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TESTO Commento su Marco 10,35-45

fr. Massimo Rossi  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (18/10/2015)

Vangelo: Mc 10,35-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

"Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra":

Ma che razza di domanda è questa? Quasi che il Paradiso fosse un luogo, sul quale si può ragionare in termini di sopra-sotto, vicino-lontano, destra-sinistra...

In Paradiso non ci sono prime file e posti in piedi, platea e palchi, poltronissime e loggione...

Dunque, non possiamo pensare che ci sia qualcuno che siederà più vicino di noi al Signore, perché ha più meriti di noi, perché è più santo di noi.

Il Paradiso è stare con Dio, o, meglio ancora, essere in Dio!

Il paradiso non è un luogo dove vivremo per l'eternità, ma un modo di essere, è la beatitudine eterna, è la felicità eterna... C'è soltanto una condizione che ci possa dare felicità piena, totale, eterna; e questa condizione è "essere in Dio". Quando saremo in Dio ogni nostro desiderio sarà saziato; in verità, essere in Dio è il nostro unico desiderio - il punto di osservazione è la fede - l'unico desiderio a non essere esaudito fino a quando resteremo ancora quaggiù, "in questa valle di lacrime"... per usare un'espressione cara alla devozione popolare.

Tornando alla sciagurata domanda di Giacomo e Giovanni, formulata in tempi non sospetti, secoli e secoli prima che Dante componesse la Divina Commedia, verosimilmente, anche noi, come i due figli del tuono, lavoriamo di immaginazione. E siccome, neppure con l'immaginazione siamo in grado di cogliere qualcosa che non sia situato o situabile nello spazio e nel tempo, l'idea di un Paradiso diverso da come ce l'hanno raccontato i poeti, le suore e i preti... non ci va, ci sta stretta, o, al contrario, è troppo larga...

Larga! sì, l'idea di un Paradiso non connotato da alcuna dimensione spazio-temporale, ci sta troppo larga! perché insinua l'immagine di qualcosa che non ha limiti... Ma allora, se (il Paradiso) non ha limiti, c'è posto per tutti!... E questo proprio non ci va giù!! C'è un limite a tutto, anche alla misericordia e alla bontà di Dio! Di questo passo, dove arriveremo? a spalancare le porte del Paradiso - ammesso che il paradiso abbia le porte - ai musulmani? alle coppie di fatto? agli omosessuali? ai peccatori peggiori?... Vanno tutti in Paradiso? Che ci guadagneremo noi che, moralmente, abbiamo rigato dritto tutta la vita? Lo ripeto: a tutto c'è un limite!

È inutile, non ce la facciamo a immaginare qualcosa o qualcuno che non abbia dei limiti!
C I M A N C A I L C O N C E T T O D I I N F I N I T O!!!

O, meglio, il concetto di infinito ce l'abbiamo, ma è pur sempre di natura aritmetica, geometrica... quantitativa. Insomma, per noi, l'infinito è "solo" l'infinitamente grande.

E così non possiamo parlare delle realtà ultraterrene, come il Paradiso, appunto, ma anche l'inferno, il purgatorio... È un nostro limite; tantovale rassegnarci. Evitiamo con cura di descrivere quelle verità che vanno oltre le nostre capacità. Rischiamo di dire una montagna di...., infilandoci in un ginepraio da cui non si esce. Crediamoci e basta! Ogni articolo di fede è sempre ragionevole; possiamo fidarci e crederci. Ma, ripeto, non parliamone! ci mancano gli strumenti e le categorie.

L'insigne filosofo e matematico austriaco Ludwig Wittgenstein (1889-1951), a proposito di fede, dichiarò: "Ciò di cui non si può parlare, si taccia": peccato che i suoi discepoli abbiano spinto oltre il suo ragionamento, concludendo: "Ciò di cui non si può parlare, non esiste": è la fine di tutti i dogmi! Mi sento di sottoscrivere la dichiarazione di Wittgenstein quanto al Paradiso & co., ma non sottoscrivo certo le conclusioni dei suoi discepoli.

La nostra ragione è potente, ma anche questa è limitata; indaga e comprende tutto e solo ciò che si può ricondurre entro coordinate di ordine razionale.

Stiamo parlando, invece, di verità che esorbitano dalle coordinate razionali! Ragionevole è un conto; razionale è un altro conto!

Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, il Signore sposta per così dire l'asse del discorso sulle condizioni attuali per entrare nella Gloria di Dio. In altre parole, invece di disquisire su dove saremo, come saremo, nell'altra vita, concentriamoci su ciò che possiamo e dobbiamo essere nella vita presente: questo sì che è nelle nostre capacità! Non solo possiamo e dobbiamo parlarne; prima di parlarne, dobbiamo viverle, con quanta più convinzione siamo capaci! Convinzione intellettuale e passione! non si tratta di semplici concetti che possiamo condividere in modo astratto e formale; si tratta di valori che dobbiamo incarnare tutti i giorni!

In particolare, quest'oggi, Gesù ci propone il valore dell'umiltà...ma che dico, l'umiltà; Gesù parla di umiliazione bella e buona!

Già essere umili costa parecchio: essere umili significa essere noi stessi, realizzando i nostri talenti, ma anche riconoscendo i nostri limiti; né più, né meno! L'umiltà dell'uomo è la verità di sé.

L'ho già detto tante volte e colgo ogni occasione, opportuna e inopportuna, per ripeterlo.

Il Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, non è venuto per manifestare umilmente la sua identità e verità, non soltanto. La questione è delicata, e spiegarla a parole è complicato: salendo sulla croce, il Figlio di Dio si è addirittura umiliato al di sotto, molto al di sotto della sua dignità! Umiliandosi, Gesù ha fatto verità su di sé, è diventato il Cristo.

Venendo a me, venendo a noi - declinare il Mistero della croce alla prima persona singolare-plurale è d'obbligo - per guadagnare il paradiso, ci basta essere umili, o è necessario umiliarci?
La risposta sembrerà forse salomonica.

Cominciamo col diventare umili: questo dipende unicamente da noi.

Quanto alle umiliazioni non dobbiamo preoccuparci: se e quando verranno, dipendono dagli altri...

 

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