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TESTO Gesù guarda "oltre"

don Alberto Brignoli  

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (28/06/2015)

Vangelo: Mc 5,21-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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21Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. 22E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». 24Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

25Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. 28Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». 29E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

30E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». 32Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

35Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. 41Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». 42E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Sono stato tentato - e vi confesso che ho ceduto alla tentazione - di iniziare questa mia riflessione domenicale a partire dalla tematica che si sviluppa intorno alla seconda lettura, perché innesca una riflessione molto inerente con un tema di grande attualità, che tocca quotidianamente e in maniera anche significativa la nostra sensibilità. Paolo sta scrivendo per la seconda volta ai cristiani della comunità di Corinto, una delle più vivaci tra quelle da lui fondate: ricca spiritualmente, ricca da un punto di vista pastorale, ricca di attività e di gruppi (a volte fin troppo, viste le divisioni che c'erano al suo interno), ricca - con ogni probabilità - anche sotto l'aspetto materiale, dal momento che dal porto di Corinto passava una buona parte del commercio del Mediterraneo di quell'epoca.

Tra i motivi di questa lettera (e lo notiamo nei versetti che abbiamo letto) c'è pure quello di esortare i cristiani di Corinto a condividere parte della loro ricchezza materiale con alcune situazioni di povertà e di emergenza di quel periodo, in particolare nei confronti dei cristiani della chiesa-madre di Gerusalemme, che si trovavano in un momento di forte indigenza. In questa esortazione alla solidarietà verso i bisognosi, Paolo sente la necessità di fare alcune precisazioni, due in particolare: "Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza"; e ancora: "Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza". Cosa significa questo, e quale relazione ha - come ricordavo all'inizio - con l'attualità che stiamo vivendo?

Non è infrequente incontrare gente che, di fronte a situazioni di povertà e di emergenza, reagisce istintivamente, presa più dall'agitazione e dal senso di inadeguatezza che da un moto di solidarietà verso i propri simili. Noi stessi, magari, interpellati da queste situazioni drammatiche, usciamo con affermazioni del tipo: "Prima aiutiamo i nostri che hanno bisogno, poi penseremo anche agli altri"; oppure frasi come questa: "Non è questo il momento per fare qualcosa per chi ne ha bisogno, perché abbiamo altre urgenze, per cui ci penseremo più avanti". Non me la sento né di giudicare né tantomeno di condannare chi si esprime in questo modo, spesso - ripeto - perché si sente messo alle strette dalla drammatica urgenza della situazione: io stesso ammetto che a volte sono stato portato ad esprimermi in questo modo. Poi però penso al significato della carità cristiana, della solidarietà, del farsi carico delle necessità dei fratelli che soffrono, e mi rendo conto che la carità cristiana, quella che Cristo ci ha insegnato, non presenta obiezioni di questo tipo: si fa carico delle necessità dei più poveri, e basta. Lo vediamo appunto in questo testo di Paolo, che ricorda come la carità non sia una questione di calcoli: non si tratta di "quanto" togliere a noi stessi per dare agli altri, ma solo "che ci sia uguaglianza", e che nessuno abbia troppo né troppo poco; non si tratta di "quando" fare la carità, perché le povertà, soprattutto le emergenze, ci si presentano senza preavviso, ed è sempre il tempo di aiutare e di fare del bene; non si tratta nemmeno di "stabilire delle priorità", perché - ce lo ricorda ancora Paolo - l'indigenza può colpire oggi gli altri e domani noi, anche lì, senza alcun preavviso. È vero che non è facile, oggi, essere solidali: ma è anche vero che dire "non è facile" rischia di divenire una scusa per giustificare la propria indifferenza e il proprio silenzio.

Oggi la Parola di Dio ci dà alcuni criteri: quello dell'uguaglianza (Paolo lo ribadisce almeno due volte, nel giro di pochi versetti) e quello della giustizia, che ci viene presentato dal brano di Vangelo attraverso due miracoli, strettamente collegati, oserei dire quasi intrecciati tra di loro. Sembrerebbero due episodi totalmente indipendenti l'uno dall'altro, se non fosse perché la guarigione della donna affetta da emorragia fa perdere del tempo prezioso a Gesù, che giunge in ritardo, ormai, alla casa di Giairo, non potendo così salvare sua figlia. Invece, il legame che li unisce è profondo: entrambi, infatti, danno l'opportunità a Gesù di darci una bella lezione sulla carità e sui criteri che ci devono guidare nell'essere solidali.

La donna affetta da emorragia da ben dodici anni (un numero che ricorda l'elezione, la predilezione di Dio verso l'uomo) compie qualcosa di veramente grave, nei confronti di Gesù: stando alle leggi di purità rituale del Levitico, il suo stato fisico la rendeva impura, e altrettanto era per chiunque l'avesse toccata, rendendo così entrambi "emarginati" dalla propria gente. Ma Gesù non ha paura della legge: esce allo scoperto, e fa uscire allo scoperto anche la donna, facendole raccontare tutto, perché tutti sappiano che entrambi sono andati contro la legge, ma che grazie a questo loro atteggiamento la donna è tornata a vivere. La carità e la solidarietà di Gesù vanno oltre la legge: la nostra carità e la nostra solidarietà, invece, spesso attendono che siano le leggi a dire a loro quando, come, quanto e verso chi devono agire. Ma la carità cristiana se ne fa un baffo della legge, e va oltre, perché guarda all'uomo.

La fanciulla (dodici anni, anche lei prediletta da Dio) di cui Gesù non riesce ad evitare in tempo la morte perché un'altra emergenza caritativa gli aveva fatto perdere tempo, non sarebbe mai potuta tornare in vita se Gesù avesse dato ascolto al "buon senso" dei familiari e degli amici di lei, i quali dicevano al padre: "Lascia perdere, non disturbare il Maestro, tua figlia è morta". Ci sono situazioni in cui continuare a sperare e a lottare pare davvero assurdo, ma la carità e la solidarietà di Gesù vanno oltre anche ogni speranza: la nostra carità e la nostra solidarietà, invece, di fronte alla disperazione, si rassegnano o addirittura cedono alle critiche e alle derisioni di chi ci prenderebbe per pazzi, qualora dovessimo andare contro la logica del buon senso.

Ci hanno provato anche con il Maestro: lo hanno deriso, quando ha ridato speranza ai genitori di quella fanciulla, ma il suo coraggio di andare "oltre" ha trasformato la speranza in certezza di vita. Gesù oggi ci ha dato una bella lezione di solidarietà. Solidarietà significa, per un cristiano, andare "oltre": oltre il criterio del "prima i nostri, poi gli altri"; oltre il criterio del "oggi non posso, ho altre priorità"; oltre il criterio del "applichiamo la legge", che tanto piace ai legislatori e ai politici di ogni colore e bandiera; oltre il criterio del "non vale la pena, un po' di buon senso non fa mai male".

Gesù ha un solo criterio, quello che ha il coraggio di guardare oltre: guarda oltre con gli occhi dell'uguaglianza, e ci ha insegnato a chiamarlo "carità".

 

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