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TESTO Commento su Giovanni 10,22-30

don Michele Cerutti

Domenica della Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani (Anno B) (18/10/2015)

Vangelo: Gv 10,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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22Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». 25Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Ogni anno festeggiamo la dedicazione del Duomo di Milano. E' una festa che si inserisce in una tradizione: venne istituita da san Carlo nel 1577 in memoria del fatto che la terza domenica di ottobre del 1418 Martino V consacrò l'altare maggiore dell'antica cattedrale milanese.
Non pensiamo che sia una festa dal sapore vetusto e inattuale, perché sarebbe un grosso errore. Occorre inserirci in una tradizione.
Il cristiano dovrebbe essere appassionato di quella vita e di quell'insegnamento che percorre i secoli da duemila anni, e fiero di essere l'erede di una tale tradizione perché raccoglie l'esperienza vissuta di secoli di fede e libertà in Cristo.
Una vita di fede che non alimenta le radici della propria tradizione rischia di rinsecchire.
Questa festa ha lo scopo di rinvigorire quel senso di appartenenza alla Chiesa ambrosiana; questa porzione di Chiesa è invitata a camminare in questo anno educandosi al pensiero di Cristo.
Il credente trova in Cristo il criterio per valutare ogni cosa approfondendo l'unità della propria persona.
In questa prospettiva lasciarsi educare al pensiero di Cristo chiede di immedesimarsi con il pensare e il sentire di Cristo, con il suo modo di guardare e abbracciare la realtà. L'incontro con Cristo, pertanto, spalanca ad ogni altro incontro e rende capaci di affrontare ogni situazione secondo questa nuova mentalità che scaturisce da Lui.
Tutto questo all'interno di un cammino sulla misericordia che persegue la Chiesa Universale.
La misericordia è il tratto principale del pensare e agire di Gesù. Il Santo Padre ha voluto che il motto di questo Anno Santo sia "Misericordiosi come il Padre". Il cardinale invita a praticare le opere di misericordia corporali e spirituali. Esse generano atteggiamenti e gesti che, vissuti con fedele regolarità, lentamente rinnovano i nostri cuori.
Su tutto questo cammino non siamo lasciati soli.
Adatto alla festa di oggi e a riflettere sul nuovo percorso è il brano evangelico appena proclamato.
Gesù, colui a cui dobbiamo attingere per educarci al suo pensiero si presenta come il buon pastore.
Titolo con cui Gesù viene invocato nella terza domenica successiva alla Pasqua.
Noi dobbiamo metterci in ascolto.
Il rischio è quello di cercare dei segni come i farisei.
Noi abbiamo la Parola di Dio e in questa è contenuta tutta la verità.
Sempre alla ricerca di segni come i farisei, ma corriamo di farci scivolare la Parola di Dio e non comprendiamo una forte verità di fede che Gesù è il buon e bel pastore che non fa mancare nulla al suo gregge.
Se manchiamo di abitare la nostra fede al centro non possiamo assolutamente educarci a quel pensiero di Cristo che è il fondamento della nostra fede.
Siamo invitati ad abitare il centro della nostra fede.
Molto spesso rischiamo di andare dietro a una fede fatta di mode e di eccezionale.
La fede non è un abito che si indossa in determinate circostanze. E' una luce che permea tutta la vita e la trasforma nel nostro modo di pensare, di sentire, di agire, di essere. Ci rende testimoni credibili nel nostro tempo.
Nei diversi ambiti ha una funzione forte.
In ambito giovanile la fede aiuta a vincere gli egoismi e a costruire ideali alti.
Pensiamo nella vita matrimoniale la fede dovrebbe farci considerare il proprio amore come segno e strumento dell'amore di Dio, e quindi a vedere nell'amore di Dio la sorgente, il fondamento e il modello dell'amore umano.
Essere genitori, alla luce della fede, ci fa rappresentanti della paternità e della maternità di Dio.
Nell'ambito dell'insegnamento ci fa comprendere che ogni discepolo è una persona da formare: una libertà da orientare, una ricchezza di potenzialità da sviluppare, di attitudini da scoprire, di "talenti" da far fruttificare. Così la fede cristiana ci fa scoprire la grandezza della persona umana, l'originalità di ogni individuo, la sua dignità di "figlio di Dio".
La fede è costruire con gli ideali alti anche la vita politica e ci spinge a vedere nei poveri e nei sofferenti il volto di Cristo.
Nel lavoro la fede ci permette di vedere l'ambiente in cui lavoriamo come ambito di fraternità.
La fede non è un discorso teorico e astratto. La fede parte da una relazione di paternità, ma questo occorre affermarlo non in maniera astratta per cui ognuno partirebbe dall'esperienza che ha fatto con il proprio padre e la proietterebbe in Dio. Potrebbe essere pericoloso, come metodo non funziona affatto. Pensate quale dramma si potrebbe suscitare dicendo ad un bambino: "Dio ti vuole bene come tuo padre", perché quel bambino potrebbe avere un ottimo padre ed una bellissima esperienza, ma potrebbe anche avere un pessimo padre, come purtroppo esistono, un padre che lo picchia se non addirittura lo violenta. Dicendo astrattamente: "Dio ti vuole bene come tuo padre" ad un bambino che ha una brutta esperienza di paternità, egli, inconsciamente o addirittura coscientemente, potrebbe rifiutare Dio come rifiuta il proprio padre.
E allora non sarà dalla nostra esperienza di paternità che dobbiamo partire per capire chi è Dio, ma dall'esperienza di Gesù. Noi non teorizziamo un Dio padre qualsiasi, ma Padre di Gesù Cristo e noi abbiamo conosciuto il Figlio, che ci ha parlato del Padre: quindi, è da Gesù che dobbiamo partire. Ma non riusciamo ad accogliere veramente la proposta di Gesù con le nostre sole forze, perché è lo Spirito di Gesù che ci rende capaci di aderire a lui. Ecco la seconda tappa: noi, avendo ricevuto lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù, siamo in grado di rivolgerci a Dio chiamandolo "Padre".
Allora ricuperare questa dimensione fondamentale della fede è vitale per poi proseguire sul cammino che la nostra Chiesa ambrosiana ha tracciato per questo anno.

 

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