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TESTO Omelia della Trentunesima Domenica Ordinaria - A

Totustuus  

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/11/2002)

Vangelo: Mt 23,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

NESSO TRA LE LETTURE

"Colui che si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato". In queste parole si condensa il messaggio biblico di questa trentunesima domenica del tempo ordinario. Gesù ci presenta, in una mirabile sintesi, il cammino di servizio, di sacrificio e pentimento che è proprio del cristiano e, specialmente, del sacerdote. Il brano dell'evangelista Matteo ci offre una dura critica di Gesù agli scribi e farisei, perché essi fanno tutto senza purezza di cuore. Dietro il loro zelo per l'osservanza della legge, si nascondono intenzioni inconfessabili (Vangelo).

Già nel secolo V a.C. il libro di Malachìa ammoniva i sacerdoti che non ubbidivano al Signore, e non davano gloria al suo nome. A questi sacerdoti si prospetta la minaccia del mutamento delle loro benedizioni in maledizioni. Si sono allontanati dalla retta via, e hanno fatto inciampare molti (prima lettura).

Proprio il contrario dell'atteggiamento di questi sacerdoti è la testimonianza di Paolo nella evangelizzazione di Tessalonica: egli si preoccupa dei fedeli come una madre si preoccupa dei suoi figli; desidera offrire non solo il vangelo, ma tutto se stesso; lavora, si affatica, dà esempio, per non essere di peso a nessuno. Si rallegra perché accolgono la Parola, non come parola umana, bensì, come è in realtà, come Parola di Dio. Paolo è l'apostolo che sa sottomettersi, e perciò è esaltato (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

La trascendenza di Dio ed il culto dei suoi sacerdoti.

La lettura del profeta Malachìa inizia mettendo in rilievo che il Signore è sovrano, Signore degli eserciti, Re grande. Tutti questi titoli, comuni alla letteratura profetica, fanno risaltare, come abbiamo visto nelle domeniche precedenti, la trascendenza di Dio. Dio è Dio, è trascendente. Davanti a lui tremano le nazioni, e nulla resiste al suo potere. Le teofanìe dell'Antico Testamento sottolineano eloquentemente questa trascendenza: Dio "non può essere visto", egli "è colui che è", "nelle sue mani sono i destini del mondo", è il creatore e "non ha bisogno dell'aiuto di alcuno".

Questo Dio si mostra geloso davanti ai sacerdoti dell'Antico Testamento, che si servono del culto per i loro propri scopi. Non sono più servitori dell'Alleanza, ma la vìolano e annullano i precetti del Signore. Nel vangelo troviamo anche una dura critica a coloro che sono preposti a spiegare la legge, a interpretarla e ad amministrare la giustizia. Si tratta di un richiamo agli scribi, che erano gli esperti e i maestri della legge, e ai farisei che si consideravano "puri" e distaccati, per la rigorosità con cui osservavano perfino i minimi precetti della stessa legge.

Gesù espone la loro ipocrisia: dicono certe cose, ma ne fanno altre. La loro testimonianza di vita non conferma le loro parole. Così, il Signore invita il popolo a fare ciò che essi dicono, ma a non imitare il loro esempio. Poi, rivela tutta l'incoerenza della loro vita: impongono gravosi oneri alla gente, ma non sono disposti a muovere un dito per aiutarli; fanno di tutto per esser guardati e ammirati. Sono disposti a sacrificare la loro missione di comunicatori della Parola di Dio per assicurarsi i propri privilegi. Non sono pastori del gregge, ma pastori di se stessi, come diceva il profeta Ezechiele: "Guai ai pastori d'Israele che pascono se stessi!" Ez 34,2.

Di essi dirà san Paolo, nella Lettera ai Romani: "Ora, se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti glori di Dio, del quale conosci la volontà e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di esser guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità..., ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge? Infatti, il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, come sta scritto" (Rm 2, 17-24).

Cristo, mostra ai suoi discepoli che non è questo il cammino del cristiano. I cristiani hanno un solo maestro, perché tutti sono istruiti da Dio. Possiedono un solo Padre, quello del cielo, cui si rivolgono col dolce appellativo di Padre Nostro. Riconoscono un solo Capo, Cristo, il Signore. L'unico onore che devono pretendere è di essere servitori dei propri fratelli. C'è qui una bella definizione del cristiano e del sacerdote: "servitore di Dio e dei propri fratelli". Quali magnifiche parole per descrivere la vita e la missione dell'uomo su questa terra!

La vita non è susseguirsi insensato di dolore e sofferenza, di morte e di peccato. No! La vita è realmente servizio, dedizione, donazione sincera di sé agli altri. E quanto più alti siano i seggi di autorità che un uomo possieda, tanto più profondo e perentorio è il suo obbligo di servizio, ad esempio del Signore, che "non venne per esser servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti". Così, si scopre quale sia il vero cammino del cristiano: la via della mortificazione, la via che fa vincere il male con il bene, la via di chi soffre e sopporta tutte le contrarietà della vita con pazienza ed umiltà. Quanto diversa risulta la nostra vita, quando la misuriamo coi giusti parametri. Quando vediamo che la nostra esistenza è un dono che, allo stesso tempo, va donato perché dia frutto!

La Parola di Dio.

Un secondo elemento dottrinale lo troviamo nelle parole dell'apostolo Paolo alla Chiesa di Tessalonica: "ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio". Dicevamo domenica scorsa che, quando l'apostolo va incontro ad un popolo che non ha ricevuto la Parola di Dio per annunciarla, va incontro ad una grazia speciale. Dio diventa presente, illumina la mente degli evangelizzati e degli evangelizzatori; fa sentire la sua presenza e il suo potere di trasformazione. "Infatti la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4,12).

La Parola di Dio realizza ciò che significa. La Parola di Dio ci rivela che Dio stesso è l'autore di un Messaggio e che, perciò, gli si deve rispetto, venerazione ed obbedienza filiale. Quando Dio parla e si rivela, gli si deve umile sottomissione e l'ossequio dell'intelligenza e della volontà. Perciò, come i Tessalonicesi, dobbiamo accogliere la parola di Dio quale è in realtà, cioè come Parola di Dio e non semplicemente come parola degli uomini, mero risuonar nell'aria che passa e svanisce.

SUGGERIMENTI PASTORALI

I veri pastori.

L'esempio di Paolo è eloquente e c'invita tutti a rivedere il nostro atteggiamento di servizio e le nostre responsabilità di fronte alla nostra famiglia, alla nostra comunità, alla nostra parrocchia. Questa applicazione pastorale si riferisce specialmente ai sacerdoti, che devono essere veri pastori del gregge loro affidato. Essi devono amare con sincerità le pecorelle assegnate alla loro sollecitudine; non possono essere mercenari a mezzo servizio, che fuggono davanti ai pericoli; non possono essere farisei che usurpano la cattedra di Mosè e il posto di Cristo, per ottenere i propri scopi.

Il sacerdote non è per se stesso, ma per le anime, era solito dire il Curato di Ars. Le anime devono costituire la sua massima aspirazione, e deve esser disposto a dare la sua vita per esse, come san Paolo. Perciò, nel sacerdote non c'è posto per l' "ambizione carrieristica", la ricerca dei posti d'onore, della gloria personale. Quanto più umile è il sacerdote, tanto meglio rappresenta Dio. Senza che egli se ne renda conto, questa umiltà vince le resistenze dei suoi fedeli, e li conduce sulle vie della santità.

Il sacerdote è il pastore delle pecore: deve dare la vita per esse. E dare la vita è qualcosa di molto concreto: è predicare, è andare incontro, è visitare il malato, istruire l'ignorante, consigliare colui che dubita. Dare la vita, è affrontare la sfida della nuova evangelizzazione, è consumarsi ogni giorno, senza tregua, affinché nessuno si perda. Dare la vita è consumarsi e dedicarsi alle anime, senza cedere alla stanchezza o alle difficoltà.

Soprattutto, dare la vita è non perdere mai la speranza della conversione delle anime. I fedeli hanno il diritto di trovare nel proprio sacerdote l'uomo che li incoraggia a guardare al futuro con speranza. Egli, nonostante tutti i problemi odierni, continua ad essere il punto di riferimento morale e il perno dell'istruzione religiosa.

Quanto ci stimola l'esempio dei sacerdoti martiri del secolo scorso! L'esempio di un Titus Brandsman che fa l'adorazione eucaristica nella sua baracca, dopo un'intera giornata di lavori forzati, e che perdona, nel momento estremo, l'infermiera che gli fa l'iniezione fatale. L'esempio di un Karl Leisner, ordinato sacerdote nel campo di concentramento, che riesce a celebrare una sola messa. L'esempio di un Jakob Gapp, che nella notte prima di essere ghigliottinato scrive:

Ecco che arrivo dunque alla fine della battaglia. Arrestato quasi otto mesi fa per aver difeso la fede cristiana, lo scorso giorno del Sacro Cuore,
mi hanno annunciato la mia condanna a morte.

Mi sono battuto solo per una causa:

che gli uomini raggiungano liberamente la salvezza eterna. Ho difeso la fede con le mie parole e con le mie opere, arriva il momento di farlo con la vita intera.

Oggi avrà effetto la sentenza.

Alle sette mi presenterò davanti al mio buon Salvatore che ho sempre amato ardentemente.
Non vi rattristate per me.
Tutto passa, solo il cielo rimane.

Ho vissuto, senza dubbio, momenti molto amari, dalla mia detenzione. Ho vissuto giorni sprofondato nella più oscura tristezza, ma ho avuto l'opportunità di prepararmi al meglio per la mia morte. Versare il sangue per Cristo e per la sua Chiesa è diventato la mia maggiore aspirazione. Dopo avere lottato per lungo tempo contro me stesso, sono arrivato a considerare questo giorno come il più bello della mia vita. Oggi il sacerdozio mi appare più chiaro ed allettante.

(cf. Estratti della lettera scritta da Padre J. Gapp, il 13 agosto 1943, poco prima di essere ghigliottinato).

 

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