grandi falò sono rimasti accesi tutta la notte e abbiamo cantato insieme le canzoni di Natale.". Quei militari che avevano osato contravvenire al codice di guerra, furono duramente redarguiti dai rispettivi generali.

Chissà: questo "diversivo", un po' naif, alla logica spietata della guerra, sarà stato una finzione? oppure era inautentica l'obbedienza dei soldati ad una guerra, alla quale erano stati obbligati contro la loro volontà? Quante volte ci sentiamo costretti ad un comportamento che urta profondamente alla nostra coscienza!... Negli anni Settanta-Ottanta si discuteva molto di obiezione di coscienza, riguardo a temi etici molto delicati, come il servizio militare e l'aborto. Da lì a poco, la leva obbligatoria venne abolita e la questione-aborto venne risolta, per così dire, con la tanto discussa legge 194 (22 maggio 1978). Le questioni di principio rimangono, ma le polemiche si spensero.

Parliamo di conversione... tanto per cambiare.

Ma ne parliamo da un punto di vista particolare: l'amabilità.

Durante gli incontri di preparazione al matrimonio, una domanda ricorre puntuale: è più difficile amare, o rendersi amabili, cioè lasciarsi amare? Per facilitare la risposta, aggiungo che il colmo per un religioso, per un sacerdote, per un genitore, per un insegnante,... è scoprire che le persone loro affidate stanno a distanza perché - dicono - quel religioso, quel sacerdote, quel genitore, quell'insegnante incute soggezione. In altre parole la persona è temuta più che amata.

Obbiezione: è necessario mantenere la distanza formativa, preservare la relazione da coinvolgimenti emotivi inopportuni quanto pericolosi.

In effetti, il rapporto formativo, sia esso di ordine spirituale, o pastorale, o didattico, o genitoriale, è una relazione particolarmente delicata: gli affetti non sono sempre educativi, è vero.

Tuttavia la soggezione allontana, l'amabilità, invece, avvicina. Certo, quando c'è di mezzo il sentimento, ci si può trovare nella condizione di chi attraversa un campo minato: e se l'altro si avvicina troppo? e se il sentimento esplode in passione? e se non sono in grado di gestirlo? e se la relazione evolve in altro?... A buon conto, evitiamo!...

Troppi "se", troppi rischi! "Meglio prevenire che curare!", dice il proverbio.
- l'amabilità rende vulnerabili
- l'amabilità comporta un abbassamento delle difese

- l'amabilità costringe a levare la maschera, deporre la veste del maestro, l'abito ufficiale, il ruolo, la posizione di superiorità.

Esattamente come Gesù, il quale, durante la cena di addio, si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse i fianchi con un grembiule, versò acqua i un catino e cominciò a lavare i piedi agli apostoli.

Rendersi amabili significa, in ultima analisi, favorire il rapporto, non immolarlo sull'altare dei sacrosanti principi della morale. Se la morale non alimenta l'amore, ma lo rende più difficile e faticoso, (soprattutto per l'interlocutore) non è autentica morale cristiana!

A Natale, il Figlio di Dio viene a noi nei panni di un neonato.

Ebbene, sì, stavolta l'Onnipotente, il Forte, il Signore degli eserciti,... è stato un po' ruffiano: ha approfittato del nostro istintivo buon cuore, assumendo l'identità e l'amabilità di un bambino debole e indifeso: di fronte a un neonato, chi non si lascerebbe muovere da compassione? Chi non si scioglierebbe di tenerezza? Chi non si avvicinerebbe spontaneamente? Soltanto un uomo, una donna inariditi e inaciditi dalla paura di cedere all'Amore.

E, di religiosi, di religiose, stroncati dall'arida spiritualità del dovere, ne conosco più di uno.

Il Signore abbia pietà di noi, converta i nostri cuori di pietra in cuori di carne.

Forse l'amabilità non va sempre nella stessa direzione dell'efficienza.

L'Amore non si impara sui libri soltanto, manuali di teologia a e di morale compresi.

Se avremo corso, almeno una volta, il pericolo di amare e di lasciarci amare, potremo anche diventare predicatori autentici, convinti e credibili dell'Amore di Cristo.

 

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