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TESTO Un'altra logica

don Alberto Brignoli  

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (20/09/2015)

Vangelo: Mc 9,30-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 9,30-37

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Ci sono momenti, nella storia di un rapporto di amicizia, di amore o anche solo di collaborazione, in cui non c'è verso di capirsi. E questo, non perché non ci si voglia bene o perché non si vada d'accordo: semplicemente, perché non si riesce a comprendersi, perché si parlano linguaggi differenti o si è su lunghezze d'onda diverse, non si è sintonizzati sullo stesso canale. C'è poco da fare: Gesù e i discepoli, nei vangeli di queste ultime domeniche, non riescono proprio a capirsi. Entrambi si trovano su lunghezze d'onda molto distanti tra di loro, e poiché abbiamo a che fare con il Figlio di Dio (che per ora Marco ci presenta solo come "Figlio dell'uomo") pare abbastanza scontato che chi sbaglia a sintonizzarsi siano i discepoli, che si dimenticano ogni tanto di "aggiornare il decoder" della loro amicizia con il Maestro!

È da qualche domenica, infatti (e la cosa proseguirà ancora), che i discepoli denotano di avere in testa un'idea di Messia e di Regno di Dio abbastanza diversa da quella di Gesù: e in questo frangente, il Maestro, in terra straniera, ha aperto gli orecchi e la bocca a un sordomuto. Un sordomuto cui Gesù pur essendo in terra straniera si rivolge - lo ricordiamo bene - in lingua aramaica, la lingua dei discepoli: forse erano proprio loro i sordomuti chiamati a comprendere e ad annunciare un Messia diverso da ciò che si attendevano. Invece, sono passati solo pochi versetti dalla narrazione del rimprovero a Pietro e ai Dodici sull'immagine distorta di Messia, e già ci si ritrova a discutere su temi legati al potere, all'autorità, al comando all'interno del venturo Regno di Dio.

Gesù, che conosce bene il modo di pensare dei suoi discepoli e che quindi è cosciente della fatica da fare per catechizzarli, sfrutta il suo passaggio dalla Galilea (l'ultimo, prima di andare a Gerusalemme per la Pasqua) per insistere su un tema a lui caro, fondamentale per la rivelazione del Figlio di Dio: l'annuncio della sua passione, morte e resurrezione, cosa che poco prima aveva appunto incontrato l'avversione di Pietro. Gesù ci riprova, ma i risultati sono, purtroppo, nuovamente deludenti: i discepoli "non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo". L'abbinamento di queste due espressioni (non capire e avere timore di chiedere spiegazioni) fa comprendere chiaramente che in realtà essi avevano compreso bene la lezione precedente, ma non volevano accettarla, e per questo avevano paura di chiedere a Gesù ulteriori spiegazioni per evitare di sentirsi dire cose a loro poco gradite: ovvero, che il Messia da lui incarnato era tutt'altro che un leader secondo il pensiero degli uomini, un capo politico vittorioso e potente, ben lontano dal Dio di Gesù Cristo.

La Galilea è terra di rivoluzioni: non c'è, quindi, scenario migliore che quello di Cafarnao, nella tranquillità della quiete domestica, per cercare di nuovo di far ragionare i discepoli e far comprendere loro che il Regno di Dio non risponde alle logiche del potere, dell'autorità, dell'incarico da svolgere o dell'importanza di uno rispetto all'altro. Perché il Regno non mette al centro la figura del Figlio di Dio (quello verrà rivelato solo...sul Calvario, ovvero appeso alla croce), ma quella del Figlio dell'uomo: non il divino rivelatosi con potenza all'umanità, ma l'umanità resa divina dalla potenza di Dio, questa è la prospettiva con cui i discepoli devono guardare al Regno.

Per fare questo, dicevo, Gesù cerca nuovamente di catechizzare i discepoli: i particolari con cui Marco introduce questa piccola catechesi di Gesù sono davvero interessanti. Innanzitutto, inizia chiedendo loro di tirare fuori quello che avevano dentro, facendosi dire ciò di cui stavano discutendo "per la strada". La strada - lo vedevamo già domenica scorsa - è il luogo della semina andata a male, il luogo in cui il seme viene portato via da satana, in cui l'avversario cerca di appartare tutti (addirittura il Maestro) dalla propria missione e dalle proprie responsabilità. "Per la strada" i discorsi non sono più dialoghi, ma discussioni: ci si accapiglia per cercare di capire chi debba essere "il più grande", come se non fosse chiaro che questo ruolo competeva al Maestro e basta. Allora Gesù entra in casa, si siede (come fa un Maestro quando insegna), "chiama i Dodici" (sì, bisogna ripartire da capo, come sulle rive del lago di Galilea), e spiega loro cosa significhi "essere il primo": significa cambiare totalmente logica, passando da quella del potere a quella del servizio e dell'accoglienza. Nel Regno di Dio, non si può ragionare secondo il pensiero degli uomini cercando di essere "Figli di Dio", perché la vera immagine di Figlio di Dio si può avere solo sulla croce. Bisogna ragionare secondo Dio, cercando di essere "Figli dell'uomo", figli di un'umanità che si mette a servizio degli altri. E per fare questo, gli altri vanno messi al centro: a partire dagli ultimi, dai più deboli. Ecco perché Gesù prende un bambino e lo mette "in mezzo a loro", ovvero nel posto riservato a lui, il posto del Maestro, affermando che accogliere i più deboli significa, in definitiva, accogliere lui e addirittura il Padre che lo ha mandato.

Una bella lezione per tutti, non c'è che dire: soprattutto in questi giorni in cui molta gente, e addirittura intere nazioni e capi di stato fanno fatica ad accogliere alle proprie frontiere orde di disperati in cerca di pace. Vogliamo dirci cristiani, anzi "figli dell'uomo e dell'umanità"? Iniziamo a non chiudere le porte in faccia a nessuno, e a mettere al centro gli ultimi e i deboli. Non è una strada facile: ma di sicuro, su questo tipo di strada il seme del Regno di Dio porta frutto.

 

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