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TESTO Un segno dal cielo che ci rende segni per il mondo

don Giovanni Berti

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (02/08/2015)

Vangelo: Gv 6,24-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

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Ho iniziato a leggere un libricino di un autore che amo molto, Henri Nouwen, dal titolo "la forza della sua presenza", che parla dell'Eucarestia. Mi piace il punto di partenza dell'autore che è una domanda porta prima di tutto a se stesso: celebro tutti i giorni l'Eucarestia... ma so quello che sto facendo?"

Verrebbe da pensare che la domanda è in fondo un po' banale per un prete. Sicuramente il prete sa bene cosa sta facendo!

Eppure anche per me questa domanda così semplice diventa fortemente provocatoria. E' vero che conosco bene i riti, la storia e le modalità della celebrazione eucaristica, ma non è scontato che sia sempre pienamente consapevole di quel che ormai da una vita celebro insieme alla comunità.

La domanda "so cosa sto celebrando" la potrei esplicitare in un altro modo: la mia vita è presente nella messa? Quale connessione c'è tra i gesti che compio e quello che credo e vivo io e la comunità che celebra con me?

Il passo di Vangelo di questa domenica racconta quello che succede dopo che Gesù ha compiuto il segno della moltiplicazione dei pani e pesci. Gesù è fuggito dopo aver compiuto il segno miracoloso perché la folla aveva male compreso il significato del suo agire. Erano venuti per farlo re mentre lui aveva dato un messaggio di servizio umile.

La folla cerca Gesù ma è ancora incapace di capire il significato di tutto l'agire del Maestro, e questo è ben raccontato dall'evangelista Giovanni che fa emergere la distanza tra l'insegnamento di Gesù e la comprensione della folla e anche dei suoi discepoli.

La folla cerca segni di potere e nuovi miracoli prodigiosi come ai tempi di Mosè nel deserto, ma Gesù propone una via diversa che è quella della fiducia della presenza di Dio nella povertà del suo Messia Gesù e nel segno della condivisione. Il più grande segno dal cielo è proprio Gesù che si fa lui segno di Dio, quindi anche noi se vogliamo segni da parte di Dio non dobbiamo fare altro che essere come Gesù, cioè diventare noi stessi segni l'uno per l'altro, segni di amore e cura reciproci.

La Messa che celebro quindi non è tanto una serie di riti da adempiere ma una scuola antica e sempre rinnovata di amore divino e umano. Comprendo la messa che celebro (sia io che la celebro sull'altare che ogni singolo fedele che la celebra con la sua partecipazione in chiesa) se mi fido che della presenza del Signore in quel pane e vino sull'altare che sono consacrati corpo e sangue di Gesù e se mi impegno a vivere come Gesù, ad essere come lui, rinnovando il miracolo della sua presenza nei gesti e nelle parole della mia vita quotidiana.

Quando nella preghiera del Padre Nostro diciamo "dacci il nostro pane quotidiano", non chiediamo solo i beni materiali del cibo che nutrono il corpo, ma chiediamo il cibo più importante che è l'amore, la pace, la serenità del vivere, la giustizia, la solidarietà... Questo cibo lo chiediamo al plurale (e non "dammi il mio pane...") perché non posso chiedere mai solo per me stesso, chiuso nella mia ricerca di benessere, ma mi prendo carico anche di colui che ho accanto e riconosco che la mia fame di amore è la stessa di tutti gli uomini e donne del mondo.

E chiedendo il pane quotidiano, mi impegno, anzi ci impegniamo come comunità ad essere l'uno per l'altro questo pane che rende la vita eterna, cioè piena di Dio, piena di Salvezza.

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