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TESTO Il dono imprevedibile da accogliere

don Fulvio Bertellini

IV Domenica di Avvento (Anno A) (18/12/2004)

Vangelo: Mt 1,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 1,18-24

18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:

a lui sarà dato il nome di Emmanuele,

che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Una immagine di responsabilità

Poco tempo fa riflettevo con i miei capi scout sul tema della responsabilità, e ci siamo imbattuti nella figura di Giuseppe. Ci è parso che fosse una splendida immagine della responsabilità cristiana, e per di più in accordo con il tempo di Avvento. E ci sarebbe da aggiungere: piuttosto critica verso il nostro clima natalizio-festaiolo, in cui la festa del Bambino che nasce non fa altro che confermarci nei nostri presunti valori umani e cristiani, che poi svaporano con la stessa velocità con cui si scola il bicchiere di spumante.

L'invasione di Dio

Per Giuseppe il Natale non è per nulla un evento rassicurante. E' qualcosa che sconvolge la sua vita. Non tanto perché abbia chi sa quali dubbi su Maria (è la nostra mentalità da telenovela che vede nel racconto evangelico l'ombra dello scandalo per una maternità che appare illegittima, sono i nostri film che ci presentano un Giuseppe alle prese con una relazione matrimoniale così complicata... tutto questo è più uno specchio dei nostri problemi, delle nostre difficoltà di fronte alla sessualità e all'amore, più che una reale interpretazione del racconto evangelico). Il problema di Giuseppe sembra essere l'irruzione improvvisa di Dio nella sua vita con un evento assolutamente imprevisto, che appare troppo più grande di lui. Non vuole ripudiare Maria, ma non si sente neppure adeguato a quella vocazione. Chi è lui per prendersi la responsabilità di quel bambino, generato per opera dello Spirito?

Chi sono io per...?

Il dramma di Giuseppe è anche il nostro dramma. Dio entra nelle nostre vite con chiamate sempre nuove, che ci appaiono sempre sproporzionate ai nostri mezzi. In tutte le chiamate della Scrittura appare la paura, l'obiezione, lo sconcerto: proprio io sono chiamato a fare questo? Che a volte non è solo espressione del nostro peccato, ma forse proprio della serietà con cui ci poniamo di fronte alle situazioni: chi sono io per essere prete, catechista, genitore, testimone del Vangelo? Come faccio nella mia povertà a portare avanti il progetto di Dio?

La conferma e la risposta

Il sogno di Giuseppe mette in evidenza innanzitutto tutta la bellezza del progetto divino: proprio dallo Spirito viene tutto ciò che ingombra i pensieri di Giuseppe. Un bambino deve nascere, e deve avere un padre, che gli dia un nome, una famiglia, e i diritti di eredità della casa di Davide. Quel bambino sarà chiamato Gesù (=salvatore) e sarà di fatto salverà il popolo dai suoi peccati. Prima che essere impegno, dovere, difficoltà, cosa che spaventa, il nostro essere cristiani è uno splendido progetto di Dio. Dietro ogni responsabilità, dietro ogni "dovere", c'è qualcosa di bello che ci precede, e che siamo chiamati a custodire.

Contemplando la bellezza del progetto divino, Giuseppe supera ogni paura, ogni incertezza. E' pronto a prendere con sé la sua sposa, ad assumersi la responsabilità di quel bambino. Il discendente di Davide compie ciò che nessun altro dei suoi antenati aveva saputo fare: rinunciare a se stesso, e obbedire in pienezza al progetto di Dio.

Ma qual è in questo Natale la chiamata che ci verrà dal Signore? Quale dono ci chiamerà a custodire? Quale germoglio del Regno saremo invitati a custodire?


PRIMA LETTURA

"Chiedi un segno dal Signore tuo Dio...": il profeta invita il re Acaz a consultare il Signore. In un momento difficile per il regno, minacciato da nemici esterni, si imporrebbe la necessità di un discernimento serio, di un'invocazione sincera dell'aiuto del Signore, e di un ascolto attento della sua parola.

"Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore": Acaz preferisce fare di testa sua. Ha già i suoi progetti, e con il pretesto di non voler mettere alla prova Dio, non fa nessun affidamento sulle parole del profeta. Così anche noi, più volte, proprio negli ambiti più vitali della nostra vita (il lavoro, gli affetti, la famiglia, il futuro...) non ci preoccupiamo minimamente di metterci alla ricerca di Dio. La nostra fede è confinata nei limiti angusti del sentimento, della pace sentimentale personale, nel privato del nostro cuore, dove fatica a germogliare e ad esprimersi. Non entra veramente nelle battaglie della nostra vita.

"Il Signore stesso vi darà un segno...": eppure, nonostante che noi cerchiamo di tener fuori Dio dalla nostra vita, egli ritorna sempre, portando imprevedibilmente nuove sorprese. Nel caso di Acaz, la nascita di un bambino, probabilmente l'erede al trono, che preannuncia la vera salvezza, che non deriva dalle alleanze umane, ma dall'accogliere la presenza di Dio. La nascita di questo bambino prefigura la nascita del Messia: la sorpresa più incredibile di un Dio che non si rassegna a restare ai margini della nostra vita, e trova sempre il modo di entrarvi, anche se umilmente, con discrezione, rispettando la nostra libertà.


La spiritualità dell'Avvento e il Salmo responsoriale

"Del Signore è la terra e quanto contiene...": dalla contemplazione del santuario cosmico si passa repentinamente a quella del santuario terrestre, del microcosmo in cui Dio manifesta in maniera particolare la sua presenza. E' già, "in nuce", il mistero che contempliamo nel Natale: il Dio dell'universo si fa vicino all'uomo, pone la sua tenda tra di noi. Colui che i cieli non possono contenere diviene accessibile nella persona del bambino nato a Betlemme...

La considerazione della condiscendenza di Dio, della sua benevolenza, provoca un moto di sorpresa, di stupore: chi può "stare nel suo luogo santo"? Di fronte alla bontà di Dio, l'uomo è invitato ad adeguarsi, a corrispondere: "mani innocenti, cuore puro, non pronunziare menzogna...". Non è sufficiente compiere gesti esteriori per accostarsi a Dio; non è sufficiente andare in Chiesa, dire preghiere, accendere candele... se tutta la nostra vita non è trasformata, interiormente ed esteriormente: mani e cuore rappresentano tutto l'ambito delle nostre azioni, delle nostre relazioni, dei nostri pensieri, progetti, sentimenti.

"Alzatevi porte antiche, ed entri il re della gloria": di fronte al corteo solenne del Signore (possiamo pensare ad una cerimonia come l'ingresso dell'Arca a Gerusalemme, narrato in 2 Samuele 6), diventa necessario alzare le architravi delle porte della città o del recinto del santuario. L'arrivo del Signore è una novità che sconvolge le abitudini, le tradizioni, che fa saltare i limiti angusti che poniamo alla nostra vita e alla presenza di Dio. Anche le nostre porte andranno allargate, in questo Natale, per far posto all'irruzione del Signore...


SECONDA LETTURA

"Servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione...": Paolo si presenta alla comunità di Roma, in cui intende a breve recarsi, e deve in qualche modo accreditare la sua persona, sempre soggetta a giudizi contrastanti, in ogni luogo dove si è recato. Si presenta dunque come "servo di Cristo Gesù", titolo biblico, che riunisce umiltà e fierezza: Paolo è consapevole di non essere nulla, di dovere tutto al Salvatore, e nello stesso tempo manifesta la fierezza per la propria missione.

"... riguardo al Figlio suo...": a questo punto si inserisce una breve presentazione del vangelo, nella forma di una antichissima professione di fede: Gesù, figlio di Dio, "nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione...". In questo modo Paolo si riallaccia alla fede tradizionale, conosciuta da tutte le comunità cristiane. Gesù è visto da un lato (secondo la carne) come erede delle promesse davidiche, della tradizione di Israele, in continuità con la storia di salvezza avviata con Abramo; dall'altro lato (secondo lo Spirito), supera enormemente quelle stesse promesse, ed è portatore di una realtà assolutamente nuova: la risurrezione dai morti, lo spirito di santificazione, il suo essere attualmente "Figlio di Dio con potenza" implicano una proposta di salvezza totalmente nuova.

"...L'obbedienza alla fede da parte di tutte le genti...": qui Paolo accenna ai suoi temi più propri: l'estensione della redenzione di Cristo a tutti i popoli, non solo ad Israele, e la configurazione della salvezza come "obbedienza alla fede". E in questo si mostra non solo depositario di una tradizione, ma anche geniale attualizzatore (grazie alla chiamata di Dio e al dono dello Spirito): Gesù, Figlio di Dio con potenza, deve essere annunciato a tutte le genti, egli è anche il "Signore Gesù Cristo", che chiama tutti i popoli alla fede.

Qui si impone la domanda per noi e per le nostre comunità: ci limitiamo a ripetere formule tradizionali per il club dei pochi eletti, o siamo capaci di lasciar sprigionare la portata missionaria del vangelo che abbiamo ricevuto?

 

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