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TESTO I poveri? La nostra salvezza!

don Maurizio Prandi

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (08/11/2015)

Vangelo: Mc 12,38-44 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 12,38-44

38Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Una chiesa salvata dai poveri... Ricordo che sintetizzavo così, alcuni anni fa, la liturgia della parola di questa trentaduesima domenica del T.O.... e ancora oggi mi sembra la sintesi migliore per esprimere il cuore di quanto abbiamo ascoltato. Ieri, nella messa a Breccanecca mi si diceva: ma non è Gesù che ci salva morendo per noi? Certo! Ma se Gesù questo gesto, il dare la propria vita, lo "impara" da una donna povera, ecco che, perdonate il termine, il cerchio si chiude. La prima lettura della liturgia della parola di questa domenica, con forza anticipa lo stesso messaggio. La Sacra Scrittura, oggi ci dice concretamente questo: i poveri sono la nostra salvezza!

Lo sperimenta il profeta Elia, l'uomo di Dio, che è perseguitato dalla regina Gezabele (il re aveva costruito un altare a Baal e il popolo, timoroso, segue il re invocando gli dei pagani; il profeta Elia è il grande difensore del Dio d'Israele, il solo al quale si deve rendere culto) e si rifugia nella terra di origine della sua nemica; nel piccolo villaggio di Zarepta, egli sperimenta fondamentalmente due cose:

1) la prima è che la sua salvezza è legata ad una donna poverissima (mentre la richiesta di acqua non la turba nonostante sia un periodo di siccità estrema, quella della focaccia provoca in lei la decisione di mettere davanti al profeta la propria condizione, quella di una estrema povertà: possiede infatti il necessario solo per un ultimo pasto con suo figlio);

2) la seconda è che il Signore si rivela ed è ascoltato anche in terra straniera, nella pagana Fenicia. Quell'invito, così conosciuto dal popolo d'Israele e ascoltato da lei per la prima volta: non temere, viene accolto e dona tutto il pochissimo che ha! Bello anche questo: proprio quando il popolo d'Israele si lascia attrarre dalle divinità pagane introdotte da Gezabele, la fede di questa povera vedova, che si traduce in carità, consente ad Elia di fortificarsi nel corpo e confermarsi anche nella sua missione di profeta: qualcuno ascolta, qualcuno si fida della parola di Dio, la mia chiamata ha un senso. Bello anche che la fede di questa donna le consenta di farsi prossima ad uno sconosciuto, per di più straniero. La Bibbia ci dice anche che l'olio e la farina sono i doni che gli ebrei portavano al tempio: questa donna, ascoltando l'invito a non temere, offrendo ad Elia tutta la farina che ha e tutto l'olio che ha, entra nella storia di Israele.

E io? In che cosa mi sono sentito e mi sento salvato dai poveri? Che cosa imparo dai poveri? Sei anni fa, quando sono uscivo con le suore colombiane che mi aiutavano nella missione a Cuba, guardando alle giornate che ininterrottamente ci proponevano pioggia, pioggia e ancora pioggia, conoscendo un po' la situazione delle comunità che stavamo andando a visitare pensavo che gli incontri di catechesi e le celebrazioni delle messe sarebbero andati praticamente deserti: pioggia e fango diventavano un ostacolo quasi insormontabile. E invece... vedere arrivare piano piano le persone, scalze perché con l'acqua e il fango le scarpe si rovinano, senza ombrello perché non ce l'hanno, con il desiderio di ascoltare e di condividere la parola di Dio, ecco, questo per me era salvezza. Mi rendevo conto di abituarmi alle case che non sono case perché ci piove dentro, ai vestiti che al giro sono sempre gli stessi, ai volti dei presenti ad una celebrazione senza ricordarmi della strada (tanta!) che hanno percorso per arrivare... anche questo accorgermi per me era salvezza... poteva sembrare tutto "normale" e non toccarmi minimamente, oppure potevo star male, arrabbiarmi, soffrire, cercare una soluzione... nei giorni scorsi invece mi "ha salvato" una persona che come gruppo Caritas accompagniamo... l'ho incontrata al supermercato che stava facendo la spesa: aveva un carrello così vuoto che... ho pensato che come altre volte è capitato potevo fare una spesa per lei e una volta arrivati alla cassa ho pagato come se fossero tutti alimenti per me. Soltanto due cose non ho pagato: mezzo chilo di pasta e un chilo di farina: questi li pago io! Ha detto con orgoglio alla cassiera. Una volta fuori mi ha detto: Tieni don, queste cose le ho voluti pagare io perché so che domani fate la raccolta viveri per i poveri... non è molto, lo so, ma è quello che posso dare, una piccola condivisione. Sono queste le cose che, in un certo senso, salvano la mia vita, perché hanno il sapore del vangelo.

Un'altra vedova è protagonista del brano di vangelo che abbiamo ascoltato... le due donne che oggi la Scrittura ci fa incontrare sono simbolo intanto di un decentramento totale, nel senso che non pensano minimamente a sé stesse e non pongono se stesse al centro e sono contrapposte alla figura dei farisei che invece fanno di tutto, ma proprio di tutto per essere notati, serviti, riveriti. L'evangelista Marco sintetizza in tre punti l'ipocrisia degli scribi che avevano la presunzione di essere maestri, punti di riferimento: in rapporto a se stessi, le lunghe vesti che indossavano servivano ad indicare che erano autentici uomini di Dio e ritenevano che l'onore a loro rivolto fosse rivolto a Dio stesso; in rapporto ai poveri, rappresentati qui dalle vedove: invece di difenderle e di amministrare i loro beni al meglio, ne approfittavano e divoravano loro anche la casa; in rapporto a Dio, ostentano lunghe preghiere ma in realtà fanno finta di pregare, l'importante è apparire giusti agli occhi della gente (don Giuseppe Dossetti). Torna anche in questa domenica il verbo vedere... due domeniche fa il desiderio di vedere di Bartimeo e domenica scorsa ci siamo detti che dal modo di guardare di Gesù una folla carica di pesi e fatiche ma anche di valori sono nate le Beatitudini. Ebbene anche oggi Gesù guarda, osserva... lo fa dal basso... (è seduto di fronte al tesoro dice il vangelo...); guardando dal basso si rende conto che è accaduto qualcosa di importante e in modo molto solenne chiama i suoi discepoli per dire loro chi è il vero maestro: non gli scribi, non i farisei, ma una povera vedova che si avvicina per versare una somma irrisoria. La scena è poco appariscente: una vedova, povera, che getta due monete nel tesoro del Tempio non fa certamente notizia ma è da lei, donna, povera e insignificante, che, secondo Gesù, i discepoli sono chiamati ad imparare la lezione più importante del vangelo. Essa infatti ha gettato tutto quello che aveva, come dice la traduzione letterale dal greco: tutta la sua vita. E ha gettato tutto... ma proprio tutto: aveva due monete? Avrebbe potuto dire: una la tengo per me! E invece no!

Pensiamo a quanto provocante è questo esempio in una società (ma qui i tempi, e le società anche, non sono cambiati), maschilista come quella del tempo di Gesù, quando si riteneva che una donna avesse poco da insegnare in ordine all'obbedienza alla Toràh, tanto meno una vedova, considerata ai margini della vita sociale e in qualche modo non pienamente benedetta da Dio.

In questa domenica i bambini del primo anno del catechismo ricevono il nome di Gesù e questa consegna l'abbiamo preparata condividendo con i genitori quello che più ci colpisce della persona di Gesù. Una mamma ha detto: per me il suo sacrificio... ha dato tutto di sé... mi veniva in mente allora quanto altre volte ho detto, cioè che credo che anche Gesù un po' abbia imparato da questa vedova: ha imparato che la vita ha senso se è gettata, donata, regalata. O per lo meno, in lei ha incontrato qualcuno che la pensa esattamente come lui.

E io, che cosa imparo dai poveri? Tornano ancora alla mente le parole di don Daniele Simonazzi, che ripropongo a me e a voi... per la povertà concreta della sua vita le può pronunciare senza arrossire (io lo farei subito), per la vergogna: Il cristianesimo non è questione di parole difficili o di discorsi complicati: è una persona concreta, Gesù, ciò che lui fa e ci insegna a fare. Ma dove lo vediamo, dove possiamo leggerne i lineamenti se non nei poveri, in coloro nei quali lui si identifica? Gesù chiama i suoi discepoli a guardare e capire la "povera vedova" che, nella sua povertà, fa dono di tutto quello che ha, di tutta la sua vita. Da questo si impara il vangelo. Lo si impara da coloro con i quali nessuno vorrebbe identificarsi: dai poveri, dai disprezzati, come Cristo. Costoro, come Cristo, si donano, si sprecano, danno tutta la loro vita e pagano per tutti. Per imparare il vangelo di Gesù dobbiamo metterci alla scuola dei poveri.

 

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