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TESTO A Cesarea di Filippo, niente Messia. Solo il Figlio dell'Uomo.

don Alberto Brignoli  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (13/09/2015)

Vangelo: Mc 8,27-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.

Gesù da qualche tempo ci sta abituando a frequentare le periferie dell'umanità, a partire da quelle geografiche. Ma più in là di così, finora, non si era spinto, e neppure lo farà più. Cesarea di Filippo rappresenta, tra quelle visitate da Gesù, la città più lontana da Gerusalemme (170 km) e dai centri di potere, una città che si trovava in territorio pagano, straniero (attualmente si trova in Siria, a soli 50 km da Damasco): una città fondata meno di vent'anni prima della visita di Gesù dal tetrarca Filippo in onore dell'imperatore Tiberio Cesare, quindi una città nuova, recente, costruita "a tavolino", come ce ne sono anche nel nostro paese. Questi riferimenti storico-geografici non sono privi di significato. Gesù, infatti, sceglie questo luogo così periferico, così lontano dalla Città Santa e dal Tempio, così privo di storia e d'identità culturale, per porre ai discepoli "per la strada" (particolare non privo di significato) due domande-chiave sulla sua persona.

La prima ("La gente, chi dice che io sia?") riguarda la percezione che le folle hanno del messaggio che Gesù è venuto ad annunciare; la seconda ("Ma voi, chi dite che io sia?") riguarda invece più direttamente i discepoli, e soprattutto la relazione che finora, a metà del cammino, hanno saputo costruire con il loro Maestro. Sono, quindi, due domande collegate, ma anche ben distinte, perché una cosa è dare a Gesù un riscontro di ciò che, girando, sentono dire di lui, e un'altra cosa è dire a lui - e a se stessi, in definitiva - che cosa egli rappresenti nella loro vita. Le domande hanno quindi due intenti distinti, eppure giungono entrambe alla medesima conclusione, sia pur espressa in maniera differente. Cosa che porterà Gesù ad atteggiamenti di rimprovero e di correzione nei confronti dei discepoli. Perché, dunque, pur essendo differenti, le risposte date a Gesù (dai discepoli prima e da Pietro poi) non sono così diverse?

La percezione che la gente ha di Gesù, in fondo, non sorprende più di tanto: di fronte a un personaggio così straordinario, dalla parola dirompente e capace di compiere segni e prodigi inimmaginabili, è abbastanza ovvio che si possa pensare di avere a che fare con la reincarnazione di uno dei grandi profeti del passato (remoto o più recente), da quell'Elia il cui ritorno avrebbe preannunciato l'arrivo del Messia a quel Giovanni il Battista che aveva catechizzato e affascinato molti degli attuali discepoli di Gesù. Insomma, un uomo di Dio talmente straordinario da essere capace di ritornare in vita: una potenza del genere avrebbe certamente incarnato l'ideale del leader, la figura più idonea a restaurare il Regno d'Israele contro il potere opprimente di Roma. Quando poi la domanda viene rivolta ai discepoli, non tanto con l'intento di fare un sondaggio sul loro modo di vedere il Maestro, quanto di capire quale tipo di relazione hanno creato o stanno creando con lui, ne emerge la risposta di Pietro; non sappiamo se parlasse a nome di tutti quanti o se lo facesse a titolo personale, ma di fatto il risultato è lo stesso.

"Tu sei il Cristo" apparentemente è la professione di fede più bella che ci si potesse attendere dal capo degli apostoli, tant'è vero che il più noto brano parallelo di Matteo prosegue con la dichiarazione da parte di Gesù del primato di Pietro sulla Chiesa nascente. Marco invece continua la sua narrazione con due rimproveri: il primo rivolto a tutti i discepoli, il secondo - certamente più duro - allo stesso Pietro. Anche i due rimproveri, di fatto, hanno lo stesso tenore, perché sono orientati a fare in modo che i discepoli non parlino di lui alla gente in maniera distorta e fuorviante, ovvero "secondo la mentalità degli uomini", ben diversa da quella di Dio. Pietro, proclamando Gesù come "Cristo", altro non fa' che tradurre in greco il concetto ebraico di Messia inteso come leader politico, ossia lo stesso che pensavano le folle. Prova ne è il fatto che quando Gesù rimprovera il gruppo e offre loro la spiegazione chiara di ciò che significhi essere Messia, Pietro si oppone a muso duro e si erge lui stesso a "educatore" di Gesù, "catechizzandolo" in modo non certo clemente. Il verbo "rimproverare" (che Marco usa per ben tre volte in questo brano) è lo stesso che viene attributo a Gesù quando caccia i demoni "sgridandoli"...insomma, è proprio un po' impavido,'sto Pietro! Rimprovera Gesù come se avesse fatto un'affermazione "demoniaca" a proposito di se stesso e della sua missione.

E allora Gesù fa bene a rimetterlo al suo posto, e a dirgli che di satana, lì, ce n'era uno solo, ed era ben evidente chi fosse: pareva arrivato "a pennello", "per la strada", a portare via dal cuore dei discepoli il seme della Parola gettato poco prima da Gesù (è lo stesso Marco che parla di satana come colui che porta via il seme gettato "per la strada" dal seminatore). "Per la strada", ossia mentre si annuncia il vangelo nelle periferie del mondo, occorre fare molta attenzione: non tanto per i pericoli che dalle periferie o dalla strada possano derivare, quanto per gli schemi mentali che abbiamo in testa quando annunciamo il Vangelo, o per l'immagine distorta del Messia che annunciamo agli altri pensando di avere l'esclusiva su Dio. Il Messia di Cesarea di Filippo, il Messia delle periferie è "altro" rispetto a ciò che pensano i discepoli e che pensiamo noi. Innanzitutto, non si chiama Messia ma si chiama "Figlio dell'uomo", dell'umanità; non appartiene ai profeti risuscitati del passato, perché ancora deve risorgere, e perché prima di risorgere deve "soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi e venire ucciso"; non pensa secondo gli uomini, che hanno un'immagine trionfante e gloriosa del Dio degli Eserciti, ma secondo Dio, dietro al quale comunque bisogna stare e camminare, anche - e soprattutto - quando questo significa rinnegare i proprio ideali di successo, di gloria e di potere, prendendo volontariamente la propria croce. Una croce che non è gloria ma patibolo, marchio infamante affibbiato dai potenti a chi segue la logica del Vangelo: la logica dei poveri, degli ultimi, delle periferie.

Gesù non obbliga nessuno a seguirlo, ma è molto chiaro: "Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà". Chi ha sogni di gloria riguardo al Vangelo e alla sequela di Gesù, è avvisato.

 

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