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TESTO L'argomento risolutivo

padre Gian Franco Scarpitta  

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (20/09/2015)

Vangelo: Mc 9,30-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 9,30-37

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Si insiste oggi sulla necessità della croce, in linea con gli argomenti della scorsa domenica. Il discorso più eloquente sull'argomento ci viene dato però, più che dal brano del Vangelo, dalla prima Lettura, tratta dal libro della Sapienza, che rivela una concretezza più unica che rara nelle parole con cui esordisce:
Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d'incomodo
e si oppone alle nostre azioni"

A parlare sono gli empi, cioè i perditempo esecratori di tutte le epoche che, forse per invidia o forse per semplice sfizio di recare dispetto, si accaniscono con il giusto innocente, onesto e immacolato per tendergli insidie e per saggiare l'entità della sua fede in Dio. Nella misura in cui si vuol rendere testimonianza del Signore nella buona condotta e nella sincerità e ci si dispone seriamente a vivere la propria fede lottando contro le avversità, forti della fiducia e della speranza in un Dio che non ci abbandona, inevitabilmente si avrà sempre a che fare con le canzonanti insinuazioni di chi ci rende oggetto di scherno: sia nel mondo del lavoro, sia a scuola sia in ogni altra dimensione e contesto, testimoniare con serietà la nostra fede comporta sempre più umiliazioni, sarcasmo e dileggiamento da parte di chi marcia in senso opposto rispetto al vangelo. Ricordo che negli anni '80 la caserma era il luogo in cui con maggiore frequenza si veniva derisi e presi in giro soprattutto se si rivelava di essere seminaristi o aspiranti al sacerdozio. Oggi i luoghi in cui si viene perseguitati a motivo della propria spiritualità si sono ulteriormente allargati e non si limitano ai soli ambienti militari: anche nelle scuole o in altri luoghi di aggregazione giovanile si viene dileggiati se si svolge l'attività di ministrante in parrocchia o se si "continua ad andare a Messa ad una certa età'. Meglio non parlare poi degli sberleffi subiti da chi non ha ancora avuto "la sua prima esperienza sessuale". In certi ambienti lavorativi ci si sente frustrati e depressi quando ci si trova ad essere gli unici, fra tutti i colleghi, a non aver fatto ricorso al divorzio o alla separazione. La moda odierna è quella del relativismo etico e dell'ateismo, che riflette proprio le insidie sapienziali dell'empio nei confronti dell'uomo retto e perseverante nella fede. Quando poi la testimonianza di fede da parte del giusto tende ad ostacolare la mala condotta di altri, le persecuzioni diventano ancora più insostenibili: non di rado ci si procura delle inimicizie quando si voglia assumere un atteggiamento onesto e coscienzioso, omettendo dai propri abiti l'inganno, il sotterfugio o la bugia. In casa anticlericale, tante volte non si vorrebbe che il papa si pronunciasse su un argomento per paura che la sua figura o il suo messaggio possa influenzare le masse e si fa così di tutto per screditare il magistero ecclesiastico. Parole come accoglienza, generosità, perdono sono abominevoli alle orecchie del non credente e questi vorrebbe che non fossero mai pronunciate per paura che i loro contenuti vengano considerati. San Francesco di Paola fu certamente deriso e sbeffeggiato quando di fronte al re di Napoli rifiutò categoricamente il dono di uno scrigno di monete d'oro che provenivano da ingiusti tributi imposti ai cittadini. Fu senza dubbio osteggiato quando rifiutò il dono di una somma ingente di denaro del re Luigi XI di Francia ("Occorre darlo ai poveri, ai quali spetta di diritto e ai quali la corte reale non ha provveduto"), come pure dovette essere reso oggetto di scherno quando miracolosamente fece una selezione fra le prugne che gli erano state donate da un contadino ("queste posso accettarle perché sono vostre, quelle non posso prenderle perché le avete rubate al vostro vicino. Andate a restituirgliele."); ma al giorno d'oggi simili rifiuti e contestazioni ci condannerebbero ad essere etichettati come illogici e mentecatti. Ci procurerebbero avversioni, beffe e insinuazioni anche da parte degli stessi fratelli cristiani, poiché tanta e tale è la logica del compromesso e del guadagno facile, per cui facilmente si dimentica che vi sono principi e valori sui quali occorre restare saldi.

Che cos'è tutto questo se non un martirio a cui è sottoposto il "giusto" nel vissuto odierno? Cosa ricalcano situazioni deplorevoli come quelle appena descritte se non la continua persecuzione a cui si è continuamente costretti a motivo della nostra radicalità nella fede e nella testimonianza cristiana? Tante volte si è detto che per essere martiri non occorre essere sottoposti a strumenti di tortura né essere perseguitati dall'Isis o da altri movimenti anticristiani. Basta semplicemente essere considerati lo zimbello di tutti a casa propria.

Ma soprattutto, quanto appena detto concretizza l'attualità della croce a cui il vero discepolo di Cristo è costretto a restare sempre inchiodato. Nella croce è la pienezza della rivelazione perché solo essa è espressione dell'amore. E come per amore vi è stato Chi ha subito il supplizio, così è capace di amore chi sa prendere la croce sulle proprie spalle. intendiamoci, la croce non è mai finalizzata a se stessa e non è una tappa circoscritta. Ad essa faranno seguito il trionfo e la gloria e nella misura in cui ad essa ci si dispone, tanto più ci si prepara alla gioia della vittoria. Sarebbe puro masochismo volere inchiodarsi ad un legno per il solo piacere di recare danno a se stessi; per cui non si può interpretare la croce se non in rapporto a Dio e agli altri. Essa si configura non soltanto nelle personali vicende di dolore e di sconforto, ma soprattutto quando si è chiamati a dare testimonianza di un Dio Amore che ha accettato egli stesso di morire sul legno. La lotta per la difesa dei valori, l'accettazione di altrui persecuzioni quando si voglia affermare l'unicità del Vangelo, le umiliazioni e le vessazioni da parte di chi marcia controcorrente, tutto questo rende ancora più pesante il nostro fardello alimentando i veleni dei nostri avversari. Eppure proprio questa è la missione del cristiano battezzato: crocifiggersi con Cristo accettando ogni sorta di prova e di umiliazione considerando "perfetta letizia" ogni persecuzione subita.

Nella liturgia di oggi l'amore e la croce vengono associate all'umiltà e al servizio che sono appunto i preamboli dell'uno e dell'altra. E' quanto Gesù sta tentando di spiegare ai suoi discepoli dopo aver illustrato loro la necessità del triste destino che lo attende nella capitale del regno di Giuda e dopo aver osservato che essi, confabulando fra di loro si preoccupano delle mondane posizioni altolocate: chi è il più grande fra di noi?

Nessuno sarà mai un grande finché non impara a farsi piccolo. Anzi proprio in questo sta la grandezza di Dio: nella sua piccolezza prediletta, per parlare della quale non occorrono enciclopedie o testi, basta vedere un bambino. Come Dio per noi si è fatto Bambino in Maria, così anche occorre che tutti ci si renda bambini per essere all'altezza di essere capi.

Piuttosto che blaterare su argomenti in necessari che hanno da se stessi la loro soluzione, avrebbero dovuto prendere sul serio l'annuncio che egli aveva dato della sua passione: "Il Figlio dell'Uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà." Oltretutto proprio questo è l'argomento risolutivo alla questione da loro posta.

 

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