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TESTO La quotidianità e l'attesa

don Fulvio Bertellini

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I Domenica di Avvento (Anno A) (27/11/2004)

Vangelo: Mt 24,37-44 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 24,37-44

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 37Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.

42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

Il problema è la quotidianità, che fa presto a diventare dispersione. L'elenco non cambia molto dai tempi di Noè a quelli di Gesù: "mangiavano, bevevano, prendevano moglie e marito..." - oggi forse si tende a convivere più che a maritarsi, ma la cosa non cambia molto, anzi, è ancora più evidente la voglia di vivere al presente, senza impegnarsi troppo in progetti futuri, oppure la paura del futuro stesso, la paura di radicarsi... Paolo nella II lettura fa un elenco più articolato e più pessimistico: "gozzoviglie, ubriachezze, impurità, licenze...", ma l'atteggiamento che viene identificato è lo stesso: la quotidianità che diventa abitudine, stanchezza, routine, dispersione, rassegnazione senza apertura al futuro e senza apertura all'orizzonte di Dio. E non facciamo fatica a individuare lo stesso atteggiamento ai giorni nostri. Una vita senza prospettive, senza motivazioni forti, sempre vissuta nell'affanno. Il monotono ritornello che tante volte si sente ripetere: "Siamo sempre a correre, correre, correre...".

Riscoprire l'orizzonte della speranza

Gesù intende far riscoprire ai suoi interlocutori l'attesa fattiva e operosa del Regno di Dio. L'evangelista che tramanda le sue parole vuol rinsaldare lo spirito della comunità, che tende a infiacchirsi nella delusione per la mancata realizzazione delle promesse: passato l'entusiasmo della conversione, il Regno di Dio appare ancora lontano, e si è tentati di dire che non verrà mai. Le nostre comunità, in Europa, in Italia, a Mantova, vivono lo stesso problema, in una forma inedita: l'esperienza di secoli e secoli di cristianesimo, divenuto cultura, incarnato in molteplici forme, travasato in molteplici tradizioni. Ma proprio quello che potrebbe essere un punto di forza rischia di trasformarsi in un fardello, in un peso: la nostra fede appare un fatto del passato, non più del futuro. Che cosa resta del messaggio di Gesù, se viene trasformato in un ricordo storico-folkloristico, senza l'attesa del futuro?

L'attesa che dà senso

Sia che guardiamo all'orizzonte complessivo della storia e della vita della Chiesa, sia che guardiamo all'ambito più ristretto della nostra vita personale, la parola di Gesù sfonda i nostri pensieri limitati, e ci invita a guardare al futuro: "così sarà la venuta del Figlio dell'uomo". Nella trama della nostra quotidianità, che appare sempre uguale e monotona, si sta in realtà tessendo la venuta del Regno di Dio. Le nostre scelte, le nostre abitudini, i gesti ordinari della nostra vita non sono insignificanti. O meglio: lo diventano solo se li viviamo nella dissipazione. Vissuti nell'attesa, nell'orizzonte del suo Regno, acquistano un peso, ricevono consistenza, ci preparano alla venuta del Figlio dell'uomo.

Custodire la nostra casa

Questa attenzione alla nostra quotidianità, al valore della nostra vita ordinaria, che non deve mai scadere a semplice routine, ripetizione senza senso, è espressa con la metafora della casa: la casa è ciò che noi diamo per scontato, una volta che l'abbiamo: la usiamo come un possesso sicuro, come qualcosa di inviolabile, in cui ci rifugiamo ogni volta che ne abbiamo bisogno. A volte ci dimentichiamo di averla. Ce ne ricordiamo solo quando viene scassinata, quando salta un tubo dell'impianto idraulico, e se ne accorge bene chi viene sfrattato e si ritrova a piedi, senza un punto fisso dove andare. Allo stesso modo è preziosa la casa del nostro cuore, l'inviolabilità della nostra persona e della nostra dignità. Che è chiamata ad essere il santuario dell'incontro con Cristo, da custodire con la stessa gelosia con cui curiamo e arrediamo le nostre case. E che invece tante volte lasciamo saccheggiare dalla dispersione, dall'insignificanza, dalla fretta, dalla trascuratezza di una vita che si accontenta di essere sopravvivenza senza senso e senza futuro


PRIMA LETTURA

"Visione di Isaia...": l'intitolazione del brano usa il vocabolario della visione. Nell'Antico Testamento il profeta non è solo uomo della parola, ma è innanzitutto colui che vede. Vede ciò che gli altri occhi sono incapaci di scorgere: vede l'ingiustizia mentre gli altri vedono splendore politico e prosperità economica, vede la sciagura avvicinarsi dove gli altri vedono gloria e patriottismo, vede la rovina dove gli altri vedono il segno del successo, del benessere, delle false sicurezze; e infine, vede la salvezza quando tutti ormai hanno perso la speranza. Indubbiamente l'ispirazione, la forza che viene da Dio, l'illuminazione dello Spirito danno al profeta una marcia in più, ma sbaglieremmo a fare del suo annuncio un fatto magico e irraggiungibile. Il fatto drammatico è che solitamente il profeta vede ciò che sta sotto gli occhi di tutti, ciò che tutti dovrebbero considerare, e che invece sfugge, perché manca la luce della fede. Dunque, nel tempo di Avvento, ogni cristiano è chiamato a recuperare la sua vocazione profetica, che gli è stata data nel battesimo. A guardare con occhi semplici, senza lasciarsi ingannare; ad aprire gli occhi agli altri.

"... Ad esso affluiranno tutte le genti": il verbo ebraico esprime in senso fortissimo la metafora del fiume: è un fiume di popoli, un'alluvione di uomini che converge verso il monte santo del tempio di Dio. E' la visione che il profeta ci invita a far nostra, non come utopia del futuro, ma come realtà già presente. L'aspirazione alla pace, all'unità, alla fratellanza dei popoli è già presente nella nostra storia. Anche da parte di chi non crede; anche da parte di chi è contrario alla Chiesa. Non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte a questo, e vedere solo l'odio che indubbiamente c'è nel mondo. Il discepolo di Cristo non può cedere alla disperazione, ma accogliere e promuovere i segni di speranza che Dio stesso semina nel mondo.


Il Salmo responsoriale e la spiritualità dell'Avvento

"Quale gioia quando mi dissero...": il clima spirituale dell'Avvento è contrassegnato dalla gioia, dalla letizia vissuta come sentimento profondo, non passeggero, non superficiale. Non è ancora la gioia che deriva dalla pienezza dell'incontro, ma quella che deriva dall'attesa, l'entusiasmo che nasce anche dal solo fatto di mettersi in cammino: "Andremo alla casa del Signore!". Il Salmo 121 con la sua successione di immagini ci inserisce perfettamente in questo clima spirituale. Parla infatti di noi come di pellegrini, ancora in cammino, non ancora giunti alla meta: "i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!". E davvero in questa vita noi arriviamo sempre alla soglia dell'incontro con Dio, a quella porta che può dischiudersi solo dopo la morte. Tuttavia esiste la felicità propria del pellegrino: quella di chi cammina, si avvicina alla meta, attende con speranza, condivide con altri la fatica del viaggio e insieme ne condivide la bellezza, lasciandosi trasformare passo dopo passo... chi compie questo cammino comprende la realtà delle beatitudini: beati voi poveri, beati voi miti, beati voi afflitti, beati gli affamati ed assetati di giustizia...

"Domandate pace per Gerusalemme": l'altra dimensione fondamentale dell'essere pellegrini resta il desiderio e l'invocazione. Il salmo la esprime nella seconda parte, tutta centrata sulla parola "pace": una pace sempre da invocare, da cercare, da supplicare. Paradossalmente, il salmo non descrive l'ingresso dei pellegrini a Gerusalemme: ce li presenta arrivati fino alle porte, mentre invocano pace sulle mura, sugli abitanti, sulla casa di Dio. Oggi comprendiamo bene perché: Gerusalemme, (il cui nome significa: "città di pace"), appare come uno dei luoghi più tormentati e segnati dall'odio. Potrebbe essere un pensiero scoraggiante: è invece il segno della nostra condizione di pellegrini, che restano in cammino, senza lasciarsi sopraffare dal cinismo e dallo sconforto, cantando la loro gioia e invocando senza posa la pace.

SECONDA LETTURA

"La notte è avanzata, il giorno è vicino": l'immagine dell'attesa che Paolo presenta è quella del risveglio e dell'aurora: come quando ci si sveglia di buon mattino, mentre è ancora scuro, e già si comincia con gioia la giornata, fidandosi della debole luce dell'aurora, e sapendo riconoscere nei suoi colori la bellezza del giorno che viene.

"Indossiamo le armi della luce... rivestitevi del Signore Gesù Cristo": associata all'immagine del risveglio, quella del rivestirsi: non è lo stanco rivestirsi di ogni giorno, ma come l'inizio di una spedizione militare (a questo fa riferimento l'immagine delle armi): lo stesso verbo (in greco) è applicato prima alle "armi della luce", poi a Cristo stesso. L'impresa da compiere non è qualcosa di eccezionale, ma l'impresa della quotidianità, la più difficile, perché appare meno gloriosa, e più scoraggiante. L'apostolo invita ad assumerla con la stessa fierezza, lo stesso coraggio, la stessa decisione di chi si prepara ad una sfida, sapendo di avere Gesù stesso al nostro fianco. Allora ogni piccolo passo, ogni piccola crescita nella fede, ogni rinuncia a ciò che ci allontana da lui (gozzoviglie, ubriachezze, impurità, licenze...) diventa una conquista, un'occasione di grazia, un incoraggiamento a proseguire nel cammino.

 

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