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TESTO Commento su Matteo 21,12-16

don Michele Cerutti

X domenica dopo Pentecoste (Anno B) (02/08/2015)

Vangelo: Mt 21,12-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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12Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 13e disse loro: «Sta scritto:

La mia casa sarà chiamata casa di preghiera.

Voi invece ne fate un covo di ladri».

14Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì. 15Ma i capi dei sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che aveva fatto e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide!», si sdegnarono, 16e gli dissero: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù rispose loro: «Sì! Non avete mai letto:

Dalla bocca di bambini e di lattanti

hai tratto per te una lode?».

Davide intendeva realizzare la dimora per il Signore, ma il Signore stesso lo avverte che verrà realizzato dal figlio.

Salomone compie questo disegno e respiriamo in questa prima lettura tutta quella gioia che c'è intorno a questo progetto di costruzione del Tempio.

Un Tempio in cui si formeranno i santi dell'Antico Testamento fino a Simeone.

Penetrando la prima lettura ci si pone degli interrogativi sul come viviamo nelle nostre assemblee. Ovvero viviamo nella dimensione di questa gioia?

Molto spesso si rischia di entrare in una sorta di desolante spettacolo.

Nelle nostre assemblee pare di essere al Museo delle Cere. Il canto vede coinvolto pochissimo i fedeli preoccupati più di essere dei bravi cantori e quindi si sentono esclusi coloro che si definiscono stonati.

Lo dimostra il fatto che pochi sono coloro che rispondono nelle intercessioni e le preghiere molto spesso vengono fatte muovendo solo le labbra.

C'è un semplice dovere nel partecipare alla Messa possibilmente senza cambiare orari anche se a certi orari il numero di fedeli anche nelle messe domenicali è esiguo.

Questo non è sicuramente attraente e comporta uno scoraggiamento anche in coloro che vogliono vivere la nostra fede accostandosi magari in maniera timida alla vita comunitaria.

Gesù entra nel Tempio ed esterna la sua rabbia nel vedere come si è trasformato.
E' diventato un covo di ladri.

Gesù è arrabbiato perché si è preoccupati al lato affaristico, ma anche al modo con cui rivestiamo di atti esteriori le celebrazioni.

I farisei che scrutano e giudicano tutti sono in contrapposizione a tutti coloro che si affidano e cercano di incontrare Gesù.

Questo lo si comprende quando al termine del brano si afferma che i malati e i bambini si avvicinano a Gesù.
Per dire che gli ultimi hanno compreso il messaggio di Gesù.

Sì occorre avere una fede semplice per vivere con intensità il rapporto con il Signore.

Molto spesso ci costruiamo una fede così legalista che sa mettersi a posto la coscienza che tuttavia impedisce al messaggio evangelico di penetrare.

Gesù esaltando i bambini invita tutti noi ad abbandonarci al Padre con quello spirito da figli.

Tutti gli uomini sono figli di Dio. Ma un figlio si può comportare con suo padre in diverse maniere. Bisogna rendersi conto che il Signore, volendoci suoi figli, ci ha ammessi a vivere nella sua casa, in mezzo al mondo: ha voluto che fossimo della sua famiglia, che tutte le cose sue fossero nostre e le nostre sue, che lo trattassimo con tanta familiarità e fiducia da chiedergli, come fa il bambino, la luna!

Un figlio di Dio tratta il Signore come Padre. Non con ossequio servile né con riverenza formale, ma con sincerità e fiducia.

Dio non si scandalizza degli uomini, non si stanca delle nostre infedeltà. Il Padre del Cielo perdona qualsiasi offesa, quando il figlio torna a Lui, quando si pente e chiede perdono. Anzi, il Signore è a tal punto Padre da prevenire il nostro desiderio di perdono: è Lui a farsi avanti aprendoci le braccia con la sua grazia.
Papa Benedetto nell'Udienza del Mercoledì affermava:

Forse l'uomo d'oggi non percepisce la bellezza, la grandezza e la consolazione profonda contenute nella parola «padre» con cui possiamo rivolgerci a Dio nella preghiera, perché la figura paterna spesso oggi non è sufficientemente presente, anche spesso non è sufficientemente positiva nella vita quotidiana. L'assenza del padre, il problema di un padre non presente nella vita del bambino è un grande problema del nostro tempo, perciò diventa difficile capire nella sua profondità che cosa vuol dire che Dio è Padre per noi. Da Gesù stesso, dal suo rapporto filiale con Dio, possiamo imparare che cosa significhi propriamente «padre», quale sia la vera natura del Padre che è nei cieli. Critici della religione hanno detto che parlare del «Padre», di Dio, sarebbe una proiezione dei nostri padri al cielo. Ma è vero il contrario: nel Vangelo, Cristo ci mostra chi è padre e come è un vero padre, così che possiamo intuire la vera paternità, imparare anche la vera paternità. Pensiamo alla parola di Gesù nel sermone della montagna dove dice: «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45). È proprio l'amore di Gesù, il Figlio Unigenito - che giunge al dono di se stesso sulla croce - che ci rivela la vera natura del Padre: Egli è l'Amore, e anche noi, nella nostra preghiera di figli, entriamo in questo circuito di amore, amore di Dio che purifica i nostri desideri, i nostri atteggiamenti segnati dalla chiusura, dall'autosufficienza, dall'egoismo tipici dell'uomo vecchio.

Vorrei fermarmi un momento sulla paternità di Dio, perché possiamo lasciarci scaldare il cuore da questa profonda realtà che Gesù ci ha fatto conoscere pienamente e perché ne sia nutrita la nostra preghiera. Potremmo quindi dire che in Dio l'essere Padre ha due dimensioni. Anzitutto, Dio è nostro Padre, perché è nostro Creatore. Ognuno di noi, ogni uomo e ogni donna è un miracolo di Dio, è voluto da Lui ed è conosciuto personalmente da Lui. Quando nel Libro della Genesi si dice che l'essere umano è creato a immagine di Dio (cfr 1,27), si vuole esprimere proprio questa realtà: Dio è il nostro padre, per Lui non siamo esseri anonimi, impersonali, ma abbiamo un nome. E una parola nei Salmi mi tocca sempre quando la prego: «Le tue mani mi hanno plasmato», dice il salmista (Sal 119,73). Ognuno di noi può dire, in questa bella immagine, la relazione personale con Dio: «Le tue mani mi hanno plasmato. Tu mi hai pensato e creato e voluto». Ma questo non basta ancora. Lo Spirito di Cristo ci apre ad una seconda dimensione della paternità di Dio, oltre la creazione, poiché Gesù è il «Figlio» in senso pieno, «della stessa sostanza del Padre», come professiamo nel Credo. Diventando un essere umano come noi, con l'Incarnazione, la Morte e la Risurrezione, Gesù a sua volta ci accoglie nella sua umanità e nel suo stesso essere Figlio, così anche noi possiamo entrare nella sua specifica appartenenza a Dio. Certo il nostro essere figli di Dio non ha la pienezza di Gesù: noi dobbiamo diventarlo sempre di più, lungo il cammino di tutta la nostra esistenza cristiana, crescendo nella sequela di Cristo, nella comunione con Lui per entrare sempre più intimamente nella relazione di amore con Dio Padre, che sostiene la nostra vita. E' questa realtà fondamentale che ci viene dischiusa quando ci apriamo allo Spirito Santo ed Egli ci fa rivolgere a Dio dicendogli «Abbà!», Padre! Siamo realmente entrati oltre la creazione nella adozione con Gesù; uniti siamo realmente in Dio e figli in un nuovo modo, in una dimensione nuova.

 

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