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TESTO Commento su Matteo 21,33-46

don Michele Cerutti

XI domenica dopo Pentecoste (Anno B) (09/08/2015)

Vangelo: Mt 21,33-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo;

questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?

43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. 44Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato».

45Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. 46Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.

Le domeniche successive alla Pentecoste ci consentono di analizzare la storia della salvezza con la luce dello Spirito Santo.

Alcuni episodi più importanti dei libri che dalla Genesi in poi si susseguono ci vengono offerti nelle prime letture.

In questa domenica la liturgia ci invita a soffermarci sul profeta Elia che sul monte Carmelo cerca di smascherare le falsità dei profeti delle divinità Baal.

Elia è il profeta mandato al re di Samaria Acab che, istigato dalla perversera Jezabele, si era reso gravemente colpevole di aver servito gli idoli di Baal e anzi si era prostrato davanti a queste divinità.

Acab aveva fatto di più, tanto da far irritare il Signore, aveva eretto un altare e un palo sacro.

Elia viene perseguitato da Acab e anzi Jezable, la perfida moglie, aveva meditato vendetta.

Jezabele è la figlia del re di Tiro e sacerdote di Astarte e vedeva nella sua religione un mezzo per civilizzare la regione.

Jezabele ordina il massacro dei profeti ed Elia fugge e corre a Sarepta dove rimarrà per tre anni per poi essere mandato ad Acab dal Signore per profetizzare la fine della siccità che, intanto, attanagliava il paese come punizione per aver venerato gli idoli di Baal.

Elia nel brano di questa domenica sfida i profeti sul Monte Carmelo e qui respiriamo umorismo, ma l'idolatria è vinta.

Oggi l'idolatria assume non più forme diverse, ma una forma ben precisa.

La forma sta nell'imperare del pensiero unico e anzi della dittatura del pensiero unico.

Tanti i profeti di questa idolatria presenti nel mondo della politica e dei mezzi di comunicazione.

Lo scopo preciso è ammettere tutto ciò che è trasgressivo e imporcelo come situazione chiara.

La televisione ci propone la convivenza come ricetta del vero amore, l'aborto come soluzione a tutti i problemi dei figli malati, l'eutanasia come decisione libera, il rapporto omosessuale come normalità.

Dietro a queste logiche notiamo il vero intendimento: il denaro, il profitto.
Anche noi chiamati come Elia a sfidare questi profeti.

E' richiesta la fermezza di Elia con la testimonianza di vita che vale più di molte parole.

Bando a quella sorta di timore. La parabola del Vangelo ci dimostra che annunciare la verità non è mai semplice e riguarda anche il Figlio di Dio.

Il Signore ci invia ad annunciare, ma lo dice Lui stesso: "Vi invio come agnelli in mezzo ai lupi".

Quando diceva questi sapeva bene la Sua fine. Lui stesso è stato l'agnello sgozzato e noi non dobbiamo aver paura, ma avere la fermezza di Elia che è consapevole che il Signore verrà in suo aiuto.

Allora davanti alle provocazioni della società il cristiano non deve farsi prendere dalla paura, ma deve essere abitato dalla certezza che Dio è sempre con Lui.

Sia nella scuola, che nel posto di lavoro, in compagnia con degli amici in tutti questi frangenti non dobbiamo perdere tempo e muoverci a costruire la vigna del Signore perché quando Egli tornerà ci possa trovare al lavoro.

Quante testimonianze di fede testimoniate con coraggio nella certezza che Dio interviene nella storia.
Penso alla bella vita di Laura Vicuna.

I salesiani offrono una bella testimonianza di questa ragazza che in mezzo alle difficoltà è stata ferma nella certezza di Dio. Traggo la sua vita dal sito salesiano. Www. Donbosco.it

Laura nasce a Santiago del Cile il 5 aprile 1891 da Mercede Pino, un'umile e povera sarta, sposata con Giuseppe Domenico Vicuña, militare in carriera di famiglia nobile.

Nell'anno in cui nasce Laura, in Cile è in corso una guerra civile e la famiglia Vicuña cerca scampo verso il sud del paese.

Questa fuga è di 500 km e si ferma a Temuco dove, tra i tanti disagi di una vita faticosa e stentata, nasce la sorellina di Laura, Giulia Amanda. Tre anni dopo - e siamo al 1897- il padre muore e Donna Mercede, vedova con due bimbe di rispettivamente otto e tre anni, decide di varcare le Ande per andare in Argentina a cercare fortuna, come fanno in tanti in quei tempi. Nel 1899 si fermano a Las Lajas, oltre la frontiera cilena.

Donna Mercede è una donna ancora giovane e distinta che ha ora un solo desiderio: lavorare onestamente per mantenere e dare un futuro alle sue due figlie Laura e Amanda.

È però anche una donna molto sola e senza lavoro e accetta quindi di convivere con Manuél Mora, un proprietario terriero di circa quarant'anni, per poter riavere un buon tenore di vita e garantire gli studi alle figlie.

Mercede e le bimbe si trasferiscono quindi in uno dei possedimenti (estancias) di Mora a Quilquihué che si trova a 20 km da Junìn de los Andes dove, da un anno, le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno aperto una missione-scuola per le ragazze. Qui il 2 gennaio 1900 Donna Mercede iscrive le sue figlie.

Vivendo con le suore, Laura conosce più in profondità Dio e le esigenze della vita cristiana. Capisce, quindi, che la madre nella sua relazione con Manuél Mora non vive l'amore come Dio lo vuole per la felicità dell'uomo.

Da questo momento fare di tutto per la salvezza della mamma diventa l'assillo costante di Laura. Per questo intensifica sempre più la preghiera, cerca tutte le occasioni di sacrificio che il quotidiano le presenta, porta in cuore come un grande segreto che solo il Signore conosce tutta la sua sofferenza nel sapere la mamma così umiliata e lontana dal progetto di Dio. Il suo amore per la mamma la spinge fino al punto di offrire per lei al Signore la propria vita.

Nel periodo delle vacanze Manuél Mora, invaghitosi di Laura, fa di tutto per averla, ma la ragazza lo respinge più volte con decisione e con quella particolare forza derivatale dalla fede autentica.

Tornata in Collegio, in occasione di una grave inondazione, Laura aiuta le suore con tutte le sue forze a mettere in salvo le sue compagne, soprattutto le più piccole. In seguito a questa grande fatica si ammala gravemente.

Solo sul letto di morte Laura confessa alla mamma di aver offerto la propria vita in cambio della sua riconciliazione con Dio e le strappa la promessa tanto attesa di vivere in grazia di Dio. Spira il 2 gennaio 1904 a 13 anni non ancora compiuti.

Donna Mercede mantiene la parola data alla figlia morente e, dopo essersi confessata, lascia Manuél Mora e riparte per rivalicare le Ande. È di nuovo sola ma stavolta non si sente abbandonata perché finalmente ha ritrovato Dio

 

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