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don Elio Dotto  

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/11/2002)

Vangelo: Mt 23,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Quando leggiamo i Vangeli, rimaniamo sempre sorpresi davanti all'incredibile accoglienza che le folle riservarono a Gesù nei primi tempi della sua missione. Ci furono giorni in cui il Maestro non ebbe un attimo di pace: la gente accorreva da ogni parte per ascoltare la sua parola. Certo, i miracoli avevano accresciuto ulteriormente la sua fama, ed erano molte le persone che lo cercavano per vedere i prodigi di cui avevano sentito parlare. E tuttavia le testimonianze evangeliche affermano concordemente che era soprattutto la sua parola ad affascinare le folle. Non a caso, proprio durante un discorso di Gesù avvenne che una donna alzò la voce di mezzo alla folla e proruppe in una forte esclamazione di lode: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte" (Lc 11,27). La sua parola davvero incantava: e la gente andava da lui principalmente per ascoltarlo.

Ma qual era il segreto di Gesù? Se noi ripercorriamo la sua predicazione, ci accorgiamo che la novità non stava tanto nelle cose che diceva. Egli infatti attingeva a piene mani dalla tradizione ebraica: basta pensare al Vangelo di domenica scorsa, quando Gesù risponde alla domanda sul comandamento più grande citando a memoria le parole della legge ebraica ("Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore!" cfr Mt 22,27; Dt 6,5). I discorsi di Gesù, quindi, non si discostavano poi troppo dai discorsi degli scribi e dei farisei di quel tempo. Eppure sembra che le folle fossero piuttosto stufe delle parole che ascoltavano ogni sabato nelle sinagoghe: e invece andavano da Gesù perché "egli insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi" (Mt 7,29).

Appunto quest'ultima annotazione ci svela il segreto di Gesù. Egli parlava "come uno che ha autorità": diceva le parole che tutti gli altri maestri dicevano; ma nei suoi discorsi c'era un'autorità nuova e inaspettata, che gli scribi e i farisei non avevano. Questi ultimi infatti - come afferma Gesù stesso nel Vangelo di domenica (Mt 23,1-12) - "dicono e non fanno; legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito". E hanno perso la loro autorevolezza proprio perché parlano soltanto "per essere ammirati dagli uomini" senza credere davvero in quello che dicono.

Sono davvero dure le critiche che Gesù rivolge agli scribi e ai farisei. E sembra che invitino pure noi a prendercela con gli scribi del nostro tempo, con quelli cioè che anche oggi dicono e non fanno: con i politici che non mantengono le loro promesse, con i preti che predicano bene e razzolano male, con le tante persone che cercano la pagliuzza nell'occhio altrui senza accorgersi della trave che c'è nel proprio! In realtà, però, Gesù non ci spinge a criticare gli altri, ma ad esaminare noi stessi: ed infatti prosegue il suo discorso dicendo "voi" e non più "loro" ("voi non fatevi chiamare rabbi! e non fatevi chiamare maestri" - Mt 23,8.10). Perché anche le nostre parole spesso perdono l'autorità che dovrebbero avere: e diventano in fretta parole di circostanza, alle quali nessuno dà retta.

Capita ai genitori e agli educatori in genere, quando si accorgono che i figli non hanno più voglia di ascoltarli e trovano noiose ed inutili le loro parole. Ma capita a tutti noi quando dobbiamo fare gli auguri a qualcuno - ad esempio ad una coppia di giovani sposi - oppure dobbiamo consolare qualcun altro per la perdita di una persona cara: e percepiamo tutta la debolezza delle nostre parole di augurio o di consolazione, perché siamo noi stessi scettici su quello che diciamo. Così accade che ci priviamo da soli di quell'autorevolezza che sarebbe necessaria per essere ascoltati.

Allo stesso modo succedeva in quel tempo agli scribi e ai farisei. Non capitava però a Gesù: egli parlava con autorità perché diceva e faceva. Ne abbiamo la conferma proprio leggendo il Vangelo di domenica, quando raccomanda ai discepoli di essere servi gli uni per gli altri: "il più grande tra voi sia vostro servo" (Mt 23,11). Ebbene, poco tempo dopo aver detto queste parole, Gesù laverà i piedi ai suoi discepoli, sintetizzando con tale gesto di servizio quella donazione tante volte da lui raccomandata e che egli compirà qualche ora dopo sulla croce.

Appunto: Gesù diceva e faceva; parlava con autorità perché credeva profondamente in quel che diceva. Ed è proprio questo il miracolo che noi possiamo rinnovare per restituire un senso ed una consistenza alle tante parole che ci scambiamo ogni giorno.

 

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