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TESTO Dare con gioia

padre Gian Franco Scarpitta  

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (08/11/2015)

Vangelo: Mc 12,38-44 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 12,38-44

38Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. 40Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

"La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; 10 amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore." (Rm 12, 9 - 11) Con queste parole, l'apostolo Paolo esorta i Romani ad evitare ogni sdolcinatura dell'amore e ad aborrire, nell'esercizio della carità, ogni forma di doppiezza e di ipocrisia. Fuggire il male con orrore equivale anche a non rendere il male compartecipe del bene che si compie per mezzo della vanità e del narcisismo. L'amore è incompatibile con l'egoismo e non cerca il proprio interesse (1 Cor 13). Dare in elemosina qualsiasi cosa è in ogni caso utile e lodevole e qualunque sia la loro provenienza (sempre che non sia di natura illecita) doni ed elargizioni vanno accolti sempre con gioia e con spirito di riconoscenza. Tuttavia le ragioni del dare possono essere tante e non sempre legittime e attendibili. E' possibile infatti donare agli altri semplicemente per pura ostentazione di false virtù o per esibizionismo gratuito; come pure è possibile dare per ragioni di interesse personale o per motivi di propaganda politica e ideologica, anche religiosa, come quando si regalano oggetti o si fanno favori allo scopo di ottenere consensi elettorali o di guadagnare adepti per un nuovo credo. Si può dare agli altri per presunzione o per vanagloria o semplicemente per liberarsi da persone importune quando vengono a mendicare. E c'è anche chi da' aspettandosi di ricevere lauti contraccambi. E' altresì fin troppo facile donare agli altri il superfluo di quanto si possiede, elargendo in elemosina solo quello che non comporterebbe per noi rinuncia o sacrificio alcuno. Ridicolo poi aiutare il prossimo con il denaro o con gli averi che non ci appartengono.

A noi interessa invece non l'elemosina ma la carità, che a sua volta deriva da un cuore puro e da una fede sincera per la quale sono da considerarsi le parole dello stesso Paolo: "Il Signore ama chi dona con gioia" e Dio ci ha fatto dono di ogni grazia perché potessimo avere il necessario per compiere ogni opera di bene (2Cor 9, 7 -10). Sarebbe virtuoso ed eroico, nonché meritorio di grandi favori divini se tutti riuscissimo a dare molto più del nostro superfluo e se fossimo disposti a rinunciare anche pochissime voluttà quotidiane per destinare l'equivalente in opere di bene. Secondo alcune stime di diversi anni fa, se ciascun fumatore rinunciasse a una sola sigaretta, si riuscirebbe a sfamare migliaia e migliaia di indigenti in tutto il mondo. Più di una volta da studente notavo che se si riuscisse a raccogliere tutto il cibo che nei convitti di Roma viene solitamente buttato al termine di ogni refezione probabilmente si nutrirebbe la maggior parte dei barboni della capitale. Se in ogni caso ciascuno di noi rinunciasse anche a un minimo delle proprie frivolezze o delle proprie voluttà, si risolverebbe non poco il problema della fame in tutto il mondo.

Come dicevamo poc'anzi, la carità scaturisce dalla fede e proprio quest'ultima è la virtù che da parte nostra si evita di considerare quando si parla di carità e di amore al prossimo affinché il nostro dare sia serio e non esibizionistico: occorrerebbe vedere tutto con gli occhi della fede e interpretare la presenza di ciascun bisognoso alla stregua dell'incontro personale con Dio. In ogni fratello che ci chiede aiuto (sempre che non sia un profittatore) è sempre il Signore che bussa alla nostra porta ed è proprio della nostra fede saperlo accogliere e corrispondergli assistenza concreta. Come si sarebbe comportata questa vedova di Zarepta se non avesse riconosciuto in Elia l'uomo di Dio? Come si sarebbe comportata nei suoi confronti? Certamente non avrebbe eseguito le indicazioni a dir poco apparentemente strambe che le rivolgeva: moltiplicare un pugno di farina e un minuscolo quantitativo di olio. Eppure questa povera donna, vittima sociale della sua vedovanza, non esita a fare quanto Elia gli suggerisce riconoscendo in lui il profeta ("Per la vita del Signore tuo Dio") esercitando così nei suoi confronti un atto di fede e al contempo di carità. Nel cuore di questa donna non c'è neppure il sospetto che questo sconosciuto possa prenderla in giro, facendole così sprecare l'unica risorsa di sopravvivenza di cui dispone lei per il suo bambino, ma si prodiga senza esitazione nella carità operosa nei confronti di colui che ha ormai riconosciuto come il profeta del Signore. L'ospitalità che offre ad Elia le otterrà il premio della risurrezione del figlioletto da morte. Stessa grandezza di fede rivela anche la vedova che bazzica nel tempio di Gerusalemme, la quale dona alla cassa del tesoro non l'innecessario o ciò che avanza, non ciò che le è stato appena donato, ma tutto quanto possiede per vivere. Non considera nemmeno le conseguenze di fame e di penuria che dopo sarà costretta a dover patire o i debiti che dovrà accollarsi per far fronte alle innumerevoli spese: dona tutto quello di cui dispone, non importa se di misura irrilevante. Potremmo paragonare questa povera donna a una Signora odierna che dona tutta la propria pensione minima al tempio di Gerusalemme. Personalmente mi fa ricordare i miei esordi in Seminario, quando una brava Signora ci elargì una grossa somma di denaro dopo aver rinunciato a rimettere in sesto il sistema di riscaldamento nella sua abitazione. L'atto di amore da parte di questa Signora che venera il tempio di scribi e farisei, è accompagnato anche dall'umiltà e dalla mansuetudine, poiché questa donna si mantiene ben lungi dall'esaltare se stessa e dal solennizzare il suo gesto.

La vera carità è infatti convincente quando esercitata nella semplicità e nel silenzio, quando fugge la presunzione e il falso orgoglio e quando valica le abituali nostre convinzioni in fatto di elemosina. Il donare deve caratterizzarsi come un fatto di gioia che scaturisca dalla certezza di essere utili agli altri donando innanzitutto noi stessi ed essendo capaci di donare le nostre risorse anche quando comportare rinunce significative. La vera carità vuole che noi ci disponiamo a donare agli altri non ciò che non serve ma ciò che ci fa comodo e a cui non vorremmo mai rinunciare.... Essa non ci chiede certo di dare tutto quanto noi abbiamo alla pari di questa donna virtuosissima, mettendo a repentaglio la nostra sopravvivenza. Non ci chiede di mancare alle nostre necessità, ma vuole certamente che usciamo dalle comuni convinzioni personali del dare per avere il coraggio di dare con amore senza stare a fare bilanci o calcoli su guadagni o perdite. Dio ama chi dona con gioia, ma "chi dona al povero presta a Dio che gli restituirà in modo adeguato" (Pr 19, 17) ma donare con gioia costerà sempre fatica finché in noi prevarrà l'egoismo e il ripiegamento sui noi stessi che ci impedisce di avere eroismo a sufficienza per dare molto più del superfluo.

 

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